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Sentenza

Maresciallo dell'Esercito in s.p.e. loca un proprio immobile a due straniere che...
Maresciallo dell'Esercito in s.p.e. loca un proprio immobile a due straniere che vi esercitano la prostituzione. Sospeso tre mesi dal servizio.
Autorità
    Consiglio di Stato  sez. IV   
Data:
    22/02/2013 ( ud. 15/01/2013 , dep.22/02/2013 ) 
Numero:
    1103

 

    Intestazione

                             REPUBBLICA ITALIANA                         
                         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
                            Il Consiglio di Stato                        
    in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)                             
    ha pronunciato la presente                                           
                                   SENTENZA                              
    sul ricorso numero di registro generale 5121 del 2006, proposto da:  
    Re.  Gi.,  rappresentato  e difeso dagli avv. Stefano Viti, Benedetto
    Bevilacqua,  con domicilio eletto presso Stefano Viti in Roma, piazza
    della Libertà N.20;                                                  
                                    contro                               
    Ministero  della Difesa in persona del Ministro p.t., rappresentato e
    difeso  per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in
    Roma, via dei Portoghesi, 12;                                        
    per la riforma                                                       
    della  sentenza  del  T.A.R.  EMILIA ROMAGNA - Bologna - Sezione I n.
    00020/2006,  resa  tra le parti, concernente sospensione disciplinare
    dall'impiego.                                                        
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;                   
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;  
    Viste le memorie difensive;                                          
    Visti tutti gli atti della causa;                                    
    Relatore  nell'udienza  pubblica  del giorno 15 gennaio 2013 il Cons.
    Giulio  Veltri  e  uditi  per  le parti gli avvocati Marco Orlando(su
    delega di Stefano Viti) e l'avvocato dello Stato Luca Ventrella;     
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.              


    Fatto
    FATTO e DIRITTO

    L'appellante è un maresciallo in s.p.e dell'Esercito, disciplinarmente sanzionato con la sospensione dall'impiego per mesi tre, in relazione a comportamenti per i quali è stato incriminato, ma assolto in sede penale perché il "fatto non sussiste"(sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione). La sanzione è stata, nonostante l'assoluzione, ugualmente inflitta, sostanzialmente perché - secondo l'amministrazione - l'avere il militare locato un proprio immobile a due straniere che vi esercitavano la prostituzione integra un comportamento comunque "censurabile sotto l'aspetto disciplinare perché contrario ai principi di lealtà e rettitudine nonché lesivo del prestigio e dell'immagine dell'istituzione e non consono alla dignità del grado rivestito ed ai doveri di esemplarità propri dello status di militare".

    Il TAR Emilia Romagna, adito dal m.llo Re., ha respinto la domanda di annullamento, considerando il provvedimento dotato di sufficientemente motivazione; correttamente sanzionatorio di una condotta oggettivamente lesiva della dignità e del prestigio dell'amministrazione militare; rispettoso del principio di proporzionalità.

    La sentenza è ora appellata dal medesimo per i seguenti motivi:

    1. Violazione dell'art. 653 c.p.p. I fatti posti a base del procedimento disciplinare sarebbero i medesimi di quelli giudicati insussistenti dal giudice penale, ragion per cui l'assoluzione avrebbe dovuto indurre all'archiviazione del procedimento. La sentenza penale avrebbe in particolare escluso che il militare abbia preteso canoni di locazione maggiorati, ritenendo per il resto ininfluente, ai fini penali, l'eventuale attività svolta dalle locatarie nell'appartamento locato. Il procedimento era stato avviato in relazione anche all'ipotesi di sfruttamento della prostituzione e dunque, una volta escluso la sussistenza di tale fatto in sede penale, tutto il procedimento disciplinare avrebbe dovuto cadere. Il semplice elemento della locazione non varrebbe ad integrare, ai fini disciplinari, un fatto nuovo, pena l'elusione dell'obbligo di tempestiva contestazione.

