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Sentenza

Appuntato dei Carabinieri, piantone, si rivolge al Capitano che doveva uscire da...
Appuntato dei Carabinieri, piantone, si rivolge al Capitano che doveva uscire dal cancello con frasi
Autorità:  Cassazione penale  sez. I
Data udienza:  28 settembre 2012
Numero:  n. 40304
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. BARDOVAGNI Paolo         -  Presidente   -                     
Dott. VECCHIO    Massimo  -  rel. Consigliere  -                     
Dott. ROMBOLA'   Marcello      -  Consigliere  -                     
Dott. TARDIO     Angela        -  Consigliere  -                     
Dott. BONITO     Francesco M.  -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)                    C.V.G. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la sentenza n. 20/2011 CORTE 
		  MILITARE  APPELLO di  ROMA,  del 
15/06/2011; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 28/09/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO; 
Udito,  altresì,  nella pubblica udienza il Pubblico  Ministero,  in 
persona del dott. FLAMINI Luigi Maria, sostituto procuratore generale 

		  militare   della Repubblica presso questa Corte suprema di cassazione, 
il  quale  ha concluso per la inammissibilità del ricorso e  per  la 
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una 
somma a favore della cassa delle ammende. 
                           RILEVA IN  
                 

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RILEVA IN FATTO
1. - Con sentenza, deliberata il 15 giugno 2011 e depositata il 14 luglio 2011, la Corte militare di appello, in parziale riforma della impugnata sentenza del Tribunale Militare di Roma, di condanna dell'appellante C.V.G., appuntato scelto dei Carabinieri, per i delitti - contestati in continuazione - di insubordinazione con minaccia e ingiuria, aggravata, à sensi dell'art. 81 cod. pen., art. 189, commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, nn. 2, 3 e 4, commessi in (OMISSIS), in danno del capitano V.G., comandante della locale compagnia dei Carabinieri, ha qualificato la condotta come insubordinazione con ingiuria aggravata; ha concesso circostanze attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti alle ritenute aggravanti del grado, della commissione del fatto in servizio e della presenza di tre o più militari; ha ridotto la pena a due mesi di reclusione miliare; e ha confermato nel resto la decisione del primo giudice.
Sulla base della relazione di servizio del 25 marzo 2009, redatta dalla persona offesa, della deposizione dell'ufficiale e del testimoniale a carico, i giudici di merito hanno accertato che il giudicabile, in servizio di piantone al corpo di guardia della caserma, ripreso dal superiore per aver replicato "che cazzo me frega" all'ordine di aprire il cancello all'atto della uscita del i Comandante provinciale, in visita di commiato alla Compagnia, aveva, quindi, proferito, con tono di voce alterato, in presenza di altri militari, le seguenti espressioni all'indirizzo del capitano V.: "... che ci hai problemi di vista? perchè mi guardi storto? .. non mi fai paura .. tanto arriverà pure per te, non ti preoccupare .. arriverà il tuo tempo .. non finisce qua!" etc...
Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a quanto assume rilievo nel presente scrutinio di legittimità, la Corte militare ha osservato: circa l'accertamento della condotta delittuosa le discrasie e le "diversità di dettaglio" nel testimoniale, denunziate dall'appellante, sono, per vero, affatto fisiologiche e non infirmano il quadro probatorio e la ricostruzione del fatto; è, infatti, "del tutto normale" che particolari e specifiche espressioni possano essere state percepite e/o ricordate non da tutti i testimoni;
l'imputato ha, peraltro, ammesso di essersi rivolto al capitano con la espressione "perchè mi guardi così?"; il comandante della Stazione luogotenente C.L. dovette chiudere la porta del corpo di guardia per contenerne "la furia espressiva" del giudicabile; mentre nessuno dei testi ha confermato le parole e l'atteggiamento (di provocazione), attribuiti dal C. all'ufficiale; e priva di pregio è l'allegazione difensiva di pregresse vicende personali e di servizio dell'appellante, in relazione alle quali il Comandante provinciale aveva invitato C. a mettersi a rapporto, in seguito all'inopportuno intervento dell'appuntato in occasione della cerimonia di commiato;
la portata offensiva delle frasi pronunciate e la lesione dell'onore, della dignità e del prestigio del superiore sono evidenti; le espressioni "ascritte a titolo di insubordinazione con minaccia", per la loro "genericità" appaiono piuttosto riconducibili nella previsione della insubordinazione con ingiuria, trattandosi di "scomposta espressione della disistima" nutrita dell'appellante nei confronti del capitano, nella convinzione "di essere vittima di una sorta di vessazione collettiva da parte di superiori e colleghi"; in considerazione della intensità del dolo, reputata "non elevata" e della "condizione psicologica" del giudicabile possono essere riconosciute circostanze attenuanti generiche, equivalenti alla aggravanti; la pena merita di essere equamente ridotta a due mesi di reclusione militare .
2. - Ricorre per cassazione l'imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Renato Olivieri, mediante atto del 13 ottobre 2011, depositato il 14 ottobre 2011 col quale sviluppa tre motivi.
2.1 - Con il primo motivo il difensore denunzia à sensi dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), manifesta illogicità della motivazione, opponendo che i testimoni capitano A.R., capitano Z.P. e luogotenente L. C. non avevano confermato le frasi attribuite al ricorrente e sussunte dalla Corte militare sotto la ipotesi della insubordinazione con ingiuria: "tanto arriverà pure per te ..
arriverà il tuo tempo", così smentendo l'accusa; e che incongruo è il riferimento del giudice a quo alla imprecisione del ricordo, in quanto gli ufficiali e il sottufficiale avevano redatto le rispettive annotazioni di servizio "poche ore dopo i fatti".
2.2 - Con il secondo motivo il difensore denunzia à sensi dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 189 c.p.m.p., deducendo: le residue espressioni "perchè mi guardi storto .. ti sei portato i testimoni .. c'è l'hai con me? .. mi avete rovinato" non integrano il delitto, in mancanza dell'elemento soggettivo, costituendo, piuttosto, mera espressione di "malcontento" e, nel contesto della vicenda, la prosecuzione delle rimostranze in precedenza formulate al comandante provinciale nel corso della cerimonia di commiato.
2.3 - Con il terzo motivo il difensore denunzia à sensi dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), mancanza della motivazione, in ordine alla dosimetria della pena, censurando l'omesso richiamo dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. e la mancata considerazione dei "torti subiti" dal ricorrente, della incensuratezza e della condotta processuale di costui.
3. - Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1 - Non ricorre - alla evidenza - il vizio della violazione di legge:
- nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all'operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);
- nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte Militare esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.
3.2 - Neppure ricorre vizio alcuno della motivazione.
In ordine all'accertamento della condotta e in ordine alla dosimetria della pena (irrogata in misura affatto contenuta, pari a un sesto del medio edittale) il giudice a quo ha dato conto adeguatamente - come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. - delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte:
Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di viti a della motivazione, si sviluppano tutti nell'orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 3, 3.3 - Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè - valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione - al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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