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Sentenza

Procedimento disciplinare a carico dei militari: che valore ha la sentenza di p...
Procedimento disciplinare a carico dei militari: che valore ha la sentenza di patteggiamento?
Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 19/01/2021) 27-01-2021, n. 825

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9071 del 2012, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Fiore Tartaglia, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Medaglie d'Oro, n. 266

contro

- Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore;

- Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Comandante Generale pro tempore;

- Comando Interregionale della Guardia di Finanza Nord-occidentale, in persona del Comandante pro tempore;

rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2021 (tenuta ai sensi dell'art. 84 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con L. 25 giugno 2020, n. 70) il Cons. Roberto Politi;

Nessuno presente per le parti;
Svolgimento del processo

1. Espone l'appellante - Maresciallo della Guardia di Finanza - di essere stato condannato, con sentenza pronunziata a seguito di patteggiamento, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, ed alla multa di Euro 3.000,00, per il reato di cui agli artt. 81, 600-ter, commi 3 e 5, 600-quater, commi 1 e 2, c.p., in relazione all'accertato possesso di -OMISSIS-rinvenuto in computer nella disponibilità del medesimo.

Di seguito all'anzidetta condanna, veniva avviato, nei confronti dell'interessato, procedimento disciplinare, con contestazione di addebiti avvenuta in data 8 marzo 2011.

Il successivo 5 luglio 2011, la Commissione di disciplina riteneva l'odierno appellante non meritevole di conservare il grado.

In data 8 settembre 2011, veniva emesso il conclusivo provvedimento, recante perdita del grado per rimozione.

2. Con ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.A.R. della Liguria, il signor -OMISSIS- ha chiesto l'annullamento del provvedimento da ultimo indicato.

Il Tribunale ha respinto il ricorso, con compensazione delle spese di lite.

3. Avverso tale pronuncia il signor -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 26 novembre 2012 e depositato il successivo 20 dicembre, articolando le seguenti censure:

3.1) Incompetenza del Comandante Interregionale ad emettere il Provv. dell'8 settembre 2011, che ha disposto la perdita del grado per rimozione. Erroneità dell'impugnata sentenza.

Nell'osservare come l'epigrafata determinazione rechi indicazione di delega, conferita nel 2008 dal Comandante Generale della Guardia di Finanza al Comandante Interregionale, rileva parte appellante come tale atto, anteriore all'entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare, sia insuscettibile di incardinare in capo a quest'ultimo la competenza all'adozione dell'atto di che trattasi, atteso che la relativa attribuzione faceva, all'epoca, capo al Ministro dell'Economia e delle Finanze.

Avrebbe, sul punto, errato il Tribunale di prime cure nel ritenere che l'anzidetta delega non abbia formato oggetto di impugnazione da parte del sig. -OMISSIS-

3.2) Illegittimità per violazione dell'art. 1392, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell'ordinamento militare), violazione dell'art. 648 c.p.p., violazione dell'art. 21-bis della L. n. 241 del 1990, perenzione dell'azione disciplinare. Eccesso di potere per errore sul presupposto, incongruità, illogicità, irragionevolezza. Erroneità dell'impugnata sentenza, difetto di motivazione.

Deduce la parte che, nella fattispecie, la procedente Amministrazione non avrebbe osservato il termine, fissato in 270 giorni dall'art. 1392 del Codice dell'ordinamento militare, per la conclusione del procedimento.

A fronte dell'acquisizione della sentenza di condanna in data 1 dicembre 2010, infatti, il provvedimento di perdita del grado per rimozione è stato adottato l'8 settembre 2011 e notificato il successivo 22 settembre.

Sotto tale aspetto, il giudice di prime cure avrebbe motivato con esclusivo riferimento alla data di adozione (e non di notifica) del provvedimento innanzi ad esso avversato, senza, tuttavia, rilevare come, anche alla data di emanazione dell'atto di che trattasi, il termine in questione era comunque spirato.

