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Sentenza

Personale della Digos, su indicazione di due ex marescialli dei Carabinieri, dop...
Personale della Digos, su indicazione di due ex marescialli dei Carabinieri, dopo una escavazione condotta con mezzi dei Vigili del Fuoco, rinvenivano, nel Comune di Colle Salvetti, occultati in una zona di campagna incolta, unitamente ad altri oggetti di rilevanza investigativa (sostanza stupefacente, telefoni cellulari) anche una borsa frigo contenente - avvolta nel cellophane, per preservarla dall'umidità - una pistola mitragliatrice marza CZ, modello Skorpion, cai. 7,65 con 19 cartucce. I due marescialli venivano indagati per detenzione e porto illegale di arma da guerra.
Cassazione penale  sez. I   25/09/2013 ( ud. 25/09/2013 , dep.08/11/2013 ) 
Numero: 45219
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BARDOVAGNI Paolo          -  Presidente   -                    
    Dott. CAIAZZO    Luigi P.       -  Consigliere  -                    
    Dott. CAVALLO    Aldo      -  rel. Consigliere  -                    
    Dott. CAPOZZI    Raffaele       -  Consigliere  -                    
    Dott. LA POSTA   Lucia          -  Consigliere  -                    
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; 
    nei confronti di: 
                  D.V.G. N. IL (OMISSIS); 
                 P.V. N. IL (OMISSIS); 
    inoltre: 
                  D.V.G. N. IL (OMISSIS); 
                 P.V. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  1954/2009 CORTE APPELLO  di  BOLOGNA,  del 
    22/06/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 25/09/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. ALDO CAVALLO; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ANIELLO Roberto ch 
    ha  concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al capo A  e 
    al  diniego dell'attenuante di cui alla L. n. 895 del 1975,  art.  5; 
    rigetto nel resto. 
    sentito il difensore degli imputati, avvocato NOVERESI Giacomo che ha 
    concluso per l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Il giorno 8 luglio 2005 personale della Digos di Genova, su indicazione degli odierni ricorrenti - gli ex marescialli dell'Arma dei Carabinieri, D.V.G. e P.V., alla data di commissione dei reati ad essi contestati ((OMISSIS)) in servizio presso la DIA di Genova ed alle dirette dipendenze del colonnello R.G. - ufficiale che aveva diretto svariate operazioni di contrasto ad attività illecite in materia di sostanza stupefacente condotte, secondo l'ipotesi accusatoria, con modalità investigative a dir poco disinvolte, specie nella gestione di collaboratori di giustizia - dopo una escavazione condotta con mezzi in dotazione ai Vigili del Fuoco, rinvenivano, nel territorio del Comune di Colle Salvetti, occultati in una zona di campagna incolta, unitamente ad altri oggetti di rilevanza investigativa (sostanza stupefacente, telefoni cellulari) anche una borsa frigo contenente - avvolta nel cellophane, per preservarla dall'umidità - una pistola mitragliatrice marza CZ, modello Skorpion, cai. 7,65 con relativo caricatore, completo di diciannove cartucce.

    1.1 Il D.V. ed il P., rinviati a giudizio per rispondere dei reati di detenzione e porto illegali di arma da guerra, così modificata da ultimo l'originaria imputazione, nonchè della ricettazione dell'arma di cui trattasi, di provenienza delittuosa, commessi in concorso tra loro e con il pluripregiudicato e collaboratore di giustizia G.G., giudicato in separato giudizio - il quale aveva materialmente acquistato l'arma da un cittadino croato, tale K.M., al dichiarato scopo di procede all'uccisione di un magistrato della DDA della Procura della Repubblica di Genova, che aveva sostenuto l'accusa in un procedimento a suo carico - venivano riconosciuti colpevoli dal Tribunale di Parma - nella cui circoscrizione si era perfezionata la cessione dell'arma - all'esito del giudizio di primo grado, dei reati loro ascritti e condannati, unificati gli stessi nel vincolo della continuazione, alla complessiva pena di anni quattro di reclusione ed Euro 900,00 di multa ciascuno, senza riconoscimento delle pur invocate attenuanti generiche.

