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Sentenza

Primo caporal maggiore dell'Esercito dell'85RAV Verona condannato per violata co...
Primo caporal maggiore dell'Esercito dell'85RAV Verona condannato per violata consegna aggravata. Sostituite le provette di urina per controllo antidroga.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    22/01/2014 ( ud. 22/01/2014 , dep.18/02/2014 ) 
Numero:
    7581

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. SIOTTO    Maria Cristina -  Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI  Umberto   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. LOCATELLI Giuseppe       -  Consigliere  -                     
    Dott. LA POSTA  Lucia          -  Consigliere  -                     
    Dott. MAGI      Raffaello      -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                  S.M. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la sentenza n. 117/2012 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA,  del 
    15/01/2013; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 22/01/2014 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. ZAMPETTI UMBERTO; 
    Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI  L.  M., 
    sost. P.G. Militare che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
    Udito   il  difensore  Avv.  SPINA  Michele,  che  ha  concluso   per 
    l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza in data 15.01.2013 la Corte militare d'appello integralmente confermava la pronuncia di primo grado che, in esito a rito abbreviato, aveva dichiarato S.M., primo caporal maggiore dell'Esercito, all'epoca in servizio presso l'85 RAV di Verona, colpevole del reato di concorso in violata consegna aggravata e l'aveva così condannato, concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti, alla pena principale di mesi uno e giorni dieci di reclusione militare ed a quella accessoria della rimozione dal grado;

    pena sospesa.

    2. Entrambi i giudici del merito ritenevano invero accertato in fatto che l'imputato, sottoposto nella mattina del 10.05.2010 a prelievo di urina per controllo antidroga, conscio di aver fatto nei giorni precedenti uso di stupefacenti, aveva convinto il militare inferiore in grado caporale Pa. a chiedere al consegnatario caporale P. di dar loro le chiavi dell'infermeria, a quell'ora chiusa, con le quali si erano ivi introdotti sostituendo, nel pomeriggio dello stesso giorno, la provetta di interesse.- Il fatto storico, nei termini appena in sintesi riassunti, era provato in base alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio garantito dai coimputati Pa. e P. ed alle convergenti deposizioni dei testi Pi. e S., nonchè sul rilievo oggettivo che la provetta, avente un numero identificativo, era stata sostituita e solo il S. poteva avere interesse in tal senso.

    Riteneva poi la Corte militare d'appello che le disposizioni, sia pure verbali, impartite dal superiore in ordine a tempi, modi e motivi degli accessi ai locali dell'infermeria - e dunque anche quanto alla disponibilità delle chiavi - costituissero "consegna" in senso rilevante a questi fini, disposizioni peraltro note all'imputato quanto meno al momento del fatto, poichè il P. si era all'inizio rifiutato di consegnare le chiavi.

    3. Avverso tale sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto imputato che motivava l'impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando -in sintesi- nei seguenti termini : a) non era risultato in modo certo che vi fossero disposizioni qualificabili come vera e propria consegna in senso tecnico, avendo il Ten. Col. Sc. affermato che, quanto alle chiavi della farmacia, si trattava di istruzioni generiche; comunque l'esistenza di una vera e propria consegna era questione in fatto su cui era lecito avere dubbi ed era consentito l'errore; b) contraddittorietà di motivazione con la sentenza che aveva assolto il P., pur destinatario diretto della presunta consegna; esso S. era estraneo al servizio sanitario e dunque doveva essere ritenuto non informato sulla natura delle disposizioni relative a quello specifico servizio; c) vizi di acquisizioni delle prove che rendono le stesse inutilizzabili.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato con tutte le dovute conseguenze di legge.

    2. Deve dapprima essere dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, il primo in via logico-giuridica (v. sopra, sub ritenuto, al p. 3.c), con il quale il ricorrente deduce vizi di acquisizione delle prove che le renderebbero inutilizzabili.

    Si tratta, invero, di motivo assolutamente generico che non specifica nè quali prove si intenda impugnare, nè le ragioni a sostegno della tesi difensiva. Peraltro la sentenza di secondo grado attesta che analoga doglianza non risulta essere stata sollevata con i motivi dell'appello. Sul punto vale comunque rilevare che la pronuncia di primo grado (implicitamente confermata al riguardo da quella della Corte Militare d'appello) si era già incaricata di circoscrivere il materiale utilizzabile (escludendo alcuni atti affetti da nullità patologica), così fondando il giudizio su atti di sicura e non contestata validità (la prima parte delle dichiarazioni del M.llo Pi., quanto riferito dal P. sia in fase di indagini preliminari che al dibattimento, l'interrogatorio garantito del Pa.; le risultanze oggettive). In conclusione, sul punto, il giudizio è stato fondato - peraltro in rito abbreviato - su atti validi e rilevanti, sicuramente ben utilizzabili.