Inoltre, la determinazione in argomento ha natura di atto recettizio, assumendo conseguentemente rilevanza il momento in cui essa viene portata conoscenza del destinatario.

Sarebbe stato, poi, violato anche il termine endoprocedimentale - di cui all'art. 1394 dello stesso Codice - previsto in giorni 90 ed intercorrente fra l'adozione di due atti dello stesso procedimento disciplinare.

A tale riguardo, viene dalla parte osservato che la contestazione degli addebiti è intervenuta l'8 marzo 2011, mentre il giudizio di non meritevolezza ai fini della conservazione del grado è stato reso in data 5 luglio 2011.

3.3) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa autonoma valutazione dei fatti, errore e/o carenza dei presupposti. Illegittimità e/o eccesso di potere per violazione dell'art. 9 della L. n. 19 del 1990. Illegittimità e/o eccesso di potere per violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990: carenza e/o insufficienza ed apoditticità della motivazione. Eccesso di potere per irragionevolezza, sproporzione, violazione del principio di gradualità delle sanzioni. Erroneità dell'impugnata sentenza.

Secondo la prospettazione di parte, nel provvedimento in prime cure impugnato non sarebbero state adeguatamente esplicitate le ragioni che hanno condotto l'Amministrazione ad irrogare la più grave delle previste sanzioni disciplinari (perdita del grado per rimozione).

L'Amministrazione si sarebbe, al riguardo, limitata a prendere atto del contenuto della sentenza di condanna, senza tuttavia valutare le conseguenze da essa indotte sotto il profilo strettamente disciplinare.

Sotto tale aspetto, la gravata sentenza di primo grado ha escluso la presenza di un particolare obbligo motivazionale in capo all'Amministrazione; senza, tuttavia, adeguatamente valutare il profilo della graduabilità della sanzione irrogabile.

Né nel provvedimento anzidetto viene dato conto del carattere non grave - e comunque isolato - del fatto oggetto di procedimento penale, ovvero dei precedenti di carriera vantati dal sig. -OMISSIS-

Conclude la parte per l'accoglimento dell'appello; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. In data 10 gennaio 2013 l'Amministrazione appellata si è costituita in giudizio.

5. L'appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 19 gennaio 2021.
Motivi della decisione

1. Giova, preliminarmente alla disamina dei dedotti motivi di appello, sinteticamente individuare i tratti motivazionali della gravata sentenza del T.A.R. Liguria.

Quanto alla incompetenza, dall'appellante sottolineata, del Comandante Interregionale per l'Italia Nord-occidentale (a ciò delegato dal Comandante Generale della Guardia di Finanza) ai fini dell'adozione della determinazione recante rimozione per perdita del grado, viene dal giudice di prime cure evidenziato che "la competenza di quest'ultimo (in luogo del Ministro) ... introdotta ... dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66" è "sufficiente ... a conferire efficacia, a partire dall'ottobre 2010 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 66 del 2010), alla preesistente delega (non mai impugnata)"; sul punto, ulteriormente osservandosi che "già per effetto degli artt. 16 e ss. del T.U. 165/2001, la competenza per tutti gli atti di amministrazione si è trasferita dai ministeri competenti ai dirigenti generali e, per quanto riguarda le amministrazioni ad ordinamento militare, in capo ai comandanti generali, che possono delegare i compiti loro assegnati ai comandanti ... sotto ordinati".

Con riguardo, poi, alla pure lamentata inosservanza dei termini (sia infraprocedimentali, che preordinati alla definizione del procedimento disciplinare), nella pronunzia in rassegna viene evidenziato che:

- se, "ai fini dell'osservanza del termine di perenzione del procedimento disciplinare (270 gg.) di cui all'art. 1392 del D.Lgs. n. 66 del 2010, il procedimento è concluso con l'adozione del provvedimento finale, rilevando la notifica ai soli fini dell'efficacia";

- "il provvedimento impugnato è stato tempestivamente adottato l'08/09/2011, dopo 269 giorni dal passaggio in giudicato (13/12/2010) della sentenza ex art. 444 c.p.p., a nulla rilevando la notifica del 22/09/2011";

