Militare facente parte del nucleo di P. Tributaria condannato per concussione a 6 anni di reclusione:aveva percepito la somma di L. 1.000.000 quale compenso finalizzato all'annullamento di un processo verbale di constatazione redatto nel corso di un controllo fiscale e, solo successivamente, vistosi scoperto, aveva restituito la suddetta somma.
Cassazione penale sez. II
Data:
24/04/2014 ( ud. 24/04/2014 , dep.13/05/2014 )
Numero:
19654
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco - Presidente -
Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere -
Dott. LOMBARDO Luigi - Consigliere -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. S.A. nato il (OMISSIS);
2. C.B.G. nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/07/2012 della Corte di Appello di Reggio
Calabria;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Fulvio Baldi che
ha concluso per l'annullamento con rinvio per C. ed il
rigetto per S.;
udito il difensore di C.B. avv.to Bilardo Francesca che
ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 10/07/2012, la Corte di Appello di Reggio Calabria - pronunciando in sede di rinvio - confermava la sentenza con la quale, in data 27/01/2001, il Tribunale di Messina aveva condannato C.B. alla pena di anni sei di reclusione per il reato di concussione e aveva dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti di S.A. per il reato di corruzione ex art. 319 cod. pen..
2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
3. S.A., ha dedotto violazione dell'art. 129 cod. proc. pen., comma 2 per non avere la Corte territoriale, nonostante la svolta istruttoria avesse evidenziato la prova della sua innocenza, pronunciato sentenza di assoluzione.
4. C.B., ha dedotto i seguenti motivi:
4.1. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e): il ricorrente sostiene che la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, sarebbe incorsa nel vizio di travisamento del fatto, avendo perseverato nello stesso errore del primo giudice e cioè in una lettura distorta degli atti processuali.
In particolare, il ricorrente:
- contesta che la verifica tributaria, peraltro gestita dal cap. Sa. e da altri sottoufficiale della G. di F., fosse stata condotta con metodi "terroristici";
- sostiene che il V. - ossia il preteso concusso - non aveva mai subito alcun metus pubblicae potestatis, come peraltro poteva desumersi dalle dichiarazioni dallo stesso rilasciate;
- rileva una serie di inesattezze in cui la sentenza sarebbe incorsa.
4.2. violazione dell'art. 317 cod. pen.: il ricorrente, dopo aver rilevato che, originariamente, era stato rinviato a giudizio solo per i reati di cui agli artt. 323 e 319 cod. pen. e che, solo a seguito della contestazione suppletiva del P.M. all'udienza del 06/10/1999, gli era stata contestato anche il reato di concussione ex art. 317 cod. pen., sostiene che, nonostante i reati di cui agli artt. 323 e 319 cod. pen. fossero stati dichiarati assorbiti nel più grave reato di cui all'art. 317 cod. pen., il suddetto costrutto giuridico sarebbe contraddicono ed illogico in considerazione "della reciproca incompatibilità contenutistica delle stesse ipotesi delittuose;
della mancanza, nella specifica fattispecie sub judice, degli elementi tipici del metus o dell'abuso", che avrebbe comunque giustificato l'accoglimento della richiesta di derubricazione della fattispecie concessiva in quella corruttiva.
4.3. violazione dell'art. 62 bis cod. pen.: infine il ricorrente si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche sostenendo che la Corte, nel giudizio complessivo, avrebbe omesso di considerare i numerosi elementi favorevoli all'imputato.
Diritto
1. S..
Il ricorso di costui è manifestamente infondato.
L'imputato era stato tratto a giudizio per il reato di corruzione perchè, nella sua qualità di militare facente parte del Nucleo di P.T. della G. di F. di (OMISSIS), aveva percepito la somma di L. 1.000.000 da Ve.Sa. quale compenso finalizzato all'annullamento di un processo verbale di constatazione redatto nel corso di un controllo fiscale e, solo successivamente, vistosi scoperto, aveva restituito la suddetta somma.
