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Sentenza

In materia di procedimento disciplinare degli appartenenti alla Polizia di Stato...
In materia di procedimento disciplinare degli appartenenti alla Polizia di Stato, l'art. 14 del D.P.R. n. 737/1981, non mira a vincolare l'amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale.
T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 24-04-2019, n. 926
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2829 del 2015, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Macchi e Paolo Soattini, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Lombardia, in Milano Via Corridoni, n. 39;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Dipartimento della Pubblica Sicurezza - II Zona di Polizia di Frontiera, in persona del Dirigente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio ex lege in Milano, via Freguglia, n.1;

per l'annullamento

- del Decreto del Dirigente "La II Zona di Polizia di Frontiera" Prot. n. (...) con cui è stato respinto il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso la sanzione inflitta del richiamo scritto, notificato all'odierno ricorrente in data 11 settembre 2015;

- del provvedimento prot. (...) del 18 febbraio 2015 con cui è stata inflitta la sanzione disciplinare del richiamo scritto;

- del provvedimento di contestazione degli addebiti Prot. n. (...) del 24 novembre 2014;

- della segnalazione di presunti illeciti disciplinari addebitabili - in data 15 ottobre 2014;

- di ogni altro provvedimento, comunque denominato, antecedente, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Dipartimento della Pubblica Sicurezza;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2019 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

I) Il ricorrente, Ispettore Capo della Polizia di Stato, all'epoca dei fatti in servizio presso l'Ufficio di Polizia di Frontiera nello scalo aereo di Malpensa, in data 14 ottobre 2014 alle ore 17 circa, durante l'espletamento del turno di servizio pomeridiano in qualità di Capo turno di frontiera chiedeva all'agente della Polizia di Stato -OMISSIS- se era disposto a condurre, al suo posto, in carcere a Busto Arsizio un cittadino albanese in arrivo a Malpensa nei cui confronti doveva essere eseguita un'ordinanza di custodia cautelare.

All'agente -OMISSIS- era stato già assegnato l'espletamento del servizio di controllo passaporti della delegazione coreana, previsto per le ore 20.00 del medesimo giorno.

In data 24 novembre 2014 il Dirigente dell'Ufficio Polizia di Frontiera presso lo scalo aereo di Malpensa redigeva la contestazione degli addebiti nei confronti del ricorrente, ravvisando nella sua condotta le mancanze previste dall'art. 3, n. 2, 3 e 6 del D.P.R. n. 737 del 25 ottobre 1981, non avendo eseguito un ordine di servizio. La contestazione teneva conto della relazione di servizio redatta in data 14 ottobre 2014 dall'agente -OMISSIS- e dalla successiva nota del 15 ottobre 2014 redatta dal Vice Questore Aggiunto dottoressa Marotta.

La contestazione degli addebiti veniva notificata all'interessato il 13 gennaio 2015, nella persona del Vice Questore Aggiunto dottoressa Iasilli.

Il ricorrente presentava scritti difensivi, chiedendo l'archiviazione del procedimento disciplinare.

In data 18 febbraio 2015 il Dirigente dell'Ufficio Polizia di Frontiera presso lo scalo aereo di Malpensa infliggeva la sanzione disciplinare del richiamo scritto. Il provvedimento veniva notificato all'interessato in data 5 marzo 2015.

In data 16 marzo 2015 l'Ispettore Capo presentava ricorso gerarchico avverso il provvedimento disciplinare.

In data 29 maggio 2015 il ricorso gerarchico veniva respinto. Il provvedimento veniva notificato al ricorrente in data 11 settembre 2015.

Avverso l'esito del ricorso gerarchico, il provvedimento disciplinare e la contestazione degli addebiti l'interessato presentava il ricorso indicato in epigrafe, con cui chiedeva l'annullamento dei provvedimenti.

Si costituivano in giudizio il Ministero dell'Interno e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.

In vista della trattazione nel merito il ricorrente depositava scritti difensivi, insistendo nelle proprie conclusioni.

Indi all'udienza pubblica del 26 marzo 2019 la causa veniva chiamata e trattenuta per la decisione.

II) Il ricorso proposto è affidato ai motivi di gravame di seguito sintetizzati:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 14 D.P.R. n. 737 del 1981. Violazione e falsa applicazione dell'art. 103, comma 2 D.P.R. n. 3 del 1957: la contestazione degli addebiti del 13 gennaio 2015 non sarebbe stata tempestiva;

2) violazione dell'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981; eccesso di potere per travisamento ed ingiustizia manifesta: la sanzione disciplinare non terrebbe conto del fatto che la condotta del ricorrente non avrebbe prodotto alcuna conseguenza negativa per il servizio;

3) violazione dell'art. 24 Cost. e dell'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981: sarebbe stato violato il diritto di difesa del ricorrente, che avrebbe chiesto invano di essere sentito in sede di ricorso gerarchico.