- né "risulta violato il termine di 90 gg. (art. 392, quarto comma, del D.Lgs. n. 66 del 2010) dall'ultimo atto del procedimento, in quanto dopo la contestazione (08/03/2011) e prima del parere dell'organo disciplinare (05/07/2011) risultano intervenuti diversi atti ad effetto interruttivo, quali scritti difensivi (assunti a protocollo il 29/03/2011 ...), ordine di deferimento e nomina della Commissione di disciplina in data 18/05/2011 ..., conclusioni dell'ufficiale inquirente in data 09/05/2011 ... e altri depositati in atti dal ricorrente";

- dimostrandosi osservato il termine di novanta giorni anche con riferimento all'arco temporale intercorso "tra il parere della Commissione Disciplinare (05/07/2011), la adozione del provvedimento (08/09/2011), e la sua notifica (22/09/2011)".

Osservato, poi, che "la sentenza di applicazione della pena su richiesta fa stato anche nel giudizio per responsabilità disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso", il T.A.R. ha escluso che "l'Amministrazione ... a seguito di un "patteggiamento", ... ha l'obbligo di svolgere, in ambito disciplinare, alcuna particolare istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, potendo disporre degli elementi emersi dal giudizio penale"; permanendo "in capo all'organo disciplinare, invece, la potestà di sottoporre i medesimi fatti ad un'autonoma valutazione".

Nel rilevare come l'Amministrazione abbia "dato contezza delle responsabilità del ricorrente in ordine ai reati ed agli addebiti contestati (anche in relazione a quanto da lui dichiarato nella stessa sede disciplinare), delle giustificazioni addotte, dell'entità della condotta illecita, della negativa incidenza sull'interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto d'impiego, e della congruenza della sanzione irrogata rispetto alla gravità degli addebiti", è stata dal giudice di prime cure esclusa la fondatezza della "censura di sproporzione tra fatto disciplinare contestato e sanzione irrogata", in quanto "i comportamenti disciplinari più gravi non sono sanzionati con misure d'intensità crescenti, ma si confrontano con il superamento di una soglia giuridica, contraddistinta dalla violazione del giuramento ed oltrepassata la quale non v'è altro rimedio legittimo, per la tutela dell'integrità dell'ordinamento generale e della posizione del Corpo nel sistema, che la definitiva risoluzione del rapporto con il militare sanzionato".

Da ultimo, il Tribunale ha ritenuto non fondata anche la censura riguardante la violazione dell'art. 1389 del D.Lgs. n. 66 del 2010 (con la quale la parte ha argomentato che la sanzione della perdita del grado, benché già decisa dalla Commissione disciplinare, avrebbe dovuto essere preceduta dalla riconvocazione di una diversa Commissione, che la confermi), in quanto:

- se il citato art. 1389 D.Lgs. n. 66 del 2010 è "evidentemente inteso, nel suo complesso, a regolare i poteri di dissenso del ministro (ora Comandante Generale o suo delegato) rispetto al parere della Commissione disciplinare";

- in ogni caso, nella fattispecie all'esame il potere di dissenso in pejus, dalla citata norma disciplinato, "non è stato esercitato, confermandosi la stessa sanzione decisa dalla Commissione Disciplinare".

2. L'appellata sentenza merita conferma.

3. È, in primo luogo, infondata la censura con la quale viene dedotta l'incompetenza, ai fini dell'adozione dell'atto in prime cure gravato, del Comandante Interregionale della Guardia di Finanza Nord-occidentale.

Va, in proposito, richiamato quanto da questa Sezione recentemente affermato (sentenza 15 maggio 2020, n. 3112) circa la competenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza, in ordine all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, determinata dall'art. 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (come modificato con D.Lgs. n. 80 del 1998; e trasfuso, poi, nel D.Lgs. n. 165 del 2001), in base al quale le attribuzioni del Ministro in materia di gestione del personale sono state conferite ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, comunque denominati (e dunque, nell'ordinamento di settore, al Comandante Generale della Guardia di Finanza).