    1.2 Proposta tempestiva impugnazione dagli imputati, la Corte di appello di Bologna, con sentenza deliberata il 22 giugno 2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti del D.V. e del P. in ordine ai reati loro ascritti ai capi A e C della rubrica (detenzione illegale dell'arma e ricettazione) perchè estinti per prescrizione e rideterminava la pena inflitta agli imputati per la residua imputazione (porto illegale dell'arma) in anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

    1.3 Avverso l'indicata pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento, sia il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna, limitatamente alla declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi A e C; sia gli imputati, con l'assistenza del loro comune difensore di fiducia, relativamente al mancato proscioglimento degli stessi da tutti i reati loro ascritti.

    1.4 Quanto all'impugnazione proposta dal Pubblico ministero, nel ricorso si deduce che la detenzione da parte degli imputati dell'arma di cui è processo, seppure effettivamente acquisita nel dicembre 2000 si era però ininterrottamente protratta sino all'8 luglio 2005, sicchè, essendo il reato dichiarato estinto per prescrizione, un reato permanente, in cui la condotta e l'evento si presentano come un complesso unitario sostenuto dalla volontà di protrarre nel tempo la violazione, il termine della prescrizione, al momento della decisione impugnata, non poteva ritenersi maturato, ai sensi dell'art. 158 c.p., comma 1, decorrendo esso dal giorno in cui è cessata la permanenza, e cioè dall'8 luglio 2005, con la conseguenza che illegittimamente la Corte di appello ha dichiarato estinto il reato.

    1.5 Quanto poi all'impugnazione proposta dagli imputati nella stessa si prospettano cinque motivi d'impugnazione.

    1.5.1 Con il primo motivo, dalla difesa degli imputati viene censurata, sotto il profilo della violazione della legge processuale (artt. 125, 192, 348, 546 e 630 cod. proc. pen.), del vizio di motivazione (mancanza e illogicità) e della mancata assunzione di una prova decisiva, la decisione della Corte territoriale di ritenere che l'arma oggetto del presente procedimento era considerarsi un'arma da guerra.

    In particolare in ricorso, si evidenzia: che la iniziale contestazione mossa agli imputati (detenzione e porto di arma da guerra) era stata modificata nel corso del giudizio di primo grado, una prima volta, avendo il Pubblico ministero contestato in udienza la detenzione ed il porto di un'arma come comune da sparo, tant'è che il coimputato G. aveva potuto patteggiare una pena di mesi sei di reclusione; una seconda volta, sulla base di un'accertamento tecnico condotto da consulente del PM (il quale aveva riferito, anche nel corso del suo esame in dibattimento, che la pistola Skorpion cal.

    7,65 è da inserire nella categoria delle armi da guerra, anche in considerazione della possibilità di detta arma di sparare a raffica e della sua assegnazione in dotazione a forze di polizia; precisando che l'arma di cui trattasi presentava una ossidazione provocata dall'umidità, facilmente eliminabile attraverso un banale trattamento in grado di renderla perfettamente idonea all'uso), ripristinando l'originaria contestazione di detenzione e porto di un'arma da guerra.

    Orbene, si fa rilevare in ricorso, (1) la mutevole qualificazione dell'arma, (2) l'esistenza di una consulenza di parte disposta da un qualificato consulente (il prof. Ca.Lu.) che pure attestava l'obiettiva impossibilità di definire la natura dell'arma, in assenza di prove sulla sua effettiva potenzialità offensiva e sulla funzionalità del selettore di tiro (a raffica); (3) l'inconciliabilità esistente tra la decisione impugnata e quella assunta nei confronti del coimputato G., imponevano l'espletamento di una perizia; richiesta incongruamente disattesa dalla Corte territoriale, in base a discutibili apprezzamenti di natura logica, secondo cui era inverosimile che il G. si sarebbe determinato ad acquistare un'arma priva di potenzialità offensiva, senza considerare, per altro, la circostanza in fatto, che il predetto imputato non ebbe la possibilità di visionare l'arma, in quanto la stessa gli venne consegnata dal K., ben occultata all'interno di una confezione regalo natalizia.

