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Sentenza

Militare professionista affiliato a cosche mafiose. Intercettate telefonate tra ...
Militare professionista affiliato a cosche mafiose. Intercettate telefonate tra il padre e il militare. Gravi indizi.
Autorità:  Cassazione penale  sez. V
Data udienza:  07 novembre 2012
Numero:  n. 4624

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE QUINTA PENALE                        
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. FERRUA        Giuliana   -  Presidente   -                     
Dott. MARASCA       Genna -  rel. Consigliere  -                     
Dott. DE BERARDINIS Silvana    -  Consigliere  -                     
Dott. FUMO          Maurizio   -  Consigliere  -                     
Dott. SETTEMBRE     Antonio    -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
                    C.V.S. N. IL (OMISSIS); 
avverso  l'ordinanza  n. 417/2012 TRIB. LIBERTA'  di  CATANZARO,  del 
17/04/2012; 
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENNARO MARASCA; 
Udito   il   Pubblico  Ministero  in  persona  della  dott.  FODARONI 
Giuseppina che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
La Corte di Cassazione: 
                 

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OSSERVA
Nell'ambito di un procedimento penale che aveva ad oggetto numerose associazioni di stampo mafioso operanti nel territorio di Paola e comuni limitrofi, nonchè i delitti di omicidio, determinati dalle guerre di mafia, ed estorsione in danno di imprenditori operanti nella zona suddetta, il GIP presso il tribunale di Catanzaro, con ordinanza emessa il 16 marzo 2012, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di C.V. S., militare professionale e che era stato vittima di un tentato omicidio, per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, essendo stato il C. prima componente della cosca Scofano-Martello-Serpa-La Rosa e poi della cosca Scofano-Martello-La Rosa, di tentato omicidio in danno di G.G., di omicidio in danno di S.P., ed estorsione in danno della Edil restauro srl. Le indagini erano caratterizzate da numerose intercettazioni telefoniche, da acquisizione di sentenze definitive concernenti l'accertamento della esistenza delle varie cosche, da dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e da indagini di polizia giudiziaria.
Per quel che concerne l'odierno indagato i gravi elementi indiziari di partecipazione alle suddette associazioni emergevano, secondo il GIP, dall'esito di numerose intercettazioni di conversazioni telefoniche e dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia S.G. e S.U..
Il tribunale del riesame di Catanzaro, con ordinanza del 17 aprile 2012, confermava la misura custodiale in danno del C. in relazione al delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen. e riteneva, invece, non grave il quadro indiziario in relazione al delitto di estorsione ed a quelli di tentato omicidio e di omicidio. In effetti il tribunale riteneva gli indizi emersi a carico dell'indagato non connotati da gravita per i delitti indicati, ma traeva dalle dichiarazioni rese dai collaboranti in merito a questi episodi elementi, che, valutati unitariamente alle attività criminose poste in essere insieme a D.G. - danneggiamene seguiti da incendio, alle dichiarazioni di S.U. e ai dialoghi intercettati tra il C. ed il padre e la madre, consentivano di ritenere raggiunta la gravità indiziaria in ordine ai due delitti associativi contestatigli.
Con il ricorso per cassazione C.V.S. deduceva:
1) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto insussistenza della gravita indiziaria in relazione ai capi di imputazione 3) e 5) perchè il tribunale, dopo avere affermato che il quadro indiziario a carico del C. per i delitti di tentato omicidio del G., di omicidio di S. P. e della estorsione in danno della Edil Restauro non era grave, aveva sostenuto che gli indizi, comunque emergenti, erano idonei a ritenere il C. un associato alle cosche indicate; il tribunale, però, non precisava quali fossero in concreto tali indizi. Inoltre si ritenevano elementi a carico quelli desunti dalla partecipazione con l'amico D.G. ad alcuni episodi di danneggiamento; orbene il ricorrente, dopo avere contestato siffatta partecipazione, ha rilevato che il collegamento con una persona sospettata di partecipare ad una associazione mafiosa non poteva determinare automaticamente disponibilità dell'indagato alle esigenze della cosca.
