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Sentenza

Maresciallo reggimento addestramento invita delle volontarie ad avere rapporti s...
Maresciallo reggimento addestramento invita delle volontarie ad avere rapporti sessuali minacciando che in caso di diniego avrebbe creato molti problemi e avrebbero passato i guai.
Cassazione penale, sez. I, 22/01/2014, (ud. 22/01/2014, dep.08/04/2014),  n. 15733
                      LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. SIOTTO    Maria Cristina -  Presidente   -                     
Dott. ZAMPETTI  Umberto        -  Consigliere  -                     
Dott. LOCATELLI Giuseppe  -  rel. Consigliere  -                     
Dott. LA POSTA  Lucia          -  Consigliere  -                     
Dott. MAGI      Raffaello      -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
          D.G.A. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la sentenza n. 15/2012 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
09/01/2013; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 22/01/2014 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del  Dott.  FLAMINI  Luigi 
Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
udito  il difensore Avv. PISANI Nicola, che ha chiesto l'accoglimento 
del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

Con decreto del 29.9.2011 D.G.A. veniva rinviato a giudizio per i seguenti reati:ingiuria aggravata ad inferiore perchè, in qualità di maresciallo capo effettivo al Reggimento addestramento volontari "Piceno", per cause estranee al servizio e legate ad approcci sessuali, nelle occasioni in cui era comandato in servizio specifico, offendeva l'onore e la dignità delle inferiori di grado, frequentanti il corso di addestramento, Q. S., C.S., D.P.G., C.V. ed E.V., invitandole esplicitamente ad avere rapporti sessuali con lui, rivolgendo loro espressioni del tipo "bei balconcini", "belle terrazze, "curve di livello", ovvero dicendo che avrebbe preferito entrare nelle camerette delle volontarie per trovarle con indosso solo biancheria intima invece delle uniformi; 2) minaccia aggravata nei confronti delle stesse volontarie poichè, dopo che avevano rifiutato l'approccio sessuale, le avvertiva che, se avessero parlato dell'accaduto con altri, avrebbe creato loro problemi e avrebbe fatto loro passare dei guai. In (OMISSIS).

Con sentenza del 29.9.2011 il Tribunale militare di Roma assolveva l'imputato dai reati ascrittigli perchè il fatto non sussiste.

Con sentenza del 9.1.2013 la Corte militare di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale militare impugnata dal pubblico ministero, dichiarava non doversi procedere per il reato di ingiuria semplice, cosi modificata l'originaria imputazione di ingiuria ad inferiore, per mancanza della richiesta del Comandante del corpo necessaria per la procedibilità dell'azione penale; dichiarava D. G.A. colpevole del reato continuato di minaccia ad inferiore commesso ai danni di Q.S. e C. S., condannandolo alla pena di mesi sette di reclusione miliare con concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

Il fatto era così ricostruito: il 2.7.2010 l'imputato approfittando della presenza isolata delle militari presso un veicolo dotato di radio, avvicinandole una alla volta, proponeva a Q.S. di avere un rapporto sessuale in autovettura, quindi le diceva che se avesse parlato con qualcuno le avrebbe creato dei problemi;

analogamente proponeva a C.S. un incontro sessuale e successivamente passava alle intimidazioni dicendole che se ne avesse parlato con qualcuno l'avrebbe saputo e "gli avrebbe fatto passare dei guai".

Avverso la sentenza il difensore ricorre per i seguenti motivi: 1) omessa motivazione e violazione di legge per avere ritenuto sussistente il delitto di minaccia ad inferiore in presenza di espressioni oggettivamente inidonee ad incutere timore e prive di qualsiasi volontà minacciosa;la motivazione è basata esclusivamente sulle deposizioni generiche delle persone offese e la Corte non spende una parola circa la effettiva portata minacciosa di quelle espressioni che ben possono essere intese come mero "consiglio";mancata confutazione delle specifiche argomentazioni della difesa secondo cui il maresciallo D.G. aveva una modalità di approccio con i colleghi -specie se di sesso femminile - particolarmente "informale"; 2) violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione che ha ritenuto le ingiurie commesse per cause estranee al servizio mentre ha affermato il contrario in relazione alle minacce, attraverso una erronea interpretazione della nozione di fatti connessi al servizio.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. La Corte di appello ha osservato che , se anche l'imputato non era un superiore diretto delle persone offese, egli rivestiva comunque un grado più elevato delle militari volontarie che si trovavano in posizione subalterna, anche in ragione della giovane età e della precaria condizione lavorativa, con la conseguenza che il timore per le possibili iniziative dell'imputato aveva compromesso la libertà morale delle persone offese; ha escluso che la condotta dell'imputato potesse intendersi come un caso di "scherzosa attenzione", come sostenuto dal teste caporal maggiore P., non presente ai fatti;

ha giudicato ininfluente la lettera personale, contenente frasi di elogio e affetto, inviata dalla militare volontaria S.T. all'imputato, trattandosi di allieva non presente ai fatti e che evidentemente aveva ricevuto dal maresciallo D.G. un trattamento diverso da quello riservato alle allieve Q. e C..

La denuncia del vizio di omessa motivazione è manifestamente infondata. Le censure concretamente svolte nei motivi di appello non denunciano alcun vizio di legittimità ma si sostanziano nella proposizione, non ammessa in questa sede, di una diversa lettura ed interpretazione dei dati fattuali e delle risultanze probatorie.

2.La Corte militare di appello ha ritenuto l'applicabilità della fattispecie di minaccia ad inferiore prevista dall'art. 196 c.p.m.p., comma 1, pace, non ricorrendo la causa di esclusione prevista dall'art. 199 c.p.m.p., sul rilievo che le minacce erano state poste in essere allo scopo di indurre le militari volontarie a non riferire i fatti ai superiori, nonchè al fine di occultare comportamenti che avevano turbato la normale vita del reparto.

La motivazione è giuridicamente corretta, poichè conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione del reato di minaccia ad inferiore prevista dall'art. 199 c.p.m.p., consistente nell'aver commesso il fatto per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, non rileva l'assenza di rapporti gerarchici diretti tra autore e vittima dell'illecito, ma la riconducibilità del fatto a un contesto militare. (Sez. 1^, n. 40811 del 27/10/2010 , Mecoli, Rv.

248441; conforme Sez. 1^, n. 19970 del 30/01/2013, Sorce, Rv.

256179).

Considerata la diversità dei fatti di reato sottoposti al giudizio dalla Corte militare, non è censurabile per contraddittorietà la motivazione del giudice di merito che, con riguardo al diverso reato di ingiuria ad inferiore, non ha ravvisato l'esistenza di un collegamento con "cause di servizio" nelle profferte ingiuriose rivolte dal ricorrente alle allieve militari.

A norma dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2014
Avv. Antonino Sugamele

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