Poliziotto destituito perche' durante un servizio di vigilanza stradale abbandona arbitrariamente l'itinerario assegnatogli recandosi in altra localita' ove si intrattiene all'interno di un locale, consumando bevande alcoliche e lasciando incustodito il veicolo e l'arma lunga in dotazione, ed inoltre per aver raggiunto successivamente altra localita' esplodendo, senza giustificato motivo, quattro colpi con l'arma d'ordinanza. Annullata la sanzione.
T.A.R. sez. II Genova , Liguria Data: 01/08/2003 ( ud. 03/07/2003 , dep.01/08/2003 ) Numero: 911
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria
Sezione Seconda
nelle persone dei Signori:
Mario AROSIO - Presidente
Roberto PUPILELLA - Consigliere
Raffaele PROSPERI - Consigliere, rel. ed est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.548/03 R.G.R. proposto da E.L. elettivamente
domiciliato in Genova, p.zza Corvetto 2/7, presso l'Avv. Raffaella
Rubino che lo rappresenta e difende per mandato a margine del
ricorso;
- ricorrente -
contro
il Ministero dell'Interno ed il Consiglio di disciplina presso la
Questura di Savona rispettivamente nelle persone del Ministro e del
legale rappresentante pro-tempore domiciliati in Genova, vl. B.
Partigiane 2, presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato che li
rappresenta e difende per legge;
- resistenti -
per l'annullamento
del decreto del Capo della Polizia datato 8 febbraio 2003 recante
destituzione dal servizio del ricorrente nonché della delibera del
Consiglio di disciplina e di tutti gli atti connessi;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del 3 luglio 2003, relatore il
Consigliere R. Prosperi, l'Avv. Rubino per il ricorrente;
Ritenuto e considerato quanto segue:
Fatto
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con ricorso notificato il 17 aprile 2003 l'assistente della Polizia di Stato E.L. impugnava, chiedendone l'annullamento, il decreto indicato in epigrafe con il quale il Capo della Polizia lo aveva destituito dal servizio a decorrere dall'antecedente 4 ottobre a seguito di procedimento disciplinare.
Premetteva in fatto l'esponente di essere stato deferito al Consiglio di disciplina insieme a collega pari grado, perché durante un servizio di vigilanza stradale aveva abbandonato arbitrariamente l'itinerario assegnatogli recandosi in altra località ove si era intrattenuto all'interno di un locale, consumando bevande alcoliche e lasciando incustodito il veicolo e l'arma lunga in dotazione, ed inoltre per aver raggiunto successivamente altra località esplodendo, senza giustificato motivo, quattro colpi con l'arma d'ordinanza.
Il L. pur ammettendo parzialmente i fatti, ma escludendo di aver sparato e lamentando la lesione dei suoi diritti di difesa nell'ambito del procedimento disciplinare, deduceva le seguenti censure:
1.Violazione dell'art.11 d.P.R. 25.10.81 n.737. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento. In primo luogo il procedimento disciplinare doveva essere sospeso, visto che l'interessato era stato sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale.
2.Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A., del contraddittorio e del diritto di difesa. Eccesso di potere per sviamento. Al ricorrente è stato permesso con grande ritardo di accedere agli atti del procedimento disciplinare, riducendo così al minimo i termini per la presentazione delle proprie giustificazioni, rendendo impossibile il deposito di una memoria di controdeduzioni.
3.Violazione dell'art.3 L. 241/90. L'unica difesa svolta a favore del L. è stata quindi quella del difensore, secondo il verbale della riunione del 25/11/02, difesa che non è stata presa in minima considerazione nel provvedimento impugnato.
4. Violazione degli artt.1 e 7 d.P.R. 737/81. Eccesso di potere sotto svariati profili. Il Consiglio di disciplina ha addebitato al ricorrente di aver variato l'itinerario stradale, di aver consumato in servizio presso un esercizio pubblico, di spari ingiustificati; per quanto concerne quest'ultimo addebito undici testimoni su dodici non hanno visto il ricorrente sparare e l'unico ad aver citato il fatto è il collega di pattuglia, anche lui sottoposto a procedimento: era quindi ragionevole un'inchiesta maggiormente approfondita. Quanto alla variazione dell'itinerario, essa era in parte dovuta a fraintendimenti nelle comunicazioni con un collega ed è stata di soli dieci chilometri e non di quaranta, dovendo andare a fare rifornimento; la sosta al ristorante è stata di soli quindici minuti ed all'arma lunga in dotazione era stato tolto il caricatore. E' evidente che la sanzione adottata sia del tutto sproporzionata.