    1.5.2 Con il secondo motivo d'impugnazione viene censurata, sotto il profilo della violazione della legge processuale (artt. 192, 348, 546 e 603 cod. proc. pen.), del vizio di motivazione (difetto ed illogicità) e della mancata assunzione di una prova decisiva, la decisione della Corte territoriale di escludere la sussistenza di una causa di giustificazione (stato di necessità).

    Nel ricorso, nel riproporre la tesi difensiva già prospettata nei due gradi di giudizio, secondo cui i due imputati, avendo appreso dal G. della sua intenzione di utilizzare l'arma acquistata dal K. per attentare alla vita del pubblico ministero genovese che stava indagano nei suoi confronti, avrebbero posto in essere le condotte ad essi contestate al solo scopo di sottrarre al coimputato la disponibilità dell'arma ed impedirgli la realizzazione del proprio programma criminoso, si afferma che la stessa è stata disattesa dalla Corte territoriale con argomentazioni del tutto insufficienti ed illogiche.

    Ad illustrazione del motivo, nel ricorso si sostiene, in primo luogo, che la Corte territoriale, avrebbe omesso di valutare la peculiare condizione, soprattutto psicologica, in cui versavano i due sottoufficiali, all'epoca dei fatti, già inquisiti dalla magistratura genovese per asserite gravi irregolarità condotte nel corso di brillanti operazioni di servizio, i quali avevano agito nella convinzione, indotta dall'operato del loro superiore, il colonnello R., di aver agito su ordine dei pubblici ministeri genovesi, e che pertanto si ritenevano ingiustamente accusati e scossi dalla circostanza che finanche il loro carismatico comandante non avesse preso le loro difese.

    La mancata comprensione da parte della Corte territoriale dell'effettivo clima psicologico in cui sono maturati i fatti di cui è processo, per altro, viene ricollegata dai ricorrenti, all'incongrua decisione, dei giudici di appello, di rigettare l'istanza di acquisizione di una lettera pervenuta al D.V., nel quale si assume che il G. avrebbe ribadito il suo proposito di dimostrare le responsabilità della Procura genovese.

    Premesso infatti che la decisione della Corte territoriale sarebbe stata motivata dal rilievo che l'autore della missiva era ignoto, in ricorso si fa rilevare che alla lettera in questione che riportava la firma Gianni era allegata una nota della DDA, che dava atto che la stessa era stata inviata da G.G. a D.G. V..

    In tale contesto, ritenere - come affermato dai giudici di appello - che gli imputati, nel prendere in consegna l'arma dal G., avrebbero agito al solo scopo di agevolare e compiacere il pregiudicato, nella convinzione che ciò avrebbe potuto indurre lo stesso a convincere il colonnello R. a scagionarli dalle gravi accuse mosse loro, costituisce una ricostruzione dei fatti del tutto illogica, avendo il D.V. ed il P. agito, in realtà, unicamente al fine di sottrarre al pregiudicato la disponibilità dell'arma ed impedire così l'uccisione del magistrato genovese, laddove un'aperta denunzia di tale disegno criminoso avrebbe finito col risultare infruttuosa, e foriera di un'ulteriore accusa di strumentale opportunismo.

    1.5.3 Con il terzo motivo d'impugnazione, dalla difesa degli imputati viene censurata, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione (mancanza), la decisione della Corte territoriale di non riconoscere agli imputati la diminuente di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 evidenziando al riguardo, l'assoluta incongruità dell'argomento addotto dai giudici di merito, ovvero l'incompatibilità della predetta diminuente con la natura clandestina dell'arma di cui trattasi, rimarcando, per un verso, che da nessun atto processuale emergeva che la pistola Skorpion fosse un'arma clandestina; dall'altro, che la mancata applicazione della diminuente, può discendere soltanto da una preliminare valutazione delle componenti oggettive e soggettive del fatto, nel caso di specie totalmente assente.

