Trattamento pensionistico degli ufficiali albanesi già immessi a far parte delle Forze Armate Italiane durante il periodo fascista. Riconoscimento. Imprescrittibile.
REPUBBLICA ITALIANA sent. 1369/2013
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico
Consigliere dott. Pasquale Daddabbo
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso in materia di pensioni civili iscritto al n. 29398/PG del Registro di Segreteria, proposto dal sig. Borshi Qazim, nato il 3.2.1928 a Korce (Albania), residente in Pomezia, alla via Tolosa n. 10-11, elettivamente domiciliato in Adelfia (BA) alla via Walter Tobagi n. 10 presso lo studio legale dell'avv. Michele Giangregorio che lo rappresenta e difende,
contro
il Ministero della Difesa.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
Vista la legge n. 205/2000;
Udito, nella pubblica udienza del 7 ottobre 2013, l'avv. Michele Giangregorio per il ricorrente; non comparso il Ministero della Difesa.
FATTO
Con ricorso notificato il 10.6.2009 e depositato presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti in data 22.6.2009, il sig. Borshi Qazim – figlio ed erede di Borshi Shyqri - premettendo che suo padre era stato ufficiale dei Carabinieri Italiani dall'1.10.1913 al 28-31.5.1943, successivamente nominato Prefetto e disposizione e dal gennaio 1944 nominato direttore generale di Polizia della Reale Gendarmeria Albanese e che, giustiziato in data 14.4.1945 dal regime comunista di Tirana per essere stato Ufficiale dell'Esercito Italiano, non aveva potuto richiedere il trattamento di quiescenza per la prestazione presso le forze armate italiane, che nemmeno la moglie e i figli dell'ufficiale avevano mai percepito alcun trattamento pensionistico in dipendenza del rapporto di lavoro del loro dante causa, che gli eredi all'indomani della caduta del regime comunista in Albania avevano inoltrato in date 18.3.1991 e 26.10.1995 istanze finalizzate a conseguire il trattamento di pensione spettante al loro dante causa, che egli, nel silenzio del Ministero della Difesa, in data 10.11.2008, aveva diffidato l'amministrazione al pagamento di quanto spettante a titolo di pensione o indennità una tantum e che il Ministero, con nota del 6.2.2009, aveva rappresentato l'impossibilità a provvedere a causa di un vuoto legislativo che, pur portato all'attenzione del Ministero degli Affari Esteri, non aveva ancora trovato soluzione, ha dedotto che il diritto a conseguire la pensione per gli appartenenti alle FF.AA. italiane di origini albanesi è riconosciuto specificamente dal D.Lgs. C.P.S. 2.8.1946 n. 489, dalla Legge 328 del 6.6.1973 e dal D.P.R. 1092/1973 e che il comportamento del Ministero della Difesa è quindi contrario alla legislazione italiana oltre che ai principi costituzionali e di quelli internazionali ed ha impugnato la citata comunicazione del Ministero della Difesa chiedendo il riconoscimento del diritto, in proprio e quale erede legittimo dei genitori Borshi Shyqri e Axhi Adljiè, ad ottenere il trattamento di quiescenza e la pensione diretta e/o di reversibilità e quindi la corresponsione di quanto maturato oltre agli interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza di ogni singolo rateo al soddisfo; in caso di mancato accoglimento di quanto sopra il ricorrente ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D. Leg.vo n. 498/1946 nella parte in cui condiziona la corresponsione della pensione alla richiesta/concessione della cittadinanza italiana ovvero, in subordine, il riconoscimento del diritto all'indennità una tantum di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 489/1946 con interessi e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione sino al soddisfo.
Con nota depositata in data 28 marzo 2013 il difensore del ricorrente ha chiesto acquisirsi, in via istruttoria, documentazione attinente l'attività svolta dal sig. Borshi Shqri ed informazioni presso i comuni di Bari e Verona circa la concessione della cittadinanza italiana nel periodo di svolgimento del servizio in Italia.
Il Ministero della Difesa, costituito in giudizio con memoria depositata in data 5.4.2013, premettendo che in base al D.Lgs. C.P.S. 2 agosto 1946 n. 489 gli ufficiali albanesi immessi nelle Forze Amate Italiane dovevano essere collocati in congedo entro il termine di novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto ovvero entro un anno dalla cessazione dello stato di guerra e che tale decreto legislativo prevedeva la concessione della pensione a favore di coloro che avevano chiesto ed ottenuto la cittadinanza italiana o a favore dei familiari dei militari in questione che avessero fissata la residenza in Italia mentre prevedeva, per i militari che non avessero ottenuto la cittadinanza ovvero per i famigliari che non avessero fissato la residenza in Italia, soltanto una indennità una tantum, ha dedotto che la mancata stipulazione di convenzione tra governo italiano e quello albanese, diretta a stabilire la ripartizione degli oneri finanziari, ha precluso l'attribuzione di qualsiasi provvidenza a favore di coloro che non erano in possesso del requisito della cittadinanza italiana. Il Ministero nel dedurre ulteriormente che, nella specie, difetta anche il requisito della cessazione di appartenenza alle Forze Armate Italiane ai sensi dell'art. 2 del citato d.lgs n. 489/1946 posto che il militare , antecedentemente, con decorrenza dal 31.5.1943, era stato nominato Prefetto a Disposizione e successivamente Direttore Generale nella Gendarmeria Albanese, ha chiesto il rigetto del ricorso eccependo in subordine la prescrizione quinquennale degli emolumenti arretrati e dei relativi oneri accessori a far data dall'istanza amministrativa del 10.11.2008.
