Appuntato dei Carabinieri offendeva il prestigio, l'onore e la dignità del comandante la stazione, rivolgendo al superiore mentre questi stava tenendo l'istruzione settimanale alla presenza di tutti i militari, la frase ... l'altra sera aveva bevuto? Il Gup dichiara il non luogo a procedere ma la Cassazione annulla. Processo da rifare.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 ottobre – 5 novembre 2014, n. 45906
Presidente Cortese – Relatore Boni
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza resa il 20 novembre 2013 il G.U.P. del Tribunale militare di Verona dichiarava non luogo a procedere, perché il fatto non sussiste, nei confronti dell'imputato F.D.P. in ordine al delitto di insubordinazione con ingiuria aggravata continuata (artt. 189, comma 2 e 190 comma 2 c.p.m.p.), contestatogli perché, quale appuntato scelto dei Carabinieri in servizio presso la stazione Carabinieri di ... in qualità di addetto, offendeva il prestigio, l'onore e la dignità del superiore in grado, m.llo A. L.N.V., comandante della predetta stazione, dicendo con atteggiamento di sfida e tono polemico, di avere apposto delle correzioni con un segno rosso sul prospetto delle ferie natalizie 2012, posto in visione ai militari dipendenti, "per dare un chiaro segnale di come devono andare le cose al reparto" e, rivolto al m.llo L.N. mentre questi stava tenendo l'istruzione settimanale alla presenza di tutti i militari, "l'altra sera aveva bevuto", riferendosi ad un episodio verificatosi durante il servizio la sera precedente, in G. il 21/11/2012 ed il 28/11/2012
1.1 A fondamento della decisione il G.U.P. rilevava che, sebbene dovesse confermarsi l'attendibilità complessiva della persona offesa denunciante, m.llo L. N., la stessa non presentava quel grado di assoluta affidabilità richiesto per poter rappresentare l'unico elemento di prova sul quale fondare una sentenza di condanna quanto all'episodio avvenuto il 21/11/2012; tanto era giustificato dal clima di tensione ed ostilità creatosi all'interno della caserma di G., dall'interesse personale di cui era portatore il m.llo L. N. in quanto costituitosi parte civile e dall'insistenza coi quale costui aveva personalmente denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, anziché lasciare tale compito al comandante di compagnia, il quale a sua volta aveva proposto l'assunzione di iniziative punitive di solo tipo disciplinare.
Inoltre, il G.U.P. riteneva di non poter ravvisare nel fatto accaduto il 21/11/2012 gli estremi per la configurazione dei delitto di insubordinazione con ingiuria, dal momento che la condotta tenuta dall'imputato, seppur di ribellione al superiore, non ne aveva offeso l'onore e nemmeno la funzione di comando, mentre la prova dei particolari sulla gestualità e sul tono sprezzante del sottordinato era affidata alla sola testimonianza della persona offesa, da ritenersi insufficiente. Quanto all'altro episodio avvenuto il 28/11/2012, la contraddittorietà nelle deposizioni di quanti vi avevano assistito sull'intento dell'imputato, per alcuni testi offensivo e reiterato, per altri scherzoso e diretto a stemperare gli animi, non lesivo, né provocatorio, come confermato dall'atteggiamento ilare e dal tono di voce non alto, percepibile nella registrazione dell'evento, acquisita agli atti, induceva a ritenere che anche l'istruttoria dibattimentale non avrebbe condotto ad un esito probatorio univoco.
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte militare di Appello, il quale si duole di erronea applicazione della legge penale e del vizio di motivazione, in quanto la ricostruzione fattuale operata dal primo giudice era propria della cognizione piena del giudizio dibattimentale e riscontrava profili di contraddittorietà inesistenti, in quanto il giudizio di attendibilità della persona offesa quanto al delitto del 21/11/2012 era formulabile soltanto all'esito del giudizio previo esame incrociato condotto dalle parti; -la pretesa di acquisizione di elementi di riscontro esterni ed individualizzanti era giuridicamente errata, riguardando altro mezzo di prova, ossia le dichiarazioni dell'imputato di reato connesso e la contrapposizione con l'indagato non costituiva un valido parametro di valutazione dell'attendibilità della persona offesa;
-in ordine all'altro episodio il giudice si era avventurato nel riferire l'interpretazione personale dei testimoni presenti senza considerare che tale approccio non poteva precludere il necessario approfondimento dibattimentale, di cui si è data per scontata l'inutilità;
-la qualificazione giuridica della fattispecie concreta non era condivisibile perché non teneva conto della carica offensiva insita nelle condotte contestate sotto il profilo della lesione del prestigio del superiore, contestato nella sua attività di comando e ridicolizzato nella stessa funzione;
-era contraddittorio il rilievo sul clima di tensione creatosi nel reparto rispetto al tono scherzoso attribuito alla frase pronunciata nel secondo episodio.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
1. La sentenza impugnata ha ritenuto di dover assumere la decisione contestata in ragione dell'inconcludenza dimostrativa dell'attività istruttoria da compiere nella sede dibattimentale e ha fondato tale valutazione su una pluralità di considerazioni fattuali, tutte adeguatamente poste in discussione e confutate con l'iniziativa impugnatoria del Procuratore Generale.
2. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte e la dottrina hanno da tempo affermato che l'udienza preliminare nell'economia del processo di primo grado ha natura soltanto processuale perché non è destinata alla verifica circa l'acquisizione, all'esito delle indagini preliminari o nel corso del suo svolgimento, di elementi probatori in grado di dimostrare la fondatezza o meno della "notitia criminis", l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato, verdetto esprimibile mediante esercizio dei poteri cognitivi e valutativi propri del giudizio, ma soltanto a formulare la prognosi circa i risultati conseguibili con il dibattimento sulla base di quel materiale probatorio e circa la concreta possibilità di sviluppi istruttori che diano luogo alla sua modificazione, in termini di arricchimento o di chiarimento, conducendo a risultati differenti. Il giudice dell'udienza preliminare non deve valutare nel merito il quadro probatorio, quasi ad anticipare la decisione conclusiva del processo, ma pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato solo in presenza di prove positive di innocenza, oppure di una palese inconsistenza dimostrativa delle prove di colpevolezza, tali da non essere suscettibili di modificazioni al dibattimento con l'acquisizione di nuovi elementi conoscitivi, oppure con la diversa valutazione di quelli raccolti e da rendere superflui il passaggio del procedimento alla fase giudiziale e l'espletamento della relativa istruttoria.
In senso confermativo va letta la disposizione di cui all'art. 425 cod.proc.pen., comma 3, che impone la pronuncia di non luogo a procedere se "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio", ossia se l'incertezza e la non univocità dei risultati probatori conseguiti non si prestino a modificazioni o a soluzioni che consentano di supportare l'accusa nella sede giudiziale nell'ottica del suo accoglimento.
2.1 E' altrettanto pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il sindacato conducibile nel giudizio di cassazione sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere non investe gli elementi probatori di colpevolezza acquisiti dal pubblico ministero, ma riguarda unicamente il percorso giustificativo, esposto dal giudice nella loro disamina e, quindi, la ragionevolezza, la coerenza e logicità del giudizio prognostico adottato nella valutazione del materiale probatorio acquisito (sez. 6, n. 35668 del 28/03/2013, Abbamonte e altri, rv. 256605; sez. 6, n. 20207 del 26/04/2012, P.C. in proc. Broccio e altri, rv. 252719; sez. 2, n. 3180 del 06/11/2012, P.M. in proc. Furlan e altro, rv. 254465; sez. 2, n. 28743 del 14/05/2010, Orsini, rv. 247860; sez. 5, n. 15364 del 18/03/2010, Caradonna, rv. 246874; sez. 4, n. 2652 del 27/11/2008, Sorbello, rv. 242500; sez. 5, n. 14253 del 13/02/2008, Piras, rv. 239493). Se l'analisi condotta nella sentenza esprime un giudizio negativo in termini di superfluità della fase dibattimentale e ne offre puntuale e logica giustificazione, al giudice di legittimità non è consentito condurre una rilettura dei dati informativi acquisiti durante le indagini per approdare a soluzioni diverse.
2.2 Tanto premesso, l'esame della sentenza impugnata dimostra che il primo giudice non si è attenuto ai principi giuridici indicati. L'esposizione dei motivi che hanno indotto al proscioglimento dell'imputato è frutto di una valutazione compiuta ed approfondita sull'attendibilità della principale fonte di prova acquisita dall'accusa, la deposizione della parte lesa m.llo L. N., di cui si è affermata la non assoluta affidabilità testimoniale per una pluralità di ragioni, che però paiono appartenere al sindacato conducibile nel giudizio all'esito dell'istruttoria dibattimentale, mentre non si comprende, perché la sentenza non lo specifica, per quale ragione il suo esame nel contraddittorio tra le parti non avrebbe potuto chiarire i dubbi espressi dal G.U.P. al riguardo.
2.3 E' fondata anche la censura che critica l'impiego nel riscontro sull'attendibilità della fonte dichiarativa di tipo testimoniale di un parametro di valutazione incongruo, "i riscontri diretti ed individualizzanti", perché processualmente riferibile ad altro mezzo di prova, ossia la chiamata in reità o correità ed in generale all'informazione fornita dall'imputato di reato connesso o collegato.
2.4 Quanto al secondo episodio ascritto al D.P. l'evidenziato contrasto nelle deposizioni dei testi presenti circa il tono, offensivo, piuttosto che scherzoso, col quale l'imputato aveva proferito la frase incriminata, diretta ad attribuire all'uso di alcolici un'azione di comando assunta dal m.llo L. N. nell'esercizio delle sue funzioni d'istituto, nel percorso motivazionale della sentenza impugnata viene risolto con l'adesione ad una delle due versioni dei fatti, ricavabili dalle informazioni acquisite. L'opzione operata, oltre ad essere di per sé riconducibile ai tipici poteri cognitivi del giudice dibattimentale, pare affidata a mere impressioni soggettive dei dichiaranti in ordine al proposito dell'imputato e non è riscontata dall'esame delle circostanze dagli stessi descritti.