    1.5.4 Con il quarto motivo, dalla difesa degli imputati viene censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione (illogicità e contraddittorietà) e della violazione della legge, la decisione della Corte territoriale di infliggere ai ricorrenti una pena particolarmente elevata, senza compiere una preliminare valutazione delle componenti oggettive e soggettive del fatto, ed in particolare del proposito di scongiurare la realizzazione di un programma omicidiario perseguito dagli imputati.

    1.5.5 Con il quinto motivo d'impugnazione, dalla difesa degli imputati viene censurata, infine, sotto il profilo della erronea applicazione della legge penale, la decisione della Corte territoriale di negare agli imputati le attenuanti generiche in considerazione della gravità dei fatti e dei precedenti penali degli stessi, diffusamente evidenziandosi in ricorso, come sia stata totalmente svalutata, l'importanza e la pericolosità dell'attività sotto copertura, svolta dagli imputati e la cooperazione da essi dimostrata, che aveva condotto al ritrovamento delle armi.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Ritiene il Collegio che per la definizione del presente giudizio sia necessario stabilire, in primo luogo, la fondatezza del primo motivo d'impugnazione prospettato dalla difesa degli imputati, con il quale si contesta la decisione della Corte territoriale, con riferimento sia alla ritenuta funzionalità della mitraglietta Skorpion di cui è processo, sia alla effettiva qualificazione della stessa come arma da guerra.

    1.1 Ciò posto, ritiene il Collegio che nessun profilo di illegittimità sia fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata su tali punti controversi, posto che il lineare percorso argomentativo sviluppato dai giudici di appello, si rivela del tutto logico, perfettamente aderente alle risultanze processuali ed immune da vizi giuridici.

    1.2 Relativamente al tema dell'accertamento sulla efficienza di un'arma, occorre considerare, in primo luogo, che rappresenta principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (in termini, ex multis, Sez. 1, n. 5412 del 09/03/1982 - dep. 29/05/1982, Grimaldi, Rv. 154009) che al riguardo si ritiene non necessario che il giudice proceda a perizia, potendo trarre il suo convincimento anche aliunde, purchè lo corredi di congrua motivazione.

    Nel caso in esame la Corte territoriale ha certamente assolto a tale obbligo motivazionale, avendo opportunamente evidenziato, in primo luogo, come una valutazione sulla funzionalità offensiva dell'arma non poteva trascurare il dato temporale, di contro completamente obliterato dalla difesa degli imputati nelle sue deduzioni critiche, nel senso che la pistola mitragliatrice Skorpion era stata acquistata e poi nascosta mediante seppellimento nell'anno 2000, per essere poi fatta ritrovare dagli imputati P. e D.V. nell'anno 2005.

    In base a tale preliminare considerazione, del tutto correttamente i giudici di appello hanno quindi ritenuto argomento non decisivo per escludere la funzionalità dell'arma il pur significativo processo di ossidazione apprezzabile nelle produzioni fotografiche dell'arma, logicamente ricollegandolo al lungo lasso di tempo nel quale l'arma era rimasta sepolta, precariamente protetta con le modalità descritte nel verbale di sequestro.

    1.2.1 Nel senso poi della perfetta funzionalità dell'arma al momento della consumazione dei reati di ricettazione, detenzione e porto illegale dell'arma deponeva del resto - come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata - anche l'ulteriore rilevante considerazione, di ordine logico, che essendo il G. esperto di armi ed avendo costui intenzione di utilizzare la pistola mitragliatrice per attentare alla vita di un magistrato, era inverosimile ritenere che costui potesse aver deciso di acquistare un'arma non funzionate; nè per altro verso, ipotizzando la non funzionalità dell'arma, troverebbe spiegazione la dichiarazione degli appellanti secondo cui la condotta loro ascritta (l'aver concorso nello spostamento, nella custodia e nell'occultamento dell'arma) sarebbe stata diretta a sottrarre al G. la disponibilità dell'arma.