Il ricorrente, dopo avere richiamato la sentenza n 35490/2009 delle SSUU, sostiene che la svolta istruttoria aveva evidenziato elementi tali (elencati a pag. 3 del ricorso) che avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a proscioglierlo con formula assolutoria.
Orbene, proprio con la invocata sentenza, le SSUU hanno aderito alla tesi (ex plurimis Cass. Sez. 2, 19 febbraio 2008 n. 9174, Paladini, rv. 239552) secondo la quale la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato - con obbligo per il giudice di pronunziare la relativa sentenza - solo allorquando i relativi presupposti (l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale dello stesso, il non averlo l'imputato commesso) risultino dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione avuto riguardo alla chiarezza della situazione processuale: in presenza di una causa estintiva del reato non è quindi applicabile la regola probatoria, prevista dall'art. 530, c.p.p., comma 2, da adottare quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma è necessario che emerga "positivamente" dagli atti, senza necessità di ulteriori approfondimenti, la prova dell'innocenza dell'imputato. E' stato affermato che, in questi casi, il giudice procede, più che ad un "apprezzamento", ad una "constatazione", con la conseguenza che non gli è consentito di applicare l'art. 129 c.p.p. in casi di incertezza probatoria o di contraddittorietà degli elementi di prova acquisiti al processo, anche se, in tali casi, il compendio probatorio con caratteristiche di ambivalenza potrebbe condurre all'assoluzione.
Ora, è sufficiente leggere la motivazione dell'impugnata sentenza (pag. 5 ss), in uno con la sentenza di primo grado, e porla a raffronto con i motivi dedotti con il presente gravame, per constatare che nessuna evidenza è ipotizzabile in ordine alla pretesa non colpevolezza del ricorrente, avendo la Corte territoriale evidenziato a suo carico sia le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in data 28/10/1994 davanti al P.M. ed in presenza del suo difensore di fiducia, sia le dichiarazioni concordi e sovrapponibili rese dallo stesso Ve.. Tanto basta per ritenere corretta la conclusione alla quale la Corte è pervenuta.
2. C..
2.1. violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e).: il ricorrente è stato ritenuto colpevole del reato previsto dal previgente art. 317 cod. pen. "per avere con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella qualità di militare della G. di F. Nucleo di P. T. di (OMISSIS) incaricato nella verifica fiscale nei confronti della ditta "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", in concorso con persone non identificate, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, indotto e/o costretto V.A. a dare indebitamente la somma di L. 60.000.000 in contante e a trasferire a tale s.
a. la proprietà di n. 2 appartamenti siti nel complesso costruito dalla(OMISSIS), quale compenso per la sua illecita attività volta a scongiurare o mitigare comunque gli effetti degli accertamenti espletati nel corso della verifica fiscale sopra citata. In (OMISSIS) in data vicina e prossima al (OMISSIS) e sino al (OMISSIS)".
La Corte territoriale (pag. 8 ss), ha ricostruito il fatto nei seguenti termini: "Il Tribunale evidenziava che le verifiche erano state caratterizzate da estrema durezza con atteggiamenti vessatori e persecutori, al punto che il V., in relazione alla verifica condotta sulla società di costruzioni (OMISSIS) srl, in data (OMISSIS) aveva elevato una vibrata protesta, chiedendo che venisse inserita in verbale la richiesta di annullamento dell'ispezione e di restituzione degli atti. In merito a tale verifica il V., dopo avere premesso di avere fin dall'immediato colto il tentativo dei finanzieri di instaurare con lui un contatto richiedendone la presenza sul posto con speciose motivazioni, nonostante fossero quotidianamente presenti i propri commercialisti Ca. e So., esponeva di essersi rivolto per un consiglio ad un amico di (OMISSIS), tale R.P. che, intuendo le intenzioni di C.B., gli aveva suggerito di pagare. Anzi, conoscendo personalmente il sottoufficiale, cercava col predetto un colloquio dopo il quale riferiva al V. che il C. lo aveva incaricato di dirgli che la situazione era molto brutta e che rischiava di essere arrestato, sicchè riusciva ad ottenere per il tramite di tale L.R.G. un incontro con il sottoufficiale (di cui il L.R. era amico) nello studio dello stesso L.R., ove raggiungevano un accordo che prevedeva il versamento da parte sua della somma di L. 120 milioni, a fronte di cui 60 milioni venivano subito versate ed il resto dopo la cessione di due monovani del complesso di (OMISSIS) a tale s.
