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Sentenza

Reati militari - In genere - Diffamazione militare - Possibilità per l'accusato ...
Reati militari - In genere - Diffamazione militare - Possibilità per l'accusato di provare, a sua discolpa, la verità o notorietà dei fatti attribuiti alla persona offesa quando questa sia un pubblico ufficiale e l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato inerente all'esercizio delle funzioni (ex art. 596, terzo comma, numero 1), e quarto comma, cod. pen.) - Mancata previsione - Ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai soggetti imputati dell'analogo reato comune - Illegittimità costituzionale in parte qua.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 227 c.p.m.p., nella parte in cui non prevede l'applicabilità anche al delitto di diffamazione militare dell'art. 596, commi 3 n. 1), e 4, c.p. Premesso che la diffamazione militare e quella "comune" presentano una piena equivalenza, sotto il profilo sia della condotta che dell'oggettività giuridica del reato, essendo la prima in rapporto di specialità rispetto alla seconda, dalla quale si differenzia solo per la qualità del soggetto agente e della persona offesa, deve escludersi che la ratio giustificativa del diverso regime di procedibilità, che caratterizza i due crimini nell'interesse eminentemente pubblico della disciplina e del servizio, possa giustificare il diverso trattamento ai fini della causa di non punibilità della cosiddetta "exceptio veritatis", dal momento che, costituendo il presupposto di quest'ultima la qualità di pubblico ufficiale dell'offeso e l'inerenza all'esercizio delle funzioni del fatto a questi attribuito, viene in rilievo un interesse pubblico all'accertamento del fatto che non può che determinare l'estensione di tale strumento probatorio anche al delitto di diffamazione militare (sentt. n. 448 del 1991 e 272 del 1997; ord. n. 410 del 2000).
Avv. Antonino Sugamele

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