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Sentenza

Colpo di Stato in Cile. Omicidio di un italiano. Misura cautelare applicata ad u...
Colpo di Stato in Cile. Omicidio di un italiano. Misura cautelare applicata ad un procuratore militare del regime militare di Pinochet. Domanda di ingiusta detenzione. Rigetto.
Cassazione penale  sez. IV   
Data:
    16/10/2014 ( ud. 16/10/2014 , dep.10/11/2014 ) 
Numero:
    46388

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE QUARTA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ROMIS           Vincenz -  Presidente   -                      
    Dott. VITELLI CASELLA Luca    -  Consigliere  -                      
    Dott. PICCIALLI       Patrizi -  Consigliere  -                      
    Dott. GRASSO          Giusepp -  Consigliere  -                      
    Dott. MONTAGNI        A. -  rel. Consigliere  -                      
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                         P.M.O.A. N. IL (OMISSIS); 
    nei confronti di: 
    MINISTERO ECONOMIA E FINANZE; 
    avverso   l'ordinanza  n.  108/2013  CORTE  APPELLO  di   ROMA,   del 
    19/11/2013; 
    sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI; 
    lette  le conclusioni del PG Dott. Francesco Salzano, che ha  chiesto 
    il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con ordinanza in data 19.11.2013 la Corte di Appello di Roma rigettava la richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione formulata da P.M.O.A..

    La Corte territoriale rilevava che il richiedente era stato sottoposto alla misura cautelare carceraria con ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Roma in data 19.10.2006, in riferimento ai gravi reati di cui al capo M1) dell'imputazione provvisoria, comprendenti il delitto di strage, sequestro di persona e omicidio aggravato, fatti che si ascrivono al prevenuto quale Procuratore Militare di (OMISSIS), perpetrati nell'anno 1973. Il Collegio osservava che P. era stato tratto in arresto in data 27.07.2008 presso l'Aeroporto di (OMISSIS); che lo stato di detenzione si era protratto sino all'8.03.2011, quando il Tribunale del Riesame di Roma aveva revocato la misura custodiale, per essere venute meno le esigenze cautelari; e che altra misura custodiale era stata emessa il 16.03.2011 nei confronti del predetto, dalla Corte di Assise di Roma, stante il pericolo di fuga.

    Ciò premesso, la Corte distrettuale considerava che il processo a carico del richiedente si era concluso con sentenza della Corte di Assise di Roma, in data 11.07.2011, divenuta irrevocabile il 5.03.2013, con la quale: si era dichiarato di doversi procedere nei confronti del P. con riguardo al reato di cui all'art. 422 c.p., per difetto di condizione di procedibilità ex art. 8 c.p.; non doversi procedere in ordine al reato ex art. 630 c.p., trattandosi di reato estinto per prescrizione; ed era stata pronunciata l'assoluzione del prevenuto rispetto all'imputazione di omicidio volontario in danno di V.L.O.R., per non aver commesso il fatto.

    Il giudice della riparazione rilevava che la domanda presentata da P. relativamente ai reati di strage e sequestro di persona a scopo di estorsione si basava sul disposto di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, atteso che la Corte di Assise aveva evidenziato l'improcedibilità dell'azione penale per il primo reato e l'intervenuta prescrizione del secondo in epoca antecedente all'emissione dell'ordinanza carceraria. Sul punto, il Collegio considerava che la domanda avrebbe dovuto essere accolta, non rilevando la causa ostativa del dolo o della colpa grave, giacchè l'accertamento della improcedibilità dell'azione penale e dell'intervenuta prescrizione era stato effettuato sulla base degli stessi elementi presenti al momento di emissione della misura.

    La Corte di Appello considerava, peraltro, che il titolo custodiale era stato emesso anche in riferimento al reato di omicidio volontario, ipotesi dalla quale il prevenuto era stato assolto ma rispetto alla quale era formulabile a carico dell'istante l'addebito di dolo o colpa grave ostativo alla riparazione. Al riguardo, il Collegio sottolineava che dalla sentenza assolutoria emergeva il ruolo svolto da P. nelle vicende criminose che seguirono il colpo di Stato in Cile del settembre del 1973; vicende nelle quali si inserisce la drammatica storia di V.L.O.R., cittadino italiano. Con specifico riguardo alla condotta posta in essere dal richiedente, il Collegio considerava che risultava accertato che P. avesse raccolto meticolose informazioni sugli appartenenti alle organizzazioni che si opponevano al regime militare; e che il prevenuto aveva espressamente condiviso, sin dall'11.09.1073, il programma delittuoso di arresti e detenzioni illegali, sequestri di persona, torture ed omicidi, attuato sistematicamente nei confronti dei soggetti sospettati di opporsi alla dittatura, avendo esercitato di fatto le funzioni di Procuratore Militare. Il giudice della riparazione richiamava poi le circostanze di fatto relative al diretto coinvolgimento del richiedente, in seno alla Fiscalia Militare, nel sequestro e nell'uccisione del V..