5. Violazione degli artt.1, 7 e 13 d.P.R. 25.10.81 n.737. Illogicità e violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni sotto altro aspetto. Difetto di motivazione. Non si può quindi asserire che i fatti commessi siano caratterizzati da quella gravità di cui all'art.7 co.2 d.P.R. 737/81. Appare quindi non rispettato il principio della gradualità delle sanzioni.
Il ricorrente concludeva per l'accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Il Ministero dell'Interno si è costituito in giudizio, sostenendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della mancata sospensione del procedimento disciplinare ai sensi dell'art.11 d.P.R. 737/81, visto che per i medesimi fatti la Procura della Repubblica di Savona ha nel frattempo promosso relativo procedimento penale.
Il motivo è infondato.
L'art.11 anzidetto prevede che qualora l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza venga contemporaneamente sottoposto per gli stessi fatti tanto a procedimento disciplinare quanto a procedimento penale, il primo debba essere sospeso.
Ora, al momento della delibera del Consiglio di disciplina il procedimento penale a carico dell'interessato si trovava nella fase delle indagini preliminari e dunque il medesimo non aveva ancora acquisito la qualità di imputato: la sottoposizione a indagini preliminari di un appartenente ai ruoli della Polizia di Stato non impone all'Amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare nei suoi confronti ai sensi dell'art. 11 d.p.r. 25 ottobre 1981 n. 737 in quanto, secondo una consolidata giurisprudenza formatasi per questa materia con conclusioni identiche a quelle raggiunte per tutto il pubblico impiego, con procedimento penale si deve intendere il momento dell'esercizio dell'azione penale - ossia la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero - con cui sola l'indagato acquisisce la veste di imputato.
E' invece fondato il quarto motivo, con il quale il L. si duole della gravosità della sanzione decretata nei suoi confronti, irrogata per atti in grave contrasto con il giuramento e per il grave pregiudizio arrecato all'Amministrazione, elementi ingigantiti dagli organi disciplinari che avrebbero così violato il principio della gradualità della sanzione.
I fatti addebitati al L. consistono nell'aver abbandonato arbitrariamente insieme al collega di pattuglia l'itinerario di vigilanza assegnatogli, recandosi in un locale pubblico di altra località ove avrebbe consumato bevande alcoliche lasciando incustoditi tanto il vincolo quando l'arma lunga in dotazione e quindi di aver esploso in aria quattro colpi senza giustificato motivo.
La destituzione sarebbe stata irrogata per la riprovevolezza del comportamento inconciliabile con le funzioni di polizia e per la gravità del pregiudizio arrecato all'Amministrazione.
Quindi il decreto rileva la commissione di atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento ed il grave pregiudizio arrecato all'Amministrazione - art.7 n.2 e n.4 d.P.R. 737/81 - quale giustificazione della massima sanzione disciplinare.
In primo luogo il Collegio rileva che nulla nel provvedimento e nell'iter istruttorio, tra cui la deliberazione del consiglio di disciplina, sta ad attestare la derivazione di un grave pregiudizio per l'Amministrazione della pubblica sicurezza dal pur riprovevole comportamento del ricorrente: se in astratto da tale comportamento potevano derivare danni anche gravi per l'interesse pubblico, in concreto, per fortuna, questi non sono incontestabilmente accaduti.
In secondo luogo si deve verificare se il comportamento del L. possa rientrare tra quelli i quali il legislatore ha inteso ricomprendere gli atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento.
Alla Sezione non sfugge il fatto che il potere discrezionale delle P.A. è assai ampio nell'apprezzare le varie ipotesi disciplinari e che al giudice amministrativo non è consentito di ripercorrere l'intera formazione del provvedimento sanzionatorio ivi compresa soprattutto la valutazione degli illeciti una volta ricostruiti nella loro realtà.
Ma tali conclusioni non possono essere ricondotte all'estremo opposto, per cui il principio di proporzionalità delle sanzioni deve essere ritenuto del tutto insindacabile; la graduazione delle sanzioni in proporzione agli addebiti deve essere ritenuta emanazione di principi di cui all'art.97 della Costituzione, tanto da essere considerata dalla coscienza comune dei cives un aspetto tipico di questo istituto e ciò sia per le sanzioni meramente afflittive, sia per le sanzioni ripristinatorie dell'interesse pubblico violato.