Nel caso di specie, il Comandante Generale ha conferito, nel 2008, apposita delega ai Comandanti Interregionali nella materia di cui trattasi.

Tale potere di delega trova il suo fondamento negli artt. 16, comma 1, lettere b) e d), e 17, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Testo Unico del pubblico impiego), dai quali si desume un potere generale dei dirigenti generali di delegare funzioni ai dirigenti sottordinati.

Né la prospettazione di parte appellante merita apprezzamento, quanto all'introduzione della delegabilità del potere di irrogazione delle sanzioni disciplinari soltanto per effetto del D.Lgs. n. 66 del 15 marzo 2010: di talché la preesistente delega non avrebbe, quanto alla fattispecie in esame, perdurante validità.

Dato atto dell'omessa impugnazione, da parte del sig. -OMISSIS-, della delega di che trattasi, va infatti osservato come la determinazione in prime cure gravata sia stata adottata (in data 8 settembre 2011) nella piena vigenza del citato Codice dell'ordinamento militare (8 ottobre 2010); conseguentemente, dovendosi dare atto:

- non soltanto della delegabilità del potere di che trattasi (peraltro, come rilevato, già esercitabile sulla base del D.Lgs. n. 165 del 2001);

- ma anche del legittimo esercizio di siffatto potere, ad opera del Comandante Interregionale, sulla base di precedente atto di conferimento dello stesso: il quale, legittimamente adottato sulla base della normativa da ultimo richiamata, ha conseguito ulteriore elemento di perdurante validità in conseguenza della relativa previsione, di cui al citato D.Lgs. n. 66 del 2010.

4. Parimenti infondata si dimostra la censura, con la quale parte appellante - reiterando omogenea doglianza, già in prime cure proposta - ha lamentato la violazione dei termini:

- di 270 giorni, per la conclusione del procedimento disciplinare;

- di 90 giorni, per l'adozione degli atti di carattere endoprocedimentale.

4.1 Come previsto dall'art. 1392, comma 3, del Codice dell'ordinamento militare, "il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione".

Nell'osservare come siffatto termine, nel caso di specie, sarebbe venuto a scadere il 9 settembre 2011, computandosi quale dies a quo la data del passaggio in giudicato (13 dicembre 2010) della sentenza nei confronti dell'odierno appellante pronunziata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., deve, conseguentemente, darsi atto della tempestività del provvedimento disciplinare di che trattasi, in quanto adottato in data 8 settembre 2011 (269 giorno).

Né può essere condivisa l'argomentazione difensiva dell'appellante, per cui il procedimento sarebbe perfezionato solo con la (successiva) notifica del provvedimento, in ragione della natura recettizia di tale atto, che non potrebbe, quindi, produrre effetti in mancanza della comunicazione al destinatario.

Come rilevato dal giudice di primo grado, la recettizietà dell'atto, che influisce sul momento di produzione degli effetti per il destinatario, non riguarda, invece, il diverso profilo della tempestività dell'azione amministrativa.

Sul punto, la giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, consolidata nel ritenere che il procedimento disciplinare sia tempestivamente concluso con l'adozione del provvedimento, rilevando la notificazione al destinatario solo ai fini dell'efficacia dell'atto nei suoi confronti e non ai fini del perfezionamento dell'atto stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 28 marzo 2019, n. 2050, 13 giugno 2013, n. 3279 e 2 novembre 2012, n. 5582).

4.2 Né, diversamente, rileva nella vicenda all'esame l'operatività della previsione di cui al successivo comma 4 dell'art. 1392, secondo la quale "il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall'ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta".

Come correttamente puntualizzato nella appellata sentenza, l'osservanza del termine di che trattasi appieno rileva, ove si consideri la scansione degli atti che hanno caratterizzato l'iter procedimentale, culminato conclusivamente nell'adozione dell'irrogata sanzione.

Intervenuta in data 8 marzo 2011 la contestazione di addebiti, la parte ha depositato scritti difensivi in data 29 marzo 2011.