    La deduzione è dunque totalmente infondata, oltre che del tutto generica.

    3. E' poi infondato il primo motivo di ricorso, nel merito (v. sopra, sub ritenuto, al p. 3.a), con il quale il ricorrente intende contrastare la natura di "consegna" delle disposizioni date dal superiore competente in merito all'accesso all'infermeria, agli orari, alla responsabilità delle relative chiavi. Anche su tale specifico punto occorre rilevare che la decisione resa dai giudici del merito è pienamente corretta. Premesso che è risultato certo in atti (v. deposizione, non contestata, del Ten. Col. Medico Sc.) che anche sulla tenuta delle chiavi della farmacia, così come sugli orari di accesso e sulla facoltà stessa di accesso, erano state impartite disposizioni, va ricordato come sia giurisprudenza di questa Corte -che qui va richiamata e ribadita- secondo cui per "consegna", ai sensi della specifica normativa, debbano intendersi anche le prescrizioni impartite verbalmente per il corretto espletamento di un determinato servizio. Sul punto è opportuno riportare la massima alla quale si fa riferimento e che qui si conferma: Cass. Pen. Sez. 1^, n. 30693 in data 11.07.2007, Rv.

    237351, Demanuele: "La nozione di consegna ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 120 c.p.m.p., comprende l'intero complesso di prescrizioni tassative, generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali, impartite per l'adempimento di un determinato servizio al fine di regolarne le modalità di esecuzione e dalle quali non è consentito discostarsi".

    Tanto ritenuto, occorre poi rilevare l'infondatezza anche del secondo profilo di doglianza sul punto, relativo alla plausibilità di dubbi o incertezze soggettive sulla qualifica di vera e propria consegna, in senso tecnico, di tali disposizioni. L'incertezza in fatto, come correttamente rilevano i giudici del merito, è esclusa dalle stesse modalità del tutto irrituali, ed anzi maliziose, cui l'imputato ebbe a ricorrere, mentre l'incertezza in diritto non è ammessa in via generale (ex art. 5 c.p.). Sul punto è sufficiente ricordare la risultanza in fatto - anch'essa non oggetto di contestazione difensiva - secondo cui il consegnatario P. ebbe dapprima a rifiutarsi, per ben due volte, di consegnare le chiavi della farmacia alla coppia Pa.- S. che le richiedevano, ed ebbe poi a cederle solo a fronte dell'inganno dei richiedenti che assumevano (contrariamente al vero) che era stato dato un ordine in tal senso dal Cap. medico Pe..

    E' di tutta evidenza, pertanto, l'inconsistenza di un siffatto motivo di ricorso.

    4. Non miglior pregio ha il secondo motivo di ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 3.b), con il quale il ricorrente deduce disparità di trattamento con il P., e dunque una sorta di contraddizione esterna (tra giudizi). Non si tratta, in ipotesi, di vizio di motivazione che, per essere rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deve essere interno al testo del provvedimento impugnato (trattandosi piuttosto, sempre in ipotesi, di materia astrattamente rilevante ex art. 630 c.p.p.). Ma la dedotta contraddizione comunque non sussiste, posto che risulta (cfr. la sentenza impugnata a ff. 21- 22) che l'assoluzione del P. sia stata fondata non già negando o ponendo in dubbio i presupposti che fondano la condanna del S., che invece sono ivi condivisi e confermati, ma sotto il diverso e del tutto personale profilo psicologico (risultando esso P. esser stato ingannato sulla necessità dell'accesso in farmacia da parte del duo Pa.- S.).

    Sul punto il ricorrente ripete poi i dubbi sulla conoscenza, in capo ad esso imputato, delle specifiche disposizioni, essendo egli estraneo al servizio farmaceutico, ma si tratta - all'evidenza - di riproposizione di questione già risolta del tutto correttamente dai giudici del merito con affermazioni qui convalidate in fatto e diritto (v. supra).

    Anche tali motivi di ricorso, infondati, non possono essere accolti.

    5. In definitiva il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere respinto. Al completo rigetto dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2014.

    Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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