    2.Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 l. 599/54 e dell'art. 3 l. 241/90. La sentenza non avrebbe, erroneamente, tratto conseguenze invalidanti dalla mancata indicazione, nella motivazione del provvedimento, delle specifiche norme violate, nonché del tenore dei pareri dei superiori gerarchici del sottufficiale, tutti deponenti per l'irrilevanza disciplinare del comportamento contestato.

    3. Violazione sotto altro profilo dell'art. 3 della legge 241/90. Il giudice di prime cure avrebbe tautologicamente ritenuto l'addebito di "notevole gravita", giustificando perciò solo l'entità della sanzione inflitta, pur a fronte di una gamma di sanzioni meno afflittive maggiormente rispettose del principio di gradualità avuto riguardo alla tenuità delle violazioni.

    4. L'amministrazione, ritualmente costituitasi nel giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame.

    5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 15 gennaio 2013.

    - L'appello non è fondato.

    6. Pur a fronte dell'assoluzione per i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, la sentenza penale ha confermato, nella ricostruzione dei fatti compiuta ai fini dell'accertamento di eventuale responsabilità penali, che il militare ha locato un appartamento a due straniere che vi esercitavano la prostituzione, attività della quale il militare era a conoscenza.

    L'amministrazione di conseguenza ha agito in via disciplinare per questo sol fatto e non per quelli, ben più gravi, del possibile sfruttamento e favoreggiamento, esclusi dal giudice penale ("il fatto non sussiste"- è ovviamente riferito ai fatti contestati di rilievo penale e non agli altri). Ha poi ritenuto il fatto, integrativo di una condotta riprovevole sul piano disciplinare, anche per l'immagine ed il prestigio delle Forze armate, oltre che per i doveri di esemplarità propri dello status militare.

    Si tratta di un fatto diverso, e più contenuto nel suo disvalore disciplinare, rispetto all'iniziale contestazione contenuta nell'avvio dell'inchiesta disciplinare che aveva abbracciato anche le ipotesi di sfruttamento e favoreggiamento: e ciò proprio a causa della valenza ostativa che la sentenza di assoluzione ha rivestito in relazione ai fatti da ultimo menzionati. Il giudicato non è stato quindi violato né eluso, ma anzi considerato quale fattore di contenimento e delimitazione della valutanda responsabilità disciplinare, concentratasi in effetti sul fatto residuale della mera locazione, in se giudicato biasimevole, secondo un metro che non può certo definirsi irragionevole per le Forze armate.

    7. Ne può dirsi - quanto al secondo motivo d'appello - che l'aver descritto e valutato il comportamento senza averlo sussunto esplicitamente nell'ambito di una norma sanzionatoria, costituisce fattore invalidante erroneamente non rilevato dal Giudice di prime cure, poichè è pacifico che il riferimento formale alla norma non sia indispensabile ove la stessa sia oggettivamente esistente ed efficace. Il giudice di prime cure l'ha individuata nell'art. 21 della l. 599/1954 e tanto è sufficiente ad elidere il potenziale invalidante del mancato riferimento.

    7.1. Per ciò che concerne, inoltre, i pareri, essi costituiscono elementi istruttori e valutativi che lasciano intatta la potestà decisionale finale dell'organo dotato di potere disciplinare, il quale non è obbligato a replicare in ordine al proprio diverso convincimento, salvo che trattasi di elementi istruttori che modifichino la ricostruzione dei fatti od introducano fattori giustificativi tali da riverberare su quelle "risultanze" richiamate dall'art. 3 della l. 241/90.

    8. Anche il terzo ed ultimo motivo deve essere disatteso. Il principio di gradualità e proporzionalità non risulta violato, atteso che - come condivisibilmente evidenziato dal Giudice di prime cure - la sanzione della sospensione presenta un massimo edittale di dodici mesi e nel caso di specie ne sono stati irrogati tre.

    9. In conclusione l'appello è respinto.

    10. Sussistono comunque giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:

    Gaetano Trotta, Presidente

    Raffaele Greco, Consigliere

    Diego Sabatino, Consigliere

    Andrea Migliozzi, Consigliere

    Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 22 FEB. 2013
Avv. Antonino Sugamele

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