    1.3 Correttamente affermata la piena funzionalità dell'arma al momento di consumazione dei reati, neppure può fondatamente dubitarsi sulla corretta qualificazione dell'arma di cui trattasi come arma da guerra e non già come arma comune da sparo.

    Ed invero, premesso che secondo la costante lezione interpretativa di questa Corte, un'arma deve essere qualificata "da guerra" quando abbia spiccata potenzialità offensiva mentre non è decisivo il fatto che l'arma sia antiquata e sia o non attualmente in dotazione di corpi delle forze armate nazionali o estere oppure sia di limitata potenza distruttiva in confronto a mezzi molto distruttivi (in termini, ex multis, Sez. 1, n. 869 del 30/11/1981 - dep. 27/01/1982, Zamparutti, Rv. 151853; Sez. 1, n. 2443 del 17/02/1984 - dep. 17/03/1984, Cerone, Rv. 163183), nessun profilo di illegittimità è ravvisabile nella decisione impugnata, in quanto i giudici di appello, riconosciuta la sicura funzionalità dell'arma, anche sulla scorta delle dichiarazioni del teste Ro., che aveva accuratamente descritto le caratteristiche dell'arma, dotata di un selettore di tiro a tre posizioni ed idonea ad eseguire anche un "tiro a raffica", sono pervenuti alla conclusione, del tutto corretta, che per le sue caratteristiche tecniche la stessa aveva una spiccata potenzialità offensiva, circostanza questa, del resto, desumile anche dalla sua notoria utilizzazione in molti conflitti bellici (Africa centrale, ex Jugoslavia) e da parte di numerosi gruppi terroristici (IRA, Brigate Rosse).

    1.3.1 Nè hanno pregio le argomentazioni difensive che, facendo riferimento all'art. 630 cod. proc. pen., invocano, per denunciare l'illegittimità della decisione impugnata relativamente alla qualificazione come arma da guerra della pistola Skorpion, la circostanza che, nel separato giudizio promosso nei confronti del coimputato G., l'arma in questione sia stata qualificata come arma comune da sparo.

    Ed invero il pur denunciato atteggiamento "ondivago" dei diversi Pubblici ministeri - come tale definito, non senza ragione, dalla Corte territoriale - configurandosi evidentemente come un errore valutativo e non già come errore di fatto, non può utilmente venire invocato per confutare la fondatezza della decisione impugnata sul punto.

    Come acutamente rilevato da questa Corte regolatrice (Sez. 2, n. 21556 del 06/05/2008 - dep. 28/05/2008, Carafasso, Rv. 240111), infatti, ®l'ordinamento non consente che i fatti, il cui accertamento costituisce la premessa del giudizio, siano ritenuti esistenti da un giudice e inesistenti da un altro giudice, dovendo la realtà fattuale posta a fondamento delle decisioni giudiziarie essere incontrovertibile; la valutazione di questa realtà può, invece, essere diversa perchè è nell'essenza stessa della giurisdizione che, fermi restando i fatti accertati nei diversi processi, giudici diversi possano apprezzarli diversamente.

    1.4 Nessun profilo di illegittimità è altresì ravvisabile nella decisione impugnata con riferimento alla ritenuta insussistenza della causa di giustificazione dello stato necessità.

    Ed invero, come già evidenziato dai giudici di appello, questa Corte regolatrice è univoca nell'affermare che ai fini dell'integrazione dell'esimente dello stato di necessità, accanto alla sussistenza del pericolo attuale del danno grave è necessario che non vi sia altra concreta possibilità di salvezza priva di disvalore penale: ne consegue che in base ad argomentazioni immuni da incongruenze logiche e da vizi giuridici, nella sentenza impugnata si segnala che se veramente l'intento degli imputati fosse stato quello di evitare la commissione del reato di omicidio in danno di un magistrato, gli stessi avrebbero dovuto operare ben diversamente, segnalando all'Autorità giudiziaria gli intenti criminosi del G..

    In presenza di un percorso motivazionale del tutto logico e coerente, le deduzioni difensive che censurano la decisione impugnata a ragione di una pretesa non adeguata valutazione delle condizioni psicologiche in cui i due imputati versavano all'epoca dei fatti, non superano la soglia della ricostruzione alternativa e meramente congetturale delle risultanze processuali.