a.: con la corresponsione delle somme l'atteggiamento dei sottoufficiali mutava, anche se i verbali venivano ugualmente elevati. Il Tribunale riteneva provata la responsabilità di C.B., sulla scorta delle precise dichiarazioni accusatone del V., intrinsecamente ed estrinsecamente credibili, anche perchè ampiamente riscontrate da quelle rese da R.P. (che confermava le circostanze relative al suo richiesto intervento), da L.R.G. (che confermava l'incontro nel suo ufficio tra il V. e C.B. ed il pagamento della tangente) e da s.a. (acquirente dei monolocali, con l'intermediazione del L.R.) ...".
La Corte territoriale, quindi, dopo avere illustrato i motivi di appello (pag. 9 ss), li ha tutti disattesi, sulla base del seguente iter motivazionale:
1) il V. doveva ritenersi attendibile sia intrinsecamente stante la linearità e logicità delle dichiarazioni rese, sia estrinsecamente avendo le suddette dichiarazioni trovato conferma sia documentale che testimoniale: "nè alcun disconoscimento di tale granitico costrutto accusatorio contengono le dichiarazioni del V. prodotte dalla difesa all'udienza in data 27/02/2001 ...":
cfr pag. 11-19;
2) corretta doveva ritenersi la qualificazione giuridica del fatto come concussione e non come corruzione. Sul punto, la Corte, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri distintivi fra i due reati, scrive: "Deve, ma solo per circoscrivere una circostanza certo drammatica, rammentarsi che venne rappresentato al V. addirittura il pericolo di essere arrestato, per escludere qualsiasi dei presupposti della invocata corruzione, volta ad un ridimensionamento della condotta dell'imputato": pag. 20;
3) la pena inflitta doveva ritenersi "assolutamente mite ove si consideri la personalità assai negativa dell'imputato, peraltro non nuovo a tale tipo di illecito, quale si desume anche dal carattere assai "studiato" del piano delittuoso realizzato utilizzando anche altri soggetti".
In questa sede, il ricorrente ha lamentato un preteso travisamento del fatto.
Sul punto, va precisato quanto segue.
Questa Corte ha affermato che con il ricorso per Cassazione non è possibile dedurre come motivo il "travisamento del fatto", giacchè è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Mentre è consentito, (art. 606 c.p.c., lett. e), dedurre il "travisamento della prova", che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest'ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano: ex plurimis Cass. 39048/2007 Rv. 238215.
Tanto premesso, è sufficiente una lettura del motivo di ricorso (che si sviluppa da pag. 1 a pag 7), per avvedersi che, in realtà, al di là di una generica doglianza, inframmezzata da notorie massime di giurisprudenza di legittimità, il ricorrente, in pratica, non ha dedotto nè vizi di travisamento della prova, nè evidenziato alcuno dei vizi motivazionali deducibili in sede di legittimità.
Infatti, il preteso vizio del travisamento del fatto e/o della prova, è compendiato, prima alle pag. 3 e 4 del ricorso e, poi, ripreso alla pag. 6: ma, non appena si leggano le doglianze, ci si avvede che il ricorrente ha tentato, in modo surrettizio, di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva: in tal senso, deve concludersi relativamente ai travisamenti denunciati a pag. 3 e 4 del ricorso.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento": infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745;
Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze:
ex plurimis SSUU 24/1999: e tali sono, ad es. i pretesi travisamenti evidenziati a pag. 6 del ricorso.
