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Sentenza

S. Tenente di Vascello della Marina Militare rivolge minacce ed ingiurie nei con...
S. Tenente di Vascello della Marina Militare rivolge minacce ed ingiurie nei confronti dei militari dell'Arma dei carabinieri, suoi inferiori in grado, intervenuti in discoteca ove si trovava il predetto Ufficiale,per sedare una rissa.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    30/01/2013 ( ud. 30/01/2013 , dep.27/02/2013 ) 
Numero:
    9393

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GIORDANO   Umberto       -  Presidente   -                     
    Dott. MAZZEI     Antonella P.  -  Consigliere  -                     
    Dott. CAPRIOGLIO Piera Maria S -  Consigliere  -                     
    Dott. ROCCHI     Giacomo       -  Consigliere  -                     
    Dott. SANTALUCIA Giuseppe -  rel. Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                        M.D.S.M. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza n. 1/2012 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
    15/11/2011; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 30/01/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA; 
    Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini  che  ha 
    concluso per il rigetto del ricorso. 
    Udito il difensore Avv. Megala. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    La Corte militare di appello ha confermato la condanna emessa, all'esito del giudizio abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Napoli nei confronti di M.D.S.M., s. tenente di vascello della Marina militare, in servizio presso la Capitaneria di porto di (OMISSIS), alla pena di mesi due di reclusione militare per i reati di minaccia ed ingiuria ad inferiore, in particolare per avere rivolto frasi minacciose ed ingiuriose nei confronti dei militari dell'Arma dei carabinieri addetti al nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di (OMISSIS), suoi inferiori in grado, che erano intervenuti nei pressi della discoteca (OMISSIS), ove si trovava il predetto M., per sedare una rissa, e specificamente dopo che questi e un suo amico avevano avuto un diverbio con altre persone da cui poi erano stati aggrediti fisicamente.

    La Corte di appello, ricostruito il fatto e precisato che il M. tenne le condotte in imputazione perchè pretendeva che i militari dell'Arma dei carabinieri assumessero azioni più incisive nei confronti della persona da lui indicata come uno degli aggressori che poi si erano allontanati dal locale, ha negato la ricorrenza della causa di esclusione dei reati, di cui all'art. 199 c.p.m.p.. Ha a tal proposito osservato che il M. sin da subito si qualificò, con i carabinieri intervenuti sul posto, come ufficiale della Marina militare e si relazionò con loro in tale qualità. Fu il M., a giudizio della Corte militare fondato sulle risultanze istruttorie, ad ancorare al rapporto gerarchico e alla disciplina militare il colloquio con i carabinieri, della cui qualità era consapevole, nonostante costoro fossero in abiti civili.

    Il rapporto tra il M. e i carabinieri, seppure originato da ragioni estranee al servizio, si spostò così, per sua scelta, in un ambito di rilevanza del rapporto gerarchico.

    La Corte di appello ha infine precisato che, pur accedendo alla tesi dell'applicabilità dell'art. 199 c.p.m.p., non si potrebbe giungere alla pronuncia assolutoria dovendosi comunque ritenere integrati i reati comuni di cui agli artt. 337 e 341-bis c.p..

    Avverso la sentenza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Megale, M.D.S.M., deducendo:

    - difetto di motivazione. La Corte militare ha negato la ricorrenza della causa di esclusione del reato di cui all'art. 199 c.p.m.p. nonostante le condotte imputate, per quanto dirette nei confronti di altri militari a causa del servizio da loro prestato, non si posero in correlazione al servizio attivo svolto dall'imputato, e l'attività delle persone offese fu soltanto l'occasione del fatto criminoso in contestazione. L'imputato, al momento del fatto, non stava svolgendo alcuna attività legata al servizio militare, era al di fuori dei luoghi militari e indossava abiti civili e non spese la sua qualità di superiore gerarchico nel tenere le condotte imputate.

    Peraltro, l'applicazione della causa di esclusione del reato, di cui all'art. 199 c.p.m.p., non può comportare, come invece affermato nella sentenza impugnata, la riqualificazione dei fatti in termini di reato comune, secondo le corrispondenti fattispecie della legge penale ordinaria, ma l'esclusione appunto del reato militare che si pone in rapporto di specialità con quello comune.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

    La causa di esclusione di cui all'art. 199 c.p.m.p. deve trovare applicazione nei casi in cui il fatto criminoso si ponga al di fuori del servizio militare svolto dal soggetto agente o, comunque, sia collegato in modo del tutto estrinseco all'area di rilevanza degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, si da porsi in relazione di mera occasionalità, e ciò pur quando inerisca al servizio miliare della persona offesa - in tal senso, cfr. Sez. 1, n. 19425 del 5/5/2008 (dep. 15/5/2008), Carofalo, Rv, 240286, che si pronunciò in un caso per alcun aspetti simile a quello oggetto del ricorso de quo, trattandosi allora di un ufficiale dell'Esercito che, in abiti civili, proferiva parole ingiuriose nei confronti dei militari della Guardia di Finanza che lo avevano fermato per contestargli alcune infrazioni al codice della strada.

    Detto principio di diritto non può però essere invocato per la soluzione della questione ora in esame, dal momento che, come precisato in esordio di motivazione dalla sentenza impugnata (fl.

    12), l'imputato sin dall'inizio si qualificò come ufficiale della Marina militare con i carabinieri intervenuti sul posto e in tale qualità si relazionò con loro. E' quindi corretta l'affermazione del giudice del merito (fl. 16), secondo cui, per una volontaria determinazione dell'imputato, il rapporto con i carabinieri - da lui poi offesi -, che aveva trovato causa in ragioni del tutto estranee al servizio miliare, fu attratto nell'ambito di rilevanza delle relazioni gerarchiche e della disciplina miliare. E del resto, anche il precedente di questa Corte appena sopra richiamato, nel riconoscere la sussistenza della causa di esclusione del reato, ebbe cura di evidenziare, quale presupposto di fatto essenziale, che il soggetto attivo "non aveva fatto alcun riferimento alla propria condizione di militare".

    Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

    Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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