Con ulteriore nota depositata in data 30.9.2013 il difensore del ricorrente si è opposto all'eccezione di prescrizione formulata dal Ministero deducendone la tardività e comunque l'infondatezza in relazione al'esistenza di precedente richiesta del trattamento economico, inoltrata già in data 20.6.1991 non appena caduto il regime comunista albanese. In via istruttoria ha reiterato le richieste avanzate con la precedente nota evidenziando che la cittadinanza italiana doveva ritenersi in possesso del militare , dante causa del ricorrente, posto che l'arruolamento dello stesso era avvento a mente della legge n. 254 del 2.7.1896 che la prevedeva quale requisito specifico per la nomina a sottotenente dell'Esercito Italiano.
All'udienza del 7.10.2013, non comparso il Ministero della Difesa, l'avv. Michele Giangregorio si è riportato alle richieste e conclusioni degli atti scritti e del ricorso chiedendo l'accoglimento del gravame. Il giudizio è stato definito come da dispositivo, letto nella stessa udienza, di seguito trascritto ed è stato fissato, ai sensi di cui all'art. 429, primo comma, c.p.c., come mod. dall'art. 53, secondo comma, del D.L. 112/2008 conv. in legge dalla L. 133/2008, il termine per il deposito della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame propone la questione del trattamento pensionistico degli ufficiali albanesi già immessi a far parte delle Forze Armate Italiane durante il periodo fascista.
Emerge dallo stato di servizio del defunto padre del ricorrente, sig. Borshi Shyqri, che costui si era arruolato nell'Esercito Italiano in data 1° ottobre 1913 e che nel dicembre 1918 era stato trasferito nelle Milizie Albanesi ove rimase in servizio, ad eccezione del periodo di congedo per motivi politici dall'1.5.1921 all'8.8.1924, fino 18.12.1939, allorquando, ai sensi della legge 13.7.1939 n. 1115 e dell'art. 2 del R.D. 22 febbraio 1940, fu immesso nel ruolo degli ufficiali in s.p.e. dell'Esercito Italiano, Arma Carabinieri Reali; cessò definitivamente di appartenere alle Forze Armate Italiane a decorrere dal 28.5.1943 ai sensi dell'art. 14, comma 2, del d. leg.vo C.p.S. n. 489 del 2.8.1946 e dalla stessa data passò nella Reale Gendarmeria Albanese.
Dallo stato di servizio in questione, prodotto dalla stesso ricorrente, emerge che la posizione di servizio militare del dante causa è stata gestita in applicazione di quanto disposto dal citato art. 14 del d. lgs. C.p.S. 489/1946.
Tale disposizione prevede testualmente che “Il regio decreto-legge 29 marzo 1943, n. 387, recante norme per il collocamento in congedo assoluto degli ufficiali, sottufficiali, graduati e militari di truppa di cittadinanza albanese, appartenenti all'Arma dei carabinieri, è abrogato a decorrere dal 28 maggio 1943.
Il personale militare albanese appartenente all'Arma dei carabinieri, di cui al citato regio decreto-legge 29 marzo 1943, n. 387, che sia entrato a far parte d'altre forze armate cessa, dalla data di assunzione nelle forze armate stesse, di appartenere alle Forze armate italiane.
Al personale militare albanese di cui al comma precedente è corrisposta una indennità per una volta tanto da liquidarsi in base all'articolo 5 lettera c), all'art. 6 lettera b), e all'art. 12 secondo comma, con esclusione della maggiorazione di cinque anni di servizio prevista dagli articoli stessi.”
Il riscontro della sussistenza dei presupposti per l'applicazione di tale disposizione di legge, effettuato all'epoca, con relativa annotazione sul foglio matricolare, non smentita da altra documentazione di differente contenuto, porta a concludere che i diversi requisiti previsti dagli art. 5 o 7 dello stesso d.lgs. C.p.S. per accedere al trattamento di quiescenza (ossia aver acquisito la cittadinanza italiana ed esser cessato di appartenere alle Forze Armate Italiane entro il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo stesso) non ricorrono nella fattispecie in esame. L'ufficiale Biorshi Shyqri, si ripete, risulta essere cessato dall'appartenere alle Forze Armate Italiane in forza di quanto previsto nel R.D.L. 29.3.1943 n. 387, successivamente abrogato proprio dal d.lgs. 489/1946. Tale R.D.L. 387/1943 aveva, infatti, previsto che dal giorno successivo (28.5.1943) alla sua entrata in vigore gli ufficiali di cittadinanza albanese appartenenti all'arma dei carabinieri reali dei ruoli del servizio permanente cessavano di far parte dei detti ruoli anche qualora entrati a far parte di altre forze armate .
