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Sentenza

Millantando credito presso 3 colonnelli dell'esercito italiano si faceva consegn...
Millantando credito presso 3 colonnelli dell'esercito italiano si faceva consegnare 15.000 euro da un candidato al concorso sergenti per farlo assegnare a Roma.
Autorità:  Cassazione penale  sez. VI
Data udienza:  09 ottobre 2012
Numero:  n. 40284
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. DE ROBERTO Giovanni      -  Presidente   -                     
Dott. CORTESE    Arturo   -  rel. Consigliere  -                     
Dott. CAPOZZI    Raffaele      -  Consigliere  -                     
Dott. DI SALVO   Emanuele      -  Consigliere  -                     
Dott. DE AMICIS  Gaetano       -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)                D.C.A.C. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  3487/2010  CORTE  APPELLO  di  ROMA,   del 
09/12/2010; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 09/10/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. ARTURO CORTESE; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del  Dott.  Viola  Alfredo 
Pompeo che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
Udito il difensore avv. Porchetta che si è riportato al ricorso. 
                 

(Torna su   ) Fatto
FATTO
Il Tribunale di Roma, con sentenza 02,07.2009 condannava D.C. A.C., all'esito del giudizio abbreviato e previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 300,00 di multa per il delitto di cui all'art. 346 c.p., comma 2, perchè, millantando credito presso tre colonnelli dell'esercito italiano e col pretesto di dover comprarne i favori, si faceva consegnare la somma di Euro 15.000,00 da C.G., interessato all'assegnazione della sede di Roma all'esito di un concorso per Sergenti.
Il Tribunale , sulla base delle risultanze in atti (esiti di P.G., dichiarazioni del C.) accertava che l'imputata, dipendente del Ministero della Difesa, venuta a conoscenza della predetta esigenza del C., gli assicurava che l'avrebbe potuta soddisfare grazie all'accordo con tre colonnelli, cui si sarebbero però dovuti corrispondere Euro 15.000,00, si fissava, quindi, un appuntamento per la consegna dell'importo in una conversazione telefonica che veniva ascoltata in viva voce anche dalla P.G., allertata dal C., e dopo l'effettiva consegna, i militari entravano nell'appartamento della prevenuta, rinvenendo su un tavolo banconote per Euro 10.000,00 e un assegno per Euro 5.000,00.
Su appello dell'imputata, la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 09.12.2010, confermava la pronuncia di primo grado.
Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il difensore della D.C., deducendo che la Corte di merito:
- interpretando la scelta del rito abbreviato come una sorta di ammissione di responsabilità e incorrendo in oggettivi travisamenti (sull'esistenza di una figlia della prevenuta e su un suo incarico pregresso presso l'Amministrazione militare ), ha apoditticamente respinto i rilievi formulati nell'atto di appello, con cui si era evidenziata la mancanza di riscontri alla versione del C., caratterizzata da numerose stranezze e accreditata su un piano di mera verosimiglianza che avrebbe dovuto condurre a un proscioglimento ex cpv. art. 530 c.p.p.;
- non ha tenuto conto, ai fini della commisurazione della pena, dell'incensuratezza della prevenuta e del suo comportamento processuale;
- non ha preso in esame la configurabilità, nella specie, di un delitto solo tentato, stanti l'immediato intervento degli operanti e il non recepimento, da parte della presunta vittima, della rappresentazione fatta dalla prevenuta;
- non ha motivato in ordine alla plausibile riqualificazione del fatto come truffa (perseguibile a querela, che nella specie è stata rimessa) nell'ipotizzata insussistenza dell'elemento costituito dal "favore" dei tre colonnelli.
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
I motivi in punto responsabilità concernono sia la ricostruzione operata dai giudici di merito dei fatti oggetto dell'imputazione che la possibilità di ritenere che il fatto accertato possa astrattamente integrare il fatto tipico del delitto di millantato credito previsto dall'art. 346 cod. pen.. Com'è noto questa norma sanziona la condotta di chi, millantando credito presso un pubblico ufficiale riceve o fa dare o fa promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione (comma 1) ovvero come prezzo per comprare il favore del pubblico ufficiale o per remunerarlo (comma 2). Trattasi di un delitto del privato contro la pubblica amministrazione il cui retto e imparziale funzionamento costituisce l'oggetto della tutela. Per integrare la fattispecie tipica, ed in particolare l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 346 (che costituisce ipotesi autonoma di reato e non aggravante: v. Cass., sez. 6^, 20 febbraio 2006 m 22248, Ippaso e altri, rv. 234719) è irrilevante che l'agente indichi nominativamente i funzionali o impiegati che devono essere comprati o remunerati (v. Cass., sez. 6^, 27 gennaio 2000 n. 2645, Agresti e altro, rv. 215651; 17 giugno 1999 n. 9425, Fatone, rv. 214125).
Alla luce di questi principi, è inconferente il rilievo che non fossero stati nominativamente indicati i colonnelli da corrompere.
Quanto alle censure che investono la valutazione del materiale probatorio, le stesse sono inammissibili, perchè prospettano insufficienze e perplessità sulla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, che, alla stregua delle motivazioni congiunte delle sentenze di primo e secondo, non riescono a evidenziare vizi rilevanti in questa sede.
Da tale inammissibilità resta travolta anche la contestazione (rilevante per la prospettata riqualificazione del fatto come truffa) relativa all'effettivo riferimento al "favore" dei colonnelli da comprare: contestazione peraltro, e significativamente, non accompagnata da indicazioni concrete di altre possibili causali della richiesta di denaro.
Il dedotto travisamento attinente al rapporto madre-figlia della prevenuta e al suo incarico cessato alla Difesa si risolve poi in una mera e irrilevante confusione, fatta in appello, sulle reali relazioni familiari e lavorative della D.C. (priva di prole e dipendente in atto del Ministero, presso il quale aveva in passato lavorato anche la di lei madre).
Relativamente alla richiesta di riqualificare il fatto come millantato credito tentato, si osserva che, nei motivi di appello, tale deduzione era stata fatta sull'assunto dell'immediato intervento degli operanti: circostanza evidentemente inidonea allo scopo, posto che, per la consumazione del delitto, era sufficiente la mera precedente promessa di denaro. Nel ricorso la difesa, oltre a richiamare la circostanza suddetta aggiunge il rilievo che la condotta della imputata non aveva ingenerato nel C. alcun convincimento idoneo a far perfezionare il reato. Di tale nuova prospettazione fattuale non può questa Corte tenere conto.
La censura sulla pena, infine, investe un punto della decisione che è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità, ove - come appunto nel caso di specie (v. il richiamo alla gravità della condotta e alla rilevanza della richiesta di denaro) - corredata di una motivazione riconducibile ai canoni di cui all'art. 133 c.p. e idonea a far emergere la ragione della concreta scelta operata.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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