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Sentenza

Dipendente della Guardia di Finanza, durante delle attività di verifiche fiscali...
Dipendente della Guardia di Finanza, durante delle attività di verifiche fiscali che riguardavano attività societarie facenti capo ad un soggetto, accusato di intrattenere privatamente rapporti con quest'ultimo in riferimento alle verifiche in corso; in tale contesto, accusato di dolosamente ritardare nelle attività di constatazione di irregolarità fiscali, per tale ritardo prescritte, l'omessa segnalazione della sottrazione di documentazione fiscale da parte di una delle società ispezionate e, infine, accusato di fornire informazioni riservate sullo stato delle attività di istituto per consentire al privato di adottare contromisure.
Dipendente della Guardia di Finanza, durante delle attività di verifiche fiscali che riguardavano attività societarie facenti capo ad un soggetto, intratteneva privatamente rapporti con quest'ultimo in riferimento alle verifiche in corso; in tale contesto, dolosamente ritardava nelle attività di constatazione di irregolarità fiscali, per tale ritardo prescritte, l'omessa segnalazione della sottrazione di documentazione fiscale da parte di una delle società ispezionate e, infine, si forniva informazioni riservate sullo stato delle attività di istituto per consentire al privato di adottare contromisure. 

Cassazione penale  sez. VI   Data:    15/07/2015 ( ud. 15/07/2015 , dep.11/08/2015 ) Numero:    34802
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE SESTA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ROTUNDO    Vincenzo     -  Presidente   -                      
    Dott. CARCANO    Domenico     -  Consigliere  -                      
    Dott. DI STEFANO Pierlui -  rel. Consigliere  -                      
    Dott. VILLONI    Orlando      -  Consigliere  -                      
    Dott. DI SALVO   Emanuele     -  Consigliere  -                      
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                 C.G. n. (OMISSIS); 
                 S.M. n. (OMISSIS); 
             R.A. n. (OMISSIS); 
    avverso  l'ordinanza 831/2015 del 30/3/2015 del TRIBUNALE DEL RIESAME 
    DI ROMA; 
    visti gli atti, l'ordinanza ed il ricorso; 
    udita la relazione fatta dal Consigliere PIERLUIGI DI STEFANO; 
    Udito  il Procuratore Generale in persona del Dott. FRANCESCO SALZANO 
    che  ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso 
    di     R.  per  intervenuta rinuncia  ed  il  rigetto  degli  altri 
    ricorsi; 
    Uditi  i  difensori di       C., Avv. BIANCHINI ALESSANDRO  e  Avv. 
    ALESSANDRO  DE  FEDERICIS,  che  hanno  chiesto  l'accoglimento   del 
    ricorso. 
                     


    Fatto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con ordinanza del 30 marzo 2015 il Tribunale del Riesame di Roma confermava le misure cautelari degli arresti domiciliari applicate a R.A. e S.M. e, in parziale riforma dell'ordinanza nei confronti di C.G., sostituiva nei suoi confronti la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

    L'ordinanza è stata applicata dal gip del Tribunale di Roma il 27 febbraio 2015 per reati di "collusione" ai sensi della L. n. 1333 del 1941, art. 3 nonchè per violazione del segreto di ufficio, ipotesi di cui all'art. 326 c.p., commi 1 e 3.

    Più in particolare:

    - C.G., dipendente della Guardia di Finanza, in occasione delle attività di verifiche fiscali che riguardavano attività societarie facenti capo ad A.M., intratteneva privatamente rapporti con quest'ultimo in riferimento alle verifiche in corso; in tale contesto, risultava un doloso ritardo del C. nelle attività di constatazione di irregolarità fiscali, per tale ritardo prescritte, l'omessa segnalazione della sottrazione di documentazione fiscale da parte di una delle società ispezionate e, infine, si accertava che C. forniva informazioni riservate sullo stato delle attività di istituto per consentire al privato di adottare contromisure.

    - C.G. e S.M., anche questi dipendente della Guardia di Finanza, nel corso delle verifiche fiscali sulle società Roma global service S.r.l. e San Raffaele S.p.A., intrattenevano rapporti con R.A., commercialista incaricato della tenuta delle scritture contabili, risultando espressamente che avevano dato disponibilità per intervenire sugli esiti della verifica in corso, svolta in particolare dallo S..

    - Le intercettazioni, poi, dimostravano il coinvolgimento di C.G. in altre attività finalizzate a rapporti collusivi con soggetti sottoposti a controllo.

    Il Tribunale confermava la sussistenza di gravi esigenze cautelari, ritenendo che per C. potesse essere applicata la meno grave misura degli arresti domiciliari. In particolare, quanto a quest'ultimo, osservava come non fosse determinante che costui fosse in pensione, avendo dimostrato di poter operare illecitamente sulla scorta dei rapporti personali intrattenuti con altro personale della Guardia di Finanza.