    La Corte di Appello considerava che l'adesione del richiedente al programma di repressione degli oppositori del regime, se pure non era risultata idonea a far ritenere l'esistenza di un concorso morale nel delitto di omicidio, integrava un fattore ostativo alla domanda di riparazione. Ciò in quanto: l'eliminazione fisica degli oppositori rispondeva ad una pratica sistematica; e P. aveva manifestato ai familiari del V. di approvare l'intervenuta fucilazione del loro congiunto.

    2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione P.M.O., a mezzo del difensore.

    Con unico motivo la parte osserva che la decisione impugnata non sembra esente da censure di legittimità.

    L'esponente richiama l'insegnamento giurisprudenziale in base al quale si è chiarito che il fattore ostativo al riconoscimento dell'equa riparazione, dato dal dolo o colpa grave, opera anche nel caso di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, salvo che l'accertamento dell'insussistenza "ab origine" delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare. Ciò posto, il ricorrente osserva che la Corte territoriale ha omesso di verificare la sussistenza della condizione ora richiamata.

    Il deducente si soffermava, quindi, sulla vicenda processuale avente ad oggetto le imputazioni sopra richiamate, sottolineando che il Tribunale del Riesame - adito in sede di appello cautelare avverso il provvedimento della Corte di Assise, di rigetto della richiesta di revoca della misura - aveva confermato il provvedimento restrittivo, a seguito di annullamento con rinvio pronunciato dalla Suprema Corte, prima di disporre la scarcerazione del richiedente, in data 11.03.2011, per carenza di esigenze cautelari.

    La parte considera che il giudice della riparazione avrebbe dovuto verificare se vi fosse stato, o meno, il mutamento degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di mantenere la misura restrittiva, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 2; e rileva che, erroneamente, la Corte territoriale ha fatto rientrare nell'ipotesi di cui all'art. 314, comma 2, cit., soltanto la custodia cautelare sofferta in riferimento ai delitti di strage e sequestro di persona e non quella inerente il delitto di omicidio.

    3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la Suprema Corte rigetti il ricorso. La parte ha osservato che correttamente la Corte territoriale aveva considerato: che il titolo custodiale era stato adottato anche in riferimento al delitto di omicidio volontario; e che, rispetto a tale ipotesi, sussistevano i fattori ostativi al riconoscimento della riparazione, dati dal comportamento assunto dal richiedente a favore della dittatura cilena all'indomani del colpo di Stato del 1973. Ciò in quanto P. aveva collaborato con le strutture militari ove venivano sequestrati gli oppositori politici; e, dopo l'uccisione del V., aveva manifestato ai familiari della vittima la sua approvazione per l'atto compiuto.

    4. L'Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per il Ministero dell'Economia e delle Finanze, chiedendo che il ricorso sia respinto.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è infondato.

    Il provvedimento restrittivo emesso nei confronti di P. dal G.i.p. presso il Tribunale di Roma in data 19.10.2006, riguardava i reati di cui al capo M1) dell'imputazione provvisoria; e segnatamente il delitto di strage, il sequestro aggravato in danno di un numero indeterminato di persone e l'omicidio volontario di svariati prigionieri illegalmente detenuti, tra i quali V.O..

    Fatti perpetrati nell'anno (OMISSIS).

    A fronte di tale incontrovertibile dato di fatto, la Corte di Appello, quale giudice della riparazione, ha considerato che la domanda presentata da P., relativamente ai reati di strage e sequestro di persona a scopo di estorsione, si basava sul disposto di cui all'art. 314 c.p.p., comma 2, atteso che la Corte di Assise aveva evidenziato l'improcedibilità dell'azione penale per il primo reato e l'intervenuta prescrizione del secondo in epoca antecedente all'emissione dell'ordinanza carceraria. Ed il Collegio ha evidenziato che la domanda di riparazione, rispetto ai reati di strage e sequestro di persona, avrebbe dovuto essere accolta, non rilevando la causa ostativa del dolo o della colpa grave, giacchè l'accertamento della improcedibilità dell'azione penale per il delitto di strage e dell'intervenuta prescrizione del reato di sequestro di persona (in epoca anteriore all'adozione della misura), doveva essere effettuato sulla base degli stessi elementi presenti al momento di emissione della misura.