Seguivano l'ordine di deferimento e la nomina della Commissione di disciplina (18 maggio 2011), le conclusioni dell'ufficiale inquirente ed il parere reso dall'organo disciplinare (5 luglio 2011): rispetto al quale, anche la conclusiva effusione provvedimentale si dimostra adottata (8 settembre 2011) nel rispetto del termine di che trattasi.

5. Esclusa, per effetto di quanto osservato in precedenza, la fondatezza della censura concernente la tempistica di svolgimento del procedimento e di adozione della determinazione sanzionatoria gravata, non si presta, parimenti, a condivisione l'argomentazione con la quale parte ricorrente ha lamentato l'omessa valutazione, da parte dell'Amministrazione, dei fatti e delle circostanze refluenti sulla configurazione dell'addebito disciplinare, segnatamente in presenza di una sentenza penale di condanna (resa ex art. 444 c.p.p.) asseritamente priva di "piena" attitudine dimostrativa, quanto alla antigiuridicità della condotta ed alla materiale consistenza di quest'ultima.

5.1 Va, in proposito, rammentato come, ai sensi dell'art. 653, comma 1-bis, c.p.p. "la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso".

Tale efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare è prevista anche per la sentenza di patteggiamento resa ai sensi dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p., che, escludendo l'efficacia della sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, nei giudizi civili o amministrativi, fa salva la disposizione dell'art. 653.

L'Amministrazione, quindi, nell'esercizio del proprio potere disciplinare, può e deve utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l'azione penale, sicché non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l'obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 5 novembre 2019, n. 6259 e 2 novembre 2017, n. 5053).

Ai fini disciplinari, dunque, ai sensi degli artt. 445, comma 1-bis, e 653, comma 1-bis, c.p.p., l'Amministrazione è vincolata all'accertamento del fatto, alla sua qualificazione come illecito penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Peraltro, l'organo competente deve compiere, sulle univoche risultanze fattuali emerse in sede penale, un autonomo apprezzamento circa la gravità della condotta tenuta dall'inquisito e la sua rilevanza ai fini disciplinari (Cons. Stato Sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2218 e 5 novembre 2018, n. 6259).

5.2 L'applicazione di tali consolidate coordinate giurisprudenziali, consente di rilevare che, nel caso di specie, il richiamo alla sentenza di patteggiamento pronunciata a carico dell'appellante sia idoneo a considerare accertati i fatti contestati nel giudizio penale.

Né si può ritenere che tali fatti non siano stati oggetto di una specifica valutazione nel corso del procedimento disciplinare.

L'Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, ha, infatti, dato rilievo ai fatti contestati anche sotto il profilo disciplinare, valutandoli in tale diversa prospettiva e ritenendo sussistenti la violazione del giuramento e dei doveri di moralità e rettitudine che devono accompagnare costantemente i comportamenti degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza.

Sotto tale profilo, l'incolpato ha avuto pienamente modo, nel corso del procedimento disciplinare, di esporre i motivi della sua condotta, che non sono stati ritenuti idonei a scongiurare la formulazione un giudizio negativo in ordine al comportamento tenuto, valutato gravemente in contrasto con i particolari doveri di lealtà e assoluta correttezza richiesti, anche in relazione alla particolare gravità degli addebiti contestati in sede penale (-OMISSIS-, la cui materiale consistenza risulta essere assistita da concludenti emersioni fattuali.

La condotta è stata, dunque, ritenuta incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente al Corpo, in quanto tale suscettibile di recidere integralmente il necessario affidamento che l'Amministrazione militare deve in ogni momento poter nutrire circa la persona, la moralità e la professionalità dei propri membri.

5.3 La valutazione è stata, quindi, compiutamente svolta dall'Amministrazione che ha giudicato, in modo non illogico, né irragionevole, come le condotte dell'incolpato siano state contrarie ai principi che devono improntare l'agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, il cui prestigio è stato gravemente compromesso (cfr. in tal senso Cons. Stato Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1864; id., 23 marzo 2020, n. 2017).