Nella sentenza in verifica non è poi dato rinvenire specifiche e logiche argomentazioni che si basino piuttosto sul testo trascritto della registrazione dell'episodio o sull'ascolto del relativo nastro, che meglio di qualsiasi opinabile sensazione individuale potrebbe rivelare il contesto fattuale, il clima della riunione, il momento in cui la frase era stata pronunciata, lo scambio eventuale di battute tra i partecipanti.
2.5 Inoltre, sotto il profilo logico, la motivazione pare incorrere in rilievi contraddittori, laddove afferma come positivamente accertati il perdurante clima di tensione e contrapposizione, per nulla sereno, nei rapporti tra il superiore ed i sottoposti e le rimostranze del primo per le modalità di espletamento dei servizi da parte dei secondi, o almeno di alcuni di essi, per poi addebitare l'accusa, rivolta al comandante, di avere agito sotto l'effetto dell'alcol ad un intento scherzoso, che però le finalità della riunione del 28/11/2012 e la situazione non autorizzavano.
3. In punto di diritto la sentenza, laddove ritiene che le condotte non siano riconducibili alla fattispecie astratta dell'insubordinazione con ingiuria, prospetta un'interpretazione non corretta e riduttiva del parametro normativo di riferimento; non considera, infatti, che anche nel primo episodio, per quanto le espressioni non fossero in sé volgari, presentavano un contenuto denigratorio delle modalità di organizzazione del servizio e della persona del superiore, cui si ascriveva l'incapacità di gestire "le cose nel reparto", proponendone con una correzione vistosa e visibile a tutti i militari una modalità alternativa e più consona. Qui non si verte nell'esercizio del diritto di critica, quanto nella plastica esteriorizzazione di un modello diverso di condotta dirigenziale, che offende il prestigio e la dignità del comandante. Altrettanto dicasi quanto all'affermazione che la sua azione di comando era addebitabile all'alterazione alcolica, insinuazione che offende e destituisce di autorità e credibilità il superiore.
3.1 Ritiene questa Corte che la decisione impugnata non tenga adeguatamente conto della configurazione astratta della fattispecie di insubordinazione con ingiuria, prevista dall'art. 189 c.p.m.p., comma 2 quale reato plurioffensivo, che tutela la dignità e l'onore del superiore, ma anche l'integrità e l'effettività del rapporto gerarchico, che è funzionale al mantenimento della compattezza e dell'efficienza delle forze armate, necessarie per il raggiungimento dei compiti loro affidati dall'ordinamento. Inoltre, il particolare rigore cui sono improntati i rapporti nel contesto militare, conduce a considerare offesa all'onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore, così come il ricorso ad espressioni dal tono arrogante, perché contrari alle esigenze della disciplina militare, la quale impone come indispensabili norme penali di protezione dell'effettività della gerarchia e richiede che il superiore sia tutelato, non solo nell'espressione della sua personalità umana, ma anche nell'ascendente morale che deve accompagnare l'esercizio dell'autorità corrispondente al grado e la funzione di comando (Cass. sez. 1, n. 3971 del 28/11/2013, De Chiara, rv. 259013; sez. 1, n. 7957 del 20/12/2006, Frantuma, rv. 236355; sez. 1, n. 1172 del 12/07/1989, Pesola, rv. 183159). La fattispecie in esame ripete poi dal reato comune di ingiuria le sue caratteristiche di delitto a dolo generico, che si realizza allorchè l'agente rivolga al destinatario, in questo caso un militare di grado superiore, una frase lesiva del decoro e dell'onore dello stesso, senza che sia necessaria la volontà di offendere o umiliare, trattandosi di delitto volto a tutelare, sia il patrimonio morale della persona, sia il bene indisponibile della disciplina militare. Pertanto, per la sua integrazione è sufficiente la cosciente volontà di pronunciare espressioni di univoco significato offensivo, perché dispregiative, mortificanti ed avvilenti, senza che assumano rilievo eventuali moventi o finalità individuali di volta in volta perseguite (Cass. sez. 1, n. 12997 del 10/02/2009, Ottaviano e altro, rv. 243545; sez. 1, n. 42367 del 16/11/2006,, P.G. in proc. Toraldo, rv. 235569; sez. 1, n. 58 del 16/11/2006, Rizzi, rv. 235335).
Per le considerazioni svolte, poiché la sentenza impugnata risulta affetta da errori giuridici nell'interpretare lo specifico compito affidato al giudice dell'udienza preliminare e da plurimi profili di manifesta illogicità, ne va disposto l'annullamento con rinvio al G.U.P. del Tribunale militare di Verona per un nuovo giudizio, che dovrà attenersi ai principi di diritto ed ai rilievi suesposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al G.U.P. del Tribunale militare di Verona.
09-11-2014 23:15
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