Il primo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento.

Va premesso che lo speciale sistema sanzionatorio per gli appartenenti alla Polizia di Stato, di cui al D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nel disciplinare all'art. 14 il primo atto del relativo procedimento, non pone al riguardo alcun termine; tuttavia, l'art. 31 fa espresso rinvio al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, di cui va quindi applicato l'art. 103, secondo il quale la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito".

Sul punto, è consolidato e pacifico l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la norma non mira a vincolare l'amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale. La stessa norma, invero, tende da un lato a salvaguardare la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'amministrazione, che resterebbe inficiata ove il dipendente restasse esposto sine die alla possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti per l'ingiustificata inerzia della stessa amministrazione; e, dall'altro lato, a tutelare l'esigenza di quest'ultima di procedere agli accertamenti preliminari ed effettuare una ponderata valutazione della complessità e gravità dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. III 11 novembre 2014 n. 5546; idem sez. IV, 7 novembre 2012 n. 5672).

Ora, nel caso di specie i fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti sono accaduti il 14 ottobre 2014; la contestazione degli addebiti è stata notificata all'interessato in data 13 gennaio 2015, quindi a distanza di circa tre mesi.

Tale lasso di tempo deve ritenersi del tutto compatibile con la tempestività richiesta dalla norma.

Non giova al ricorrente il riferimento alla sentenza di questo Tribunale n. 2012/2017. Nel caso concreto oggetto di quel giudizio infatti la contestazione degli addebiti era stata fatta a tre anni di distanza dai fatti contestati.

Si tratta di un lasso di tempo ben più lungo dei tre messi della vicenda di cui qui si discute.

Il primo motivo di gravame va pertanto rigettato.

Uguale sorte spetta al secondo motivo di ricorso.

L'Amministrazione ha contestato al ricorrente di aver disatteso le disposizioni impartite dal funzionario di settore in merito all'espletamento di un servizio di istituto e, successivamente, durante la conversazione telefonica con il superiore finalizzata ad accertare la sua responsabilità, di aver usato toni e modi non consoni a quanto dettato dal Regolamento di Servizio.

L'art. 3 del D.P.R. n. 737 del 1981 dispone che vengano punite con il richiamo scritto, tra l'altro, la negligenza in servizio e la mancanza di correttezza nel comportamento.

L'art. 13 del D.P.R. n. 737 del 1981 prevede che l'organo competente ad infliggere la sanzione deve, tra l'altro, "sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali".

I profili da valutare in sede di determinazione della sanzione, espressione della discrezionalità dell'Amministrazione, sono strettamente connessi al tipo di condotta ritenuta disciplinarmente rilevante.

Nel caso di specie l'aver disatteso le disposizioni di servizio costituisce, di per sé, una mancanza commessa in servizio. Peraltro, nello specifico, si trattava di eseguire un'ordinanza di custodia cautelare, dunque un servizio di estrema delicatezza.

Inoltre, quanto all'altro comportamento contestato, l'aver usato toni non consoni al regolamento di servizio è una condotta che non necessita di conseguenze per essere rilevante sotto il profilo disciplinare.

Anche il secondo motivo va rigettato.

Non è suscettibile di favorevole apprezzamento neppure il terzo motivo di gravame.

La mancata audizione dell'interessato in sede di ricorso gerarchico di per sé non determina l'illegittimità del provvedimento di rigetto sotto il profilo del difetto del contraddittorio e del diritto di difesa come prospettato dal ricorrente.

L'audizione è infatti una modalità in cui può espletarsi il diritto di difesa, ma non certamente l'unica, ed in ogni caso non costituisce un obbligo.

Gli artt. da 1 a 6 del D.P.R. n. 1199 del 1971, cui fa espresso rinvio l'art. 22 comma 2 del D.P.R. n. 737 del 1981, non prevedono infatti l'audizione dell'interessato, che dunque deve ritenersi una facoltà dell'autorità procedente la cui omissione non ha alcuna incidenza sull'esito del procedimento.

Nel caso di specie il ricorrente ha allegato al ricorso gerarchico, in cui ha esposto compiutamente le proprie ragioni, due relazioni di carattere testimoniale, che hanno concorso a sostenere le sue argomentazioni difensive.

Il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico appare assunto nella piena considerazione degli elementi utili alla decisione, senza omissioni.

In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente la pagamento, a favore delle Autorità intimate, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila), oltre oneri fiscali, previdenziali e spese generali di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:

Ugo Di Benedetto, Presidente

Concetta Plantamura, Consigliere

Valentina Santina Mameli, Primo Referendario, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

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