Dalle sanzioni edilizie a quelle tributarie, da quelle attinenti la circolazione stradale a quelle del campo della produzione di beni e servizi, la proporzionalità della sanzione rispetto all'addebito commesso è un aspetto naturale delle previsioni normative le quali, se lasciano spesso uno spazio di apprezzamento per l'autorità decidente, fissano sempre dei limiti minimi e massimi entro i quali spaziare a seconda del comportamento dell'incolpato oppure determinano tipi di sanzioni diverse raffrontate a comportamenti diversi.
Se nel campo del pubblico impiego effettivamente il legislatore storicamente ha previsto una serie di sanzioni abbastanza limitata, collegando a queste comportamenti descritti succintamente tanto da poter lasciare uno spazio sufficientemente ampio all'insindacabile discrezionalità amministrativa, ciò non è accaduto con il d.P.R. 737/81, concernente appunto il regolamento disciplinare degli appartenenti all'Amministrazione della pubblica sicurezza.
Infatti tale articolato normativo si caratterizza per un fortissimo grado di analiticità, mediante un'elencazione delle sanzioni, non dissimili da quelle previste dalla generalità del pubblico impiego, ma con una metodologia del tutto diversa da quella del T.U. n.3/57 ed anche da quella degli attuali contratti nazionali dei vari comparti del pubblico impiego; una parte del testo indica per ciascun articolo una sanzione da adottare a fronte di una dettagliata serie di casi di illecito disciplinare descritti con una minuzia più vicina a quella di un codice che alle previsioni generalmente rinvenibili nella materia.
Ad ogni sanzione si ricollega una sequela di fattispecie che in taluni casi - si veda per esempio l'art.6 - giungono fino a dieci; ed ognuna di queste risponde ad un comportamento specifico cui non può essere ricollegata che quella sanzione prevista dello stesso articolo: è evidente che ad un livello così ineguagliabile di analiticità non può che corrispondere un'applicazione del principio di proporzionalità della sanzione, la cui applicazione rientra largamente nei canoni della legittimità più che in quelli della discrezionalità, seguendo sillogismi simili a quelli del giudice penale.
A questo punto incombe al giudice amministrativo sviluppare una verifica dei comportamenti sanzionati dal D.P.R. 737/81 rispetto a quelli addebitati al ricorrente:si può osservare, ad esempio, che l'art.5 n.7 punisce con la deplorazione la negligenza o l'imprudenza o l'inosservanza delle disposizioni nella custodia o nella conservazione di armi e mezzi, che l'art. 6 n.4 punisce con la sospensione dal servizio per un periodo da 1 a sei mesi quei comportamenti che producono turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio d'istituto.
E' chiaro all'interprete che tali casi si avvicinano a quanto addebitato al L. molto più degli atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento. Se poi si vuole svolgere un ragionamento generale su quali possano essere i doveri assunti con il giuramento, si può rilevare allora che il legislatore stabilisce la sanzione della sospensione dal servizio per l'allontanamento senza autorizzazione dalla sede di servizio per un periodo superiore ai cinque giorni: questo punto è molto importante per misurare la consistenza di quale violazione di doveri possa portare alla destituzione, poiché questa fattispecie richiama in tutto per tutto quella del reato militare di diserzione, tuttora vigente per gli appartenenti a forze armate, e che si estendeva anche agli appartenenti al Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza, riformato e "smilitarizzato" con la L.121/81.
Tale fattispecie disciplinare ha sostituito quella penale militare, la cui gravità è nota anche alle persone prive di cultura giuridica: se quindi tale grave addebito non è ricompreso fra i doveri assunti con il giuramento, la cui violazione comporta la destituzione, è palesemente illogico irrogare questa ultima al comportamento del ricorrente - in ogni caso al di là della grave riprovevolezza - visti anche i buoni precedenti di carriera.
Per le considerazioni suesposte il ricorso deve essere accolto con l'assorbimento delle censure residue ed il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sussistono comunque le ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, sez.2^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso in Genova nella Camera di Consiglio del 3 luglio 2003.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 01 AGO. 2003.
15-08-2014 23:18
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