    Come si vede, sul punto ora esaminato, la decisione si colloca del tutto coerentemente nell'alveo dell'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che hanno recentemente chiarito, nell'esaminare funditus l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione: che risulta evidente l'avvicinamento fra le ipotesi di cui all'art. 314 c.p.p., commi 1 e 2, sotto il profilo della possibile comune derivazione della "ingiustizia" della misura da elementi emersi successivamente al momento della sua applicazione; che l'elemento della accertata "ingiustizia" della custodia patita, che caratterizza entrambe le ipotesi del diritto alla equa riparazione (diverse solo per le ragioni che integrano l'ingiustizia stessa) ne disvela il comune fondamento e ne impone una comune disciplina quanto alle condizioni che ne legittimano il riconoscimento; e che tale ricostruzione, conforme alla logica del principio solidaristico, implica, l'oggettiva "inerenza" al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione "del limite della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32383 del 27.05.2010, Rv. 247663). Le Sezioni unite, nella sentenza ora richiamata, hanno evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa che preveda l'esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente "vittima"; e che risulta perciò infondata la tesi che considera normativamente inapplicabile all'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 314 c.p.p., la condizione ostativa della causa sinergica discendente dal comportamento doloso o colposo del richiedente. Le Sezioni Unite hanno peraltro evidenziato che "ai fini delle verifiche di pertinenza del giudice della riparazione diviene, quindi, particolarmente importante appurare se l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale sia avvenuto (vuoi nel procedimento cautelare vuoi nel procedimento di merito) sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, o alla stregua di un materiale contrassegnato da diversità (purchè rilevante ai fini della decisione) rispetto ad essi, posto che la problematica della condotta sinergica viene praticamente in rilievo solo nel secondo e non anche nel primo dei suddetti casi" (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 32383, cit.). Nella sentenza ora richiamata si è quindi affermato il seguente principio di diritto: "La circostanza dell'avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione anche nella ipotesi, prevista dall'art. 314 c.p.p., comma 2, di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p.; tale operatività non può peraltro concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo "causale" che governa la condizione stessa, nei casi in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione".

    2. A questo punto della trattazione occorre considerare che la Corte di Appello di Roma, nell'ordinanza oggi impugnata, ha correttamente sottolineato che la misura cautelare che era stata eseguita nei confronti del P. si fondava, altresì, sull'imputazione di omicidio volontario degli oppositori del regime illegalmente detenuti, tra i quali V.O., ipotesi rispetto alla quale non vi era alcun impedimento all'emissione del provvedimento restrittivo e dalla quale il prevenuto era stato assolto, per non aver commesso il fatto.

    Muovendo da tale assunto, il Collegio ha quindi considerato che, rispetto all'imputazione di omicidio volontario, era formulabile a carico dell'istante l'addebito di dolo o colpa grave ostativo alla riparazione, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 1.

    Come è noto, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 1, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

    Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante" - e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

    Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

    A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell'attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.

    242760).

    Orbene, la valutazione espressa dalla Corte territoriale, in riferimento all'imputazione di omicidio volontario, si colloca del tutto coerentemente nell'alveo dell'insegnamento ora richiamato.

    Il Collegio, infatti, ha sottolineto che dalla sentenza assolutoria emerge il ruolo svolto da P. nelle vicende criminose che seguirono il colpo di Stato in Cile del settembre del 1973; vicende nelle quali si inserisce l'omicidio del cittadino italiano V.L.O.R.. La Corte distrettuale ha considerato che risultava accertato: che P. aveva raccolto meticolose informazioni sugli appartenenti alle organizzazioni che si opponevano al regime militare; e che il prevenuto aveva condiviso, sin dal settembre del 1973, il programma delittuoso di arresti e detenzioni illegali, sequestri di persona, torture ed omicidi, attuato sistematicamente nei confronti dei soggetti sospettati di opporsi alla dittatura, avendo esercitato di fatto le funzioni di Procuratore Militare. Il giudice della riparazione ha richiamato poi le circostanze di fatto relative al diretto coinvolgimento del richiedente, in seno alla Fiscalia Militare, nel sequestro e nell'uccisione del V..

    In conclusione, la valutazione espressa dalla Corte di Appello, laddove ha considerato che l'adesione del richiedente al programma di repressione degli oppositori del regime, se pure non era risultata idonea a far ritenere l'esistenza di un concorso morale nel delitto di omicidio, integrava un fattore ostativo alla domanda di riparazione, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma, non risulta censurabile in questa sede di legittimità.

    Tanto chiarito, è poi appena il caso di rilevare che la giurisprudenza di legittimità risulta consolidata nel rilevare che in materia di riparazione per l'ingiusta detenzione, ove il provvedimento restrittivo della libertà sia fondato su più contestazioni - come nel caso di specie - la sussistenza di condizioni ostative al riconoscimento della riparazione, anche rispetto ad una sola delle imputazioni, semprechè autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà, impedisce il sorgere del diritto, ex art. 314 c.p.p., commi 1 e 4, (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 31393 del 18/04/2013, dep. 22/07/2013, Rv.

    257778).

    3. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, liquidate come a dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè a rimborsare al Ministero resistente le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 1.000,00.

    Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2014.

    Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2014
Avv. Antonino Sugamele

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