Non è vero, infine, che la Corte non abbia valutato le dichiarazioni del V. prodotte dalla difesa all'udienza del 27/02/2011: la suddetta valutazione si trova a pag. 19-20 dove la Corte riporta il contenuto delle suddette dichiarazioni che smentiscono, categoricamente, nella loro drammaticità, ancora una volta la versione edulcorata che ne ha fornito il ricorrente, il quale facendo leva su alcune frasi estrapolate, sostiene che il V. non subì alcuna costrizione (cfr pag. 4-5 ricorso).
2.2. violazione dell'art. 317 cod. pen.: come si è illustrato nella presente parte narrativa, il motivo di ricorso si articola in due censure: con la prima, il ricorrente, si duole delle modalità con le quali gli è stato contestato il reato di concussione; con la seconda, sostiene che il fatto addebitato avrebbe dovuto essere qualificato come corruzione.
Quanto alla prima censura (pag. 7 ss), deve rilevarsene l'estrema genericità non comprendendosi di cosa il ricorrente si dolga e quali norme ritiene che siano state violate.
Si tratta, quindi, di una censura confusa ed aspecifica rispetto alla quale non può che ribadirsi l'ineccepibile motivazione addotta dalla Corte che l'ha disattesa (pag. 20) rilevando che "la doglianza si risolve sostanzialmente in una critica verso la tecnica della contestazione non prospettando certamente comunque alcuna violazione del diritto di difesa. Le contestazione senza ombra di dubbio circoscrivono in maniera assolutamente chiara le condotte anche sotto un profilo temporale. Peraltro l'assorbimento tra le stesse, ritenuto dal primo giudice, semplifica ulteriormente la condotta relativa alla quale è stata riconosciuta la colpevolezza".
Quanto alla qualificazione giuridica, va rilevato quanto segue.
Posta e ritenuta la ricostruzione dei fatti così come effettuata da entrambi i giudici di merito, nessun dubbio vi può essere sul fatto che non si verta in un'ipotesi di corruzione.
Infatti, in punto di fatto, va rammentato che l'imputato, per piegare la volontà del V., da una parte, effettuò una verifica fiscale caratterizzata da estrema durezza con atteggiamenti vessatori e persecutori, al punto che il V., in data (OMISSIS), elevò una vibrata protesta, chiedendo che venisse inserita in verbale la richiesta di annullamento dell'ispezione e di restituzione degli atti (cfr anche pag. 12 della motivazione della sentenza impugnata dove si riporta la testimonianza del teste G. il quale affermò "di avere avuto la sensazione che sull'azienda si fosse abbattuta una bufera") e, dall'altra, non esitò a fargli sapere che la verifica si stava mettendo male e che avrebbe rischiato di essere arrestato.
Sono sufficienti questi due dati di fatto, per ritenere corretta la conclusione giuridica alla quale la Corte territoriale è pervenuta e che è del tutto in linea e conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità: ex plurimis Cass. 38650/2010, nonchè, da ultimo SSUU 12228/2014 secondo le quali "Il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti".
Piuttosto, il problema giuridico che pone la presente fattispecie è diverso e va posto d'ufficio a seguito della novella che, con la L. n. 190 del 2012 ha modificato, da una parte l'art. 317 cod. pen. (il quale ora prevede la sola costrizione: "Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni") e, dall'altra, ha introdotto la nuova fattispecie di reato prevista all'art. 319 quater nel quale, come elemento materiale è prevista l'induzione che faceva parte dell'elemento materiale del previgente art. 317 cod. pen. (art. 319-quater: "Induzione indebita a dare o promettere utilità: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Nei casi previsti dal comma 1, chi da o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni").