    C., S. e R. hanno proposto ricorso.

    Quest'ultimo ha successivamente formalmente rinunciato alla impugnazione con atto a firma congiunta propria e dei difensori.

    Ricorso di C.G.. Con unico motivo deduce il difetto di motivazione quanto alla ritenuta necessità di applicare gli arresti domiciliari. Il Tribunale, pur prendendo atto che il ricorrente è in pensione, ha ritenuto il pericolo di recidiva rispetto al reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, art. 3 in relazione agli artt. 215 e 219 c.p.m.p.. Rileva come non possa più commettere tali reati ed il Tribunale, comunque, non ha motivato per quali ragioni i suoi rapporti consentirebbero di commettere i medesimi reati insieme ad altri soggetti.

    Ricorso di S.M.. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in riferimento all'art. 309 cod. proc. pen., comma 5 per il mancato deposito dei documenti relativi alle verifiche svolte La Guardia di Finanza. Rileva che mancano atti che erano necessari alla decisione, ovvero gli atti finali relativi alle ispezioni presso Roma Global Service e San Raffaele del gruppo Angelucci; in ragione di tale mancata trasmissione, afferma essere intervenuta l'inefficacia della misura cautelare.

    Con il secondo motivo deduce quale violazione di legge la assenza di autonoma valutazione del gip e del Tribunale del Riesame, dimostrato dalla corrispondenza di parte degli argomenti dei loro provvedimenti rispetto alle richieste del pubblico ministero.

    Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione per la carenza di motivazione in ordine al reato di collusione militare nonchè manifesta illogicità sulla sussistenza di indizi e di esigenze cautelari. Esamina in modo analitico il materiale indiziario rilevandone l'errore di valutazione e indicando la corretta lettura dello stesso.

    Il quarto motivo deduce la carenza di motivazione sulla necessità della misura degli arresti domiciliari essendo intervenuta la sospensione del ricorrente dalle sue funzioni.

    Con successiva memoria la difesa ha chiesto valutarsi la non autonomia della motivazione del Tribunale del Riesame alla luce delle regole introdotte dalla L. n. 47 del 2015.

    Il ricorso di R. va dichiarato inammissibile per sopravvenuta rinuncia con conseguente applicazione la sanzione pecuniaria nella misura di cui in dispositivo.

    Gli altri ricorsi devono essere rigettati per infondatezza.

    C. contesta le valutazioni in tema di esigenze cautelari. Va invero considerato che, seppure sia elemento significativo il venir meno della attività che ha costituito l'occasione e lo strumento per la commissione del reato, il provvedimento impugnato è motivato in modo adeguato per affermare la permanenza delle esigenze cautelari sulla scorta dei rapporti instauratisi con altri dipendenti della Guardia di Finanza che ben possono consentire la commissione di nuovi analoghi reati.

    Quanto al ricorso di S.:

    il primo motivo è infondato poichè la inefficacia della misura ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., comma 5 riguarda la sola ipotesi in cui non siano trasmessi al Tribunale del Riesame atti che, invece, sono stati trasmessi al giudice per le indagini preliminari. Dal provvedimento impugnato risulta, invece, che gli atti cui fa riferimento il ricorrente non erano stati trasmessi al giudice per le indagini preliminari e, nell'insistere sulla propria eccezione, il ricorrente non offre alcun elemento per dimostrare il contrario di quanto affermato dal Tribunale.

    Quanto al secondo motivo relativo alla presunta carenza di autonoma valutazione da parte del Tribunale del Riesame ed a fronte, inoltre, di analogo vizio del provvedimento del giudice per le indagini preliminari, va innanzitutto considerato infondato il motivo aggiunto che ritiene applicabile la disciplina di cui alla L. n. 47 del 2015.

    Trattandosi pacificamente di normativa processuale, alla ordinanza impugnata continua ad applicarsi la normativa vigente al momento dell'emissione del provvedimento. Per quanto riguarda la contestazione del merito, la parziale utilizzazione dei medesimi argomenti da parte di gip e Tribunale del riesame non è affatto prova di una mancanza di autonoma valutazione da parte del Tribunale.

    Il terzo motivo, con tutta evidenza, propone questioni non deducibili in sede di legittimità in quanto contesta la lettura del materiale indiziario dato dal Tribunale del Riesame proponendo una lettura alternativa e, quindi, invocando una valutazione di merito che non è consentita al giudice di legittimità.

    Il quarto motivo è infondato in quanto la motivazione in ordine alle esigenze cautelari è completa e logica, avendo il tribunale offerto adeguate ragioni perchè il pericolo di recidiva permanga anche a fronte della sospensione del ricorrente.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta i ricorsi di C.G. e S.M. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di R.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2015.

    Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2015
Avv. Antonino Sugamele

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