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Sentenza

Luogotenente dell'esercito italiano accusato di peculato militare continuato plu...
Luogotenente dell'esercito italiano accusato di peculato militare continuato pluriaggravato.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    09/07/2013 ( ud. 09/07/2013 , dep.02/10/2013 ) 
Numero:
    40836

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. SIOTTO  Maria Cristina   -  Presidente   -                     
    Dott. TARDIO  Angela           -  Consigliere  -                     
    Dott. CAPOZZI Raffaele         -  Consigliere  -                     
    Dott. MAZZEI  Antonella   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. MAGI    Raffaello        -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               C.S., nato a (OMISSIS); 
    avverso l'ordinanza in data 6 dicembre 2012 del Tribunale militare di 
    Roma n. 9/2012; 
    Letti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; 
    sentita,  nell'udienza in camera di consiglio del 9 luglio  2013,  la 
    relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonella Patrizia Mazzei; 
    udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto 
    Procuratore Generale Militare, Dott. Flamini Luigi Maria, il quale ha 
    chiesto il rigetto del ricorso; 
    udito  il  difensore del ricorrente, avvocato Pesciarelli  Paolo,  il 
    quale ha chiesto l'accoglimento dei motivi del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza del 6 dicembre 2012 il Tribunale militare di Roma, costituito ai sensi dell'art. 310 c.p.p., ha rigettato l'appello e confermato la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico servizio per la durata di giorni sessanta, a decorrere dall'inizio di esecuzione della medesima misura, applicata dal Giudice per le indagini preliminari, con provvedimento del 5 novembre 2012, nei confronti di C.S., luogotenente dell'esercito italiano in servizio presso l'ufficio gestione della cassa di previdenza delle forze armate, I reparto del personale, stato maggiore della difesa", sottoposto ad indagini per il delitto di peculato militare continuato pluriaggravato, ai sensi dell'art. 81 cpv. c.p., art. 47 c.p.m.p., nn. 2 e 4, art. 215 c.p.m.p., in relazione all'appropriazione di somme di denaro dell'amministrazione militare, in Roma, tra il 2001 e il 2011, con le circostanze aggravanti del grado militare rivestito e del pubblico scandalo.

    2. Ricorre per cassazione il C. tramite i suoi difensori di fiducia, avvocati Umberto Verdacchi e Paolo Pesciarelli, i quali deducono due motivi di impugnazione.

    2.1. Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale e l'illogicità della motivazione in punto di asserito pericolo di reiterazione del reato.

    Il concreto pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede non sussisterebbe, essendo stato il C. trasferito ad altro ufficio (e, al riguardo, remota sarebbe la possibilità di una revisione di tale trasferimento su richiesta dell'interessato o d'ufficio); nella nuova collocazione l'indagato non potrebbe appropriarsi il denaro dell'amministrazione ovvero commettere delitti della stessa specie, intesi come lesivi del medesimo bene giuridico (tale non essendo il furto militare paventato nell'ordinanza impugnata); la concretezza del pericolo, inoltre, non potrebbe collegarsi, come ritenuto dai giudici della cautela, alla mera durata dell'attività criminosa ipotizzata, protrattasi per un decennio, ai motivi che l'avrebbero ispirata (accanita dedizione del C. al gioco d'azzardo) e alle modalità esecutive del reato (connotate, secondo l'ordinanza, da scaltrezza e spregiudicatezza).

    2.2. Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. a), il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in ordine al ritenuto pericolo di inquinamento probatorio.

    Il C. è reo confesso: illogicamente l'ordinanza impugnata avrebbe svalorizzato tale dato, assumendo che la confessione sarebbe stata incompleta.

    In realtà, la complessità del fatto, il suo lungo dipanarsi nel tempo con l'intervento di soggetti sempre diversi e di intermediari, in alcuni casi, neppure entrati in contatto con il C. avrebbero reso particolarmente laboriosa la puntuale ricostruzione della vicenda criminosa per ragioni oggettive, non discendenti da una presunta resistenza dell'indagato alla piena collaborazione con gli inquirenti.

    Solo astrattamente e genericamente, poi, il pericolo di inquinamento probatorio sarebbe stato desunto dalla conservata posizione di militare in servizio del C. con le possibilità operative ad essa connesse nella nuova sede di lavoro presso il comando militare di Roma.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

    I sessanta giorni di operatività della misura interdittiva fissati nell'ordinanza applicativa della misura, risalente al 5 novembre 2012, sono ampiamente decorsi come riconosciuto, nell'odierna udienza, dal difensore comparso il quale ha dato atto dell'avvenuta cessazione della misura; e l'interessato non ha manifestato, con specifica e motivata deduzione, il suo interesse a coltivare l'impugnazione (c.f.r., in senso conforme, con riguardo al caso di ricorso avverso provvedimento applicativo di una misura custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace: Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. il 1/03/2011, Testini).

    2. La sopravvenuta inammissibilità non comporta provvedimenti accessori di condanna, in adesione alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, qualora il venir meno dell'interesse alla decisione del ricorso per cassazione sopraggiunga alla sua proposizione, alla dichiarazione di inammissibilità non consegue la condanna del ricorrente nè alle spese del procedimento, nè al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, dep. 06/12/1996, Vitale, Rv.

    206168; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, dep. 18/07/1997, Chiappetta, Rv.

    208166; Sez. 6, n. 22747 del 06/03/2003, dep. 22/11/2003, Caterine Rv. 226009; Sez. 2, n. 30669 del 17/05/2006, dep. 14/09/2006, De Mitri, Rv. 234859).
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

    Così deciso in Roma, il 9 luglio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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