    1.5 Nè la decisione della Corte genovese può essere fondatamente censurata, laddove ha escluso la ravvisabilità nel caso di specie dell'attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 giacchè, a prescindere dalla correttezza della qualificazione dell'arma di cui trattasi come clandestina, occorre considerare che in tema di reati concernenti le armi, criteri primari di valutazione ai fini della ravvisabilità dell'attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 sono tutte le circostanze direttamente riguardanti l'intrinseca potenzialità offensiva di un'arma da fuoco, sicchè ritenere che il concorso di militari dell'Arma dei carabinieri nella detenzione e nel porto di un'arma di notevole potenzialità offensiva, che uno dei concorrenti nel reato intendeva utilizzare per la commissione di un omicidio, si configuri come un fatto di lieve entità, si configura come affermazione apodittica ed assolutamente incongrua.

    1.6 Infondata deve ritenersi, altresì, anche la censura mossa alla decisione impugnata relativamente al diniego delle attenuanti generiche.

    La pur concisa motivazione sviluppata dalla Corte territoriale, infatti, deve ritenersi, del tutto conforme a principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo", ravvisate nella specie nella gravità dei fatti, ritenuta più accentuata a ragione della qualità di militari infedeli degli imputati, già resisi autori in precedenza di altri gravi fatti (così ex multis Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell'11/10/2004 - 25/1/2005, riv. 230691 rie. Alba ed altri).

    1.7 La sentenza impugnata, in accoglimento dell'impugnazione proposta dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna va invece annullata, per avere i giudici di appello, nel dispositivo, dichiarato estinto per prescrizione oltre al reato contestato al capo c) - quello di ricettazione - anche quello contestato al capo a) - detenzione illegale dell'arma - e per l'effetto rideterminata in anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 400 di multa, la pena inflitta agli imputati (per il reato contestato al capo b).

    1.7.1 Al riguardo mette conto precisare, in primo luogo, che se pure nella motivazione della sentenza si affermi che i termini prescrizionali massimi siano decorsi, oltre che per il reato di ricettazione anche per quello di porto d'arma (ovvero per il reato contestato al capo b), operando nel nostro ordinamento la regola generale che in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza, la decisione impugnata si rivela erronea sotto un duplice profilo, per aver dichiarato estinto per prescrizione il reato di detenzione illegale dell'arma da guerra e per aver confermato la condanna degli imputati per il reato di porto, che risulta invece prescritto.

    1.7.2 In particolare con riferimento alla prima statuizione, essendo la detenzione illegale dell'arma un reato permanente ed avendo gli imputati mantenuto la disponibilità dell'arma, ininterrottamente, fino al giorno 8 luglio 2005, è da tale data, come dedotto nel ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna, che andava calcolato il termine massimo di prescrizione (pari ad anni dieci), allo stato non ancora decorso.

    Ad opposta conclusione deve pervenirsi, invece, relativamente al delitto di porto contestato al capo b), in quanto, pur prevedendo tale reato un termine massimo di prescrizione pari ad anni dodici e mesi sei, lo stesso, iniziando a decorrere nel dicembre 2000, data dell'interro dell'arma, risulta senz'altro scaduto al momento della deliberazione della sentenza impugnata.

    1.8 Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, la decisione impugnata , in conclusione, va annullata senza rinvio, limitatamente al reato di porto d'arma di cui al capo b), estinto per prescrizione;

    con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, per nuovo giudizio sul capo, limitatamente al reato di detenzione di arma da guerra, per la rideterminazione della pena, statuizione nella quale resta assorbito anche il motivo di ricorso degli imputati, relativo al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
    PQM
    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di porto di arma da guerra di cui al capo b), estinto per prescrizione.

    Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di detenzione di arma da guerra commesso sino all'8 luglio 2005 (capo a) e rinvia per nuovo giudizio sul capo, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta i ricorsi nel resto.

    Così deciso in Roma, il 25 settembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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