2) Il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e violazione dell'art. 275 cod. proc. pen. perchè il tribunale aveva ritenuto che non sussistessero elementi per ritenere superata la presunzione di pericolosità dell'indagato e di adeguatezza della misura, ignorando che il C. si era trasferito nel Nord Italia da dieci anni ed aveva intrapreso la carriera militare .
I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da C.V. S. non sono fondati ed anzi sono ai limiti della ammissibilità perchè generici e di merito.
La ordinanza impugnata ha esaminato con rigore le accuse rivolte al C., tanto è vero che, pur prendendo atto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia S.U. e S.G., ritenuti intrinsecamente attendibili, riteneva che gli elementi indiziari, pure esistenti a carico dell'indagato, in ordine alle accuse di tentato omicidio, omicidio ed estorsione, non raggiungessero la gravita indiziaria necessaria a legittimare la misura custodiale. Tuttavia gli elementi emergenti a carico dell'indagato dal racconto dei due collaboratori, oltre che dalle telefonate intercettate tra il C. ed il padre e tra l'indagato e la madre e dalle dichiarazioni della sua ex fidanzata consentivano di ritenere il C. intraneo alle due cosche indicate nei capi di imputazione.
Del resto le conversazioni con il padre, che gli comunicava, talvolta con linguaggio criptico, circostanza questa di sicuro valore, gli accadimenti verificatisi nella zona di (OMISSIS) in modo che potesse stare attento nel corso delle sue visite a (OMISSIS), e con la madre, che l'invitava alla prudenza per la presenza in (OMISSIS) di molti agenti di polizia, sono particolarmente significative.
A ciò aggiungasi la collaborazione con D.G., appartenente certamente ad una cosca, in numerosi episodi delittuosi abitualmente commessi da appartenenti ad associazioni maliose - incendi e danneggiamenti - ed oggi quasi tutti prescritti, di sicuro significato.
Infine l'ordinanza poneva in evidenza che il C. era oggetto di attenzione della cosca rivale - S.N. -, che lo voleva morto.
Si tratta di elementi significativi sui quali il ricorrente nulla di specifico ha osservato, limitandosi a sostenere la mancata indicazione di indizi - ma ciò, come si è detto, non è vero - e la irrilevanza di alcuni di essi, tra i quali la collaborazione criminale con D.G..
Il primo motivo di impugnazione è, pertanto, destituito di fondamento.
Quanto alla questione delle esigenze cautelari di cui al secondo motivo di impugnazione, è necessario ricordare che la pericolosità e l'adeguatezza della misura custodiale per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen sono presunte dalla legge.
Il tribunale, pur ricordando che il C., militare di carriera, da diverso tempo era di stanza in Nord Italia, ha rilevato che periodicamente ritornava a (OMISSIS) rendendosi disponibile alle attività della cosca di appartenenza.
Insomma la sola distanza dal luogo di operatività abituale della associazione di stampo mafioso non consentiva di ritenere superata la presunzione di cui all'art. 275 cod. proc. pen., comma 3 mancando chiari elementi dai quali poter desumere il recesso del C. dalla associazione suddetta. Ebbene il ricorrente si è limitato a riproporre l'elemento dell'avvenuto trasferimento nel Nord Italia quale elemento per ritenere superata la presunzione di pericolosità, ma la deduzione risulta smentita proprio dai colloqui con i genitori, dai qual si desume non solo il ripetuto ritorno a Paola dell'indagato, ma anche il continuo interessamento per le vicende relative sia alla associazione di appartenenza che a quella avversaria.
Le deduzioni sul punto, quindi, pur volendo prescindere dal fatto che sono di merito, sono infondate.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.
La Cancelleria è tenuta ad inviare gli avvisi e le comunicazioni di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p..
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento;
Manda alla Cancelleria per l'invio degli avvisi e delle comunicazioni di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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