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Sentenza

Offre 4 pastiglie di ecstasy ad un carabiniere in borghese. Si difende sostenend...
Offre 4 pastiglie di ecstasy ad un carabiniere in borghese. Si difende sostenendo che scherzava.
Autorità:  Cassazione penale  sez. IV
Data udienza:  23 ottobre 2012
Numero:  n. 41994
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE QUARTA PENALE                        
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. SIRENA     Pietro Antoni -  Presidente   -                     
Dott. MASSAFRA   Umberto       -  Consigliere  -                     
Dott. MARINELLI  Felicetta     -  Consigliere  -                     
Dott. PICCIALLI  Patrizia -  rel. Consigliere  -                     
Dott. MONTAGNI   Andrea        -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)         T.M. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  1283/2009  CORTE  APPELLO  di  LECCE,  del 
07/07/2010; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 23/10/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. D'Ambrosio  Vito 
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 
 Fatto
RITENUTO IN FATTO
T.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, l'ha riconosciuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 offerta in vendita di n. 4 pastiglie di ecstasy ad un carabiniere in borghese.
Articola vari motivi.
Con il primo lamenta la violazione del principio di offensività, sotto il profilo che indosso all'imputato erano state in effetti trovate solo due pastiglie della sostanza, che risultavano contenere "mg. 27 di principio attivo, pari ad 1/5 di dose come quantificata dal dm 11 aprile 2006".
Si assume che la sostanza sarebbe stata priva di qualunque efficacia drogante a causa della percentuale insufficiente di principio attivo, onde doveva trovare applicazione il disposto dell'art. 49 c.p..
Con il secondo motivo, prospettala carenza dell'elemento oggettivo dell'offerta in vendita, sotto il profilo che sarebbe mancata la concreta disponibilità della droga in capo all'offerente, desumibile dal fatto che indosso a questi non erano state trovate le 4 pastiglie oggetto dell'"offerta", ma solo due.
Lamenta poi la mancata considerazione del prospettato uso personale della sostanza, asseritamente supportato da alcune deposizioni testimoniali, ingiustificatamente sottovalutate.
Con il terzo motivo, lamenta l'apprezzamento della vicenda operato dai giudici di merito, stavolta sotto il profilo che non era stato considerato che "l'offerta" sarebbe stata rivolta al militare in tono scherzoso" ciò che dove portare ad escludere l'elemento soggettivo del reato, in ragione di un'asserita pregressa conoscenza del militare stesso, in ragione di precedenti controlli di polizia.
Con il quarto motivo, collegato al secondo, si lamenta il mancato proscioglimento ex art. 530 c.p.p., comma 2, in riferimento alla mancanza di prova univoca della destinazione illecita.
Considerato in diritto II ricorso è manifestamente infondato.
Basta in proposito richiamare, sulla questione della rilevanza penale delle condotte illecite aventi ad oggetto quantitativi di sostanza inferiore alla "soglia drogante", la nota sentenza delle Sezioni unite, 24 giugno 1998, Kremi, che, sul punto, ha preso posizione nel senso della rilevanza penale della condotta pur se avente ad oggetto un quantitativo di sostanza assolutamente irrilevante e, comunque, privo di efficacia drogante.
Del resto, come la Corte ha avuto occasione di ulteriormente precisare, integra condotta punibile D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ex art. 73 la condotta illecita che abbia ad oggetto sostanza stupefacente che, pur in quantità non superiore alla "dose media giornaliera", risulti comunque idonea a produrre effetto stupefacente (cfr. Sezioni unite, 29 novembre 2007, Di Rocco).
Ciò che qui non è dubitabile: pur essendosi in presenza di un quantitativo di principio attivo inferiore a quello corrispondente alla dose media singola di cui al dm 11 aprile 2006, nulla autorizza ad affermare l'inidoneità drogante assoluta che sola consentirebbe di evocare l'art. 49 c.p..
Inaccoglibile è la doglianza che vorrebbe prospettare l'insussistenza dell'offerta in vendita. Basta richiamare la giurisprudenza secondo cui ai fini dell'offerta in vendita punibile sarebbe sufficiente la semplice "dichiarazione" dell'agente, purchè realizzabile e non priva di serietà, alla luce delle circostanze e modalità del fatto, di essere in grado di procurarsi la droga da mettere a disposizione dell'altro soggetto (cfr., tra le altre, Sezione 6^, 16 marzo 2004, Benevento ed altri e Sezione 6^, 19 ottobre 2004, Bassi ed altri, laddove, in particolare, si è affermato che ai fini della punibilità della condotta di "offerta" è necessario e sufficiente che l'offerente abbia l'effettiva, anche se non attuale, disponibilità della droga, purchè, pertanto, egli sia in grado, concretamente, di procurarsela; mentre, per contro, non è necessario, per il perfezionamento dell'ipotesi criminosa, il raggiungimento di un accordo con il cessionario della droga, nè, tantomeno, la traditio concreta della sostanza).
Qui, in vero, il giudice di merito si diffonde in modo convincente sulle ragioni del rinvenimento di solo due delle pastiglie offerte ciò che già basterebbe per ravvisare il reato.
Doglianze di merito, perchè concernono in ammissibilmente l'apprezzamento valutativo della prova riservato al giudice di merito, sono le altre doglianze, dove si vorrebbe rimettere in discussione la conforme e convincente ricostruzione puntuale in ordine a tutti i profili qui segnalati con il ricorso dei giudici di primo e secondo grado.
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost, sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della cassa delle ammende.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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