Posto, quindi, che la posizione del dante causa del ricorrente è proprio quella disciplinata dall'art. 14 del d. lgs. n. 489/1946 a cstui spettava, per il servizio espletato quale Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri Italiani, l'indennità una tantum prevista dal comma 3 del suddetto art. 14 non essendo applicabili nei suoi confronti le disposizioni di cui agli artt. 5 e 7 dello stesso decreto legislativo che disciplinavano, diversamente, il trattamento di quiescenza degli ufficiali facenti parte dell'Arma dei Carabinieri ed ancora appartenenti, alla data di entrata in vigore di tale disciplina legislativa, alle Forze armate Italiane.
La ritenuta applicabilità del disposto di cui all'art. 14, comma 3, del d. lgs. 489/1946 comporta, di conseguenza, l'irrilevanza delle censure di illegittimità costituzionale sollevate dal ricorrente nei confronti dell'art. 5 dello stesso decreto legislativo.
L'indennità per una volta tanto che spettava al padre del ricorrente deve essere inquadrata nell'ambito di un trattamento di quiescenza afferente all'attività di servizio svolta nell'Arma dei Carabinieri Italiani e di conseguenza, in applicazione del principio di imprescrittibilità codificato dall'art. 5 del d.P.R. 1092/1973, non è soggetta a prescrizione.
La previsione di cui all'art. 2, comma 3, del R.D. 350/1939 a mente del quale le indennità una volta tanto che tengono luogo di pensione si prescrivono col decorso di 10 anni deve, infatti, interpretarsi in correlazione con quanto disposto dal comma successivo sicché nell'ipotesi in cui, come nella specie, l'amministrazione deve compiere una complessa attività di accertamento dei presupposti voluti dalla legge per stabilire la sussistenza e la misura del diritto, tale termine non può che decorrere dalla data in cui il provvedimento negativo sia portato a conoscenza dell'interessato. Posto che nessun provvedimento di tale contenuto è stato mai portato a conoscenza degli interessati prima della comunicazione del 6.2.2009 appare evidente che il diritto a ricevere il rateo dell'indennità una tantum non risulta prescritto.
Il ricorrente ha chiesto che sul trattamento economico spettante siano riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria a decorrere dalla decorrenza dei ratei.
In proposito, trattandosi di accessori relativi all'indennità una tantum ed avendo eccepito, il Ministero convenuto, la prescrizione anche di tali oneri, deve ritenersi che il suddetto termine decennale di prescrizione, non operante per l'indennità una tantum stante quanto sopra considerato, operi invece in relazione agli oneri accessori ad essa correlati.
Il pagamento di tali accessori è stato chiesto per la prima volta con la domanda amministrativa avanzata in data 10.11.2008 e pertanto l'eccezione di prescrizione formulata dal Ministero della Difesa copre gli emolumenti accessori maturati in data anteriore al 10.11.1998.
Da tale ultima data spettano, quindi, sull'indennità per una volta tanto dovuta agli eredi del defunto Borshi Shyqri, gli interessi legali e nei limiti dell'eventuale maggior importo differenziale, la rivalutazione monetaria secondo quanto affermato dalle pronunce delle Sezioni Riunite sull'applicabilità dell'art. 429 cpc al giudizio pensionistico di cognizione della Corte dei Conti.
Trattandosi di questione particolarmente complessa che ha visto il riconoscimento solo parziale delle pretese del ricorrente sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il ricorso n. 29398 proposto dal sig. Borshi Qazim e per l'effetto dichiara il diritto del sig. Borshi Shyqri e per esso deceduto, dei suoi aventi causa, a conseguire l'indennità una tantum prevista dall'art. 14, comma 2, del D.Lgs.C.P.S. 2-8-1946 n. 489 maggiorata, per il periodo che va dal decennio (10.11.1998) antecedente alla data di presentazione della domanda amministrativa fino al soddisfo, degli interessi legali e, nei limiti dell'eventuale maggior importo differenziale, della rivalutazione monetaria.
Dichiara prescritti gli accessori, maturati sulla sorte capitale prima del decennio anteriore alla data della istanza amministrativa degli accessori stessi.
Spese compensate.
Fissa il termine di trenta giorni per il deposito della sentenza.
Così deciso, in Bari, all'esito della pubblica udienza del 7 ottobre 2013.
IL GIUDICE
F.to (Pasquale Daddabbo)
Depositata in Segreteria il 16.10.2013
Il Funzionario di Cancelleria
F.to dott. Maurizio Pizzi
18-10-2013 23:37
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