Si deve, in proposito, tenere presente che, tra le valutazioni connotate da ampia discrezionalità, appieno vanno annoverate quelle in ordine alla rilevanza del comportamento ai fini della irrogazione della più grave sanzione della rimozione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5582 e 27 luglio 2020, n. 4761), per cui la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di manifesta illogicità e irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335, 22 marzo 2017, n. 1302; Sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652).

Anche la Sezione di recente ha ribadito che spetta "all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità, disponendo, essa, di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo" (Cons. Stato, Sez. II, 21 dicembre 2020, n. 8198, 8 ottobre 2020, n. 5969, 15 maggio 2020, n. 3112).

Pertanto, la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700).

Se è, quindi, "incontestabile l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5672 e 15 marzo 2012, n. 1452; più recentemente, avendo questo Consiglio ha ribadito che "la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento": cfr. Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335 e 22 marzo 2017, n. 1302), tale orientamento trova puntuale conferma anche con specifico riferimento alle sanzioni disciplinari irrogate nei riguardi del personale militare, in quanto "la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700).

Ricondotto il perimetro del sindacato giurisdizionale nei limiti della "non manifesta sproporzionalità" (non potendo l'adito giudice amministrativo in nessun caso sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'Amministrazione, salvo che queste ultime si dimostrino inficiate da travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di obiettive emersioni fattuali, o, ancora, non consegua un processo logico e coerente), va rilevato che la condotta dell'appellante non appare incompatibile con la sanzione irrogata, trattandosi di un comportamento gravemente contrario alle finalità del Corpo di appartenenza.

5.4 Intende il Collegio, in proposito, escludere la fondatezza della doglianza con la quale parte appellante ha lamentato la sproporzione della sanzione inflitta rispetto agli addebiti al medesimo mossi.

Quanto ai profili della adeguatezza della sanzione e della sua proporzionalità, va richiamata la giurisprudenza secondo cui il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario (art. 5, ultimo comma, del Trattato C.E., e ora art. 5, comma 4, del Trattato U.E.), non consente di per sé di sindacare il merito dell'azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4381).

Di conseguenza, il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall'autorità disciplinare, che possono invece essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell'abnormità, o, comunque, evidenzino profili di eccesso di potere (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2017, n. 5053).

In sostanza, in tema di sanzioni disciplinari per i dipendenti delle Forze Armate, l'Amministrazione dispone di un'ampia sfera di discrezionalità nell'apprezzamento della gravità dei fatti e nella graduazione della sanzione disciplinare, fermo restando che l'applicazione della misura afflittiva deve conformarsi a parametri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla rilevanza dell'illecito ascritto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 10 dicembre 2020, n. 7880).

Di conseguenza, se normalmente il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella della competente autorità amministrativa, sono però fatti salvi i limiti della manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà della valutazione dell'Autorità procedente.

Nella fattispecie all'esame, tuttavia, non appare arbitraria, né illogica, l'impugnata sanzione, irrogata in ragione di una prolungata condotta che - ex se connotata da carattere palesemente antigiuridico e biasimevole sotto il profilo morale - si è, ulteriormente, gravemente posta in contrasto con i doveri di decoro e di dignità derivanti dallo status rivestito dall'interessato, per come funzionali alla tutela del prestigio delle Forze Armate ed ai conseguenti valori di sobrietà e compostezza, con i quali devono senz'altro ritenersi incompatibili le condotte ascritte al sig. -OMISSIS- ascritte.

6. La constatata infondatezza delle esaminate doglianze, impone la reiezione dell'appello, con riveniente conferma della sentenza resa dal T.A.R. Liguria.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante, sig. -OMISSIS-, al pagamento, in favore dell'Amministrazione appellata, delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura di Euro 2.000,00 (Euro duemila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 19 gennaio 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Carlo Deodato, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Roberto Politi, Consigliere, Estensore
Avv. Antonino Sugamele

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