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Sentenza

Brigadiere dei Carabinieri, Nucleo Scorte, nel corso di un servizio di protezion...
Brigadiere dei Carabinieri, Nucleo Scorte, nel corso di un servizio di protezione, offendeva il prestigio l'onore e la dignita' del superiore in grado Maresciallo Capo dicendogli ...mi sono rotto i c... ni.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    13/06/2014 ( ud. 13/06/2014 , dep.30/06/2014 ) 
Numero:
    28131

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GIORDANO   Umberto       -  Presidente   -                     
    Dott. CAVALLO    Aldo          -  Consigliere  -                     
    Dott. BARBARISI  Maurizio -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. LA POSTA   Lucia         -  Consigliere  -                     
    Dott. BONI       Monica        -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
              S.L. n. il (OMISSIS); 
    avverso la sentenza 12 marzo 2013 - Corte Militare di Appello; 
    sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi; 
    udite  le  conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero,  in 
    persona del Dott. FLAMINI Luigi Maria, sostituto Procuratore Generale 
    Militare,  che  ha  chiesto il rigetto del ricorso con  condanna  del 
    ricorrente al pagamento delle spese processuali; 
    udito  il  difensore avv. Martorello Goffredo, che  ha  concluso  per 
    l'accoglimento dei motivi di ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1. - Con sentenza deliberata in data 12 marzo 2013, depositata in cancelleria il 26 marzo 2013, la Corte Militare di Appello, confermava la sentenza 17 luglio 2012 del Tribunale Militare di Roma che aveva dichiarato S.L. responsabile dei reati di insubordinazione con ingiuria aggravata condannandolo alla pena di giustizia.

    1.1. - Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, S.L., in qualità di Brigadiere dei Carabinieri effettivo del Nucleo Scorte di (OMISSIS), nel corso di un servizio di protezione, offendeva il prestigio l'onore e la dignità del superiore in grado Maresciallo Capo Ma.Se.

    proferendo al suo indirizzo le parole meglio indicate nel capo di imputazione in reazione alla condotta del maresciallo stesso che gli aveva fatto un appunto in materia di custodia di armi.

    Ciò posto, ritenuto che dovesse ritenersi asseverato in dibattimento che la frase pronunciata dall'imputato fosse "mi sono rotto i coglioni" anzichè "mi hai rotto i coglioni", dovendosi privilegiare, nel contrasto tra le dichiarazioni sul punto della persona offesa e del teste Me., le dichiarazioni di quest'ultimo, quale soggetto terzo e disinteressato, la frase in questione conservava tuttavia una sua valenza ingiuriosa posto che la medesima era stata pronunciata, seppur in modo obliquo e impersonale, quale immediata risposta all'appunto fattogli dalla persona offesa all'imputato e come tale di valenza offensiva.

    2. - Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. M.G., ha interposto tempestivo ricorso per cassazione S.L. chiedendone l'annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

    In particolare sono stati sviluppati dal ricorrente due motivi di gravame:

    a) con la prima doglianza veniva rilevata l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 189 c.p.m.p., comma 2 e dell'art. 49 cod. pen.; veniva in particolare rilevato che, contrariamente a quanto assunto dal giudice, l'art. 189 c.p.m.p., comma 2 non tutela quale interesse giuridico tutto il patrimonio morale della persona offesa ma solamente il prestigio, l'onore o la dignità e non anche il decoro che viene invece tutelato dall'art. 594 cod. pen.;

    l'espressione scurrile utilizzata dal ricorrente non era pertanto tale da ledere il prestigio, l'onore o la dignità;

    b) con la seconda censura veniva eccepita l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 125 cod. proc. pen. nonchè illogicità della motivazione in riferimento all'attribuzione a superiore della frase incriminata, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) e violazione altresì dell'art. 521 cod. proc. pen. e, in particolare, del principio di correlazione tra imputazione e sentenza con conseguente nullità della sentenza; il giudice ha valorizzato una frase anzichè l'altra per poi contraddirsi esaminando la testimonianza del Me., pervenendo così a una valutazione diversa da quella formulata nel capo di imputazione.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    3. - Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

    3.1 - Il primo motivo di ricorso, in particolare, non è fondato e deve essere respinto. L'apprezzamento operato dal giudice del merito si palesa congruo e coerente: sia la frase "mi sono rotto i coglioni" che quella parzialmente differente "mi ha rotto i coglioni" hanno entrambe valenza offensiva del prestigio (in sua presenza) di un superiore perchè aggrediscono in modo esplicito e inequivocabile il suo potere gerarchico e dunque l'essenza stessa del comando militare oltre che il prestigio che il superiore riveste nella catena di comando militare. Anche nella sua accezione meno offensiva la frase ascritta allo S., e che lui stesso afferma di aver pronunciato, rivela in ogni caso un'aspra insofferenza per la condotta tenuta nei suoi confronti dal superiore, esprimendo una critica sproporzionata e non giustificabile al richiamo legittimo ricevuto, reazione non consentibile nell'ambito di un rapporto di comando e di responsabilità come quello esistente tra superiore e inferiore militare.

    3.2 - Il giudice argomenta altresì, in modo logico e con contraddittorio, la direzione della frase nei confronti della parte lesa, lo stretto nesso di causalità con la condotta del superiore e dunque la valenza reattiva.

    Occorre peraltro sottolineare che il reato ritenuto nella sentenza gravata integra la lesione della personalità morale del superiore ma non rileva, in via di principalità, quale delitto contro l'onore bensì come elemento costitutivo di un reato complesso in cui l'elemento lesivo dell'onore della persona viene assorbito e traslato in una ben diversa e più grave obiettività giuridica consistente nella tutela del rapporto gerarchico militare; è altresì appena il caso di osservare che tale fattispecie non coincide con l'ingiuria prevista dall'art. 594 cod. pen., menzionata dal ricorrente, in quanto comprende l'offesa anche al prestigio e alla reputazione del superiore, esprimendo così una lesione all'ascendente morale del medesimo.

    3.2 - Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

    3.2.1 - Non è ravvisabile alcuna contraddizione motivazionale nella sentenza impugnata (e la censura sul punto si profila come generica e inammissibile) nè è riconoscibile la denunciata violazione del principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen..

    In relazione a tale ultima questione va richiamato il consolidato orientamento espresso da questa Corte in merito alla enunciata violazione (Cass. Sez. 3, 8 aprile 2010, n. 19741, Minardi, rv.

    247171), in forza del quale il difetto di correlazione non deve essere valutato in base al mero confronto letterale tra fatto imputato e sentenza, ma in relazione all'effettiva lesione del diritto di difesa. Nella valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione deve tenersi conto, pertanto, non solo del fatto descritto nel capo di imputazione, ma di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè non si configura alcuna violazione nel caso in cui costui abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (cfr. Sez. 3, 27 febbraio 2008, n. 15655).

    Nel caso in esame la difesa ha avuto modo di spiegare ogni attività difensiva e nessuna violazione del diritto di difesa è configurabile atteso che non vi alcuna immutazione del titolo di reato, bensì solo, al limite, del contenuto della condotta dì cui peraltro si è ampiamente discusso in dibattimento essendo stato oggetto di testimonianza.

    4. - Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2014.

    Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2014
Avv. Antonino Sugamele

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