Se, sotto la previgente normativa dell'art. 317 cod. pen., che prevedeva, appunto, il reato di concussione per costrizione o induzione, tutto sommato, l'individuazione dei criteri differenziali fra le due condotte era sdrammatizzato dal fatto che, nell'una o nell'altra ipotesi, la condotta criminosa era pur sempre qualificabile come concussione, ora, individuare la differenza fra le due condotte è divenuta cruciale perchè stabilire se l'agente abbia posto in essere una condotta costrittiva o induttiva comporta la sussunzione del fatto nell'una (art. 317 cod. pen.) o nell'altra fattispecie (art. 319 quater cod. pen) con conseguenze differenti sotto il profilo sanzionatorio.
La suddetta questione si è posta subito nell'ambito di questa Corte di legittimità che ha elaborato tre criteri distintivi ognuno dei quali fa capo ad un diverso indirizzo giurisprudenziale.
La diversità di opinioni, ha indotto pertanto, questa Corte di legittimità ad investire della questione le SSUU le quali, con la sentenza n 1222/2014 hanno, tra l'altro, enunciato i seguenti principi di diritto:
a) il reato di cui all'art. 317 cod. pen., come novellato dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall'abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o, più di frequente, mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sè, è posto di fronte all'alternativa secca di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell'indebito;
b) v'è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la previgente concussione per costrizione e il novellato art. 317 cod. pen., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l'effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma;
c) il reato di cui all'art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall'abuso induttivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno (purchè quest'ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione.
Alla stregua dei suddetti principi di diritto, ritiene questa Corte che il reato addebitato al ricorrente debba continuare ad essere sussunto, così come ritenuto dalla Corte territoriale, nell'ambito della concussione per costrizione di cui all'art. 317 cod. pen..
In tal senso, depongono, in modo sicuro, le seguenti circostanze di fatto:
- la verifica fiscale fu effettuata con metodi così persecutori e vessatori che, a parte la protesta fatta verbalizzare dal V., anche il teste G. affermò "di avere avuto la sensazione che sull'azienda si fosse abbattuta una bufera";
- il C., per piegare la resistenza del V. non esitò a fargli sapere che la verifica si stava mettendo male e che avrebbe rischiato di essere arrestato.
Su quest'ultima, gravissima minaccia, è opportuno rilevare che le stesse SSUU, nella citata sentenza, nell'esaminare i casi ed borderline, non hanno avuto dubbi nel ritenere che si verta in un'ipotesi di concussione per costrizione (e non per induzione) in tutti quei casi in cui la vittima venga posta, nell'alternativa o di cedere all'illecita richiesta del pubblico ufficiale o di mettere in pericolo un bene primario (salvare la propria vita; la propria libertà sessuale) come, appunto, nella fattispecie in esame, in cui l'imputato pose il V. di fronte all'alternativa o di pagare o di essere arrestato e, quindi, di essere privato di un bene primario come la libertà personale.
In questi casi, le SSUU hanno, infatti, ritenuto che, quand'anche la vittima ottenga un vantaggio indebito, tuttavia, ciò che rileva è che il processo volitivo sia stato piegato dalla prospettiva di esporre un proprio bene primario a grave rischio (cfr 21-22).
2.3. violazione dell'art. 62 bis cod. pen.: anche la suddetta censura va ritenuta manifestamente infondata in quanto la motivazione addotta dalla Corte territoriale "quanto alla pena deve rilevarsi il carattere assolutamente mite della stessa, ove si consideri la personalità assai negativa dell'imputato, peraltro non nuovo a tale tipo di illecito, quale si desume dal carattere assai "studiato" del piano delittuoso realizzato utilizzando anche altri soggetti.
Elementi tutti certo ostativi di ogni trattamento premiale ivi inclusa la concessione delle circostanze attenuanti generiche" deve ritenersi ampia, congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di legittimità, essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche.
3. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.
Va, infine, rilevato che, essendo stati tutti i motivi del ricorso dichiarati inammissibili, trova applicazione il principio di diritto secondo il quale "l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.": ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 - Cass. 4/10/2007, Impero.
PQM
P.Q.M.
DICHIARA inammissibili i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2014
31-05-2014 13:19
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