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Sentenza

Impiego pubblico - Disciplina e procedimenti disciplinari - Procedimento discipl...
Impiego pubblico - Disciplina e procedimenti disciplinari - Procedimento disciplinare - Decorrenza. Impiego pubblico - Disciplina e procedimenti disciplinari - Procedimento disciplinare - Sospensione cautelativa - Condanna penale del dipendente - Effetti.
Consiglio di Stato  sez. IV   11/06/2015 ( ud. 03/03/2015 , dep.11/06/2015 ) Numero:    2853
                                          REPUBBLICA ITALIANA
                                    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
                                       Il Consiglio di Stato
                             in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
                                    ha pronunciato la presente
                                             SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 8537 del 2012, proposto da:
    -(omissis...)-, rappresentato e difeso dall'avv. Ni. De Ma., con domicilio eletto
    presso Sa. De Ma. in Roma, Via Cassiodoro N.1/A;
                                              contro
    Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per
    legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia
    in Roma, Via (omissis...); Direzione Generale Per il Personale Militare;
                                          per la riforma
    della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 01313/2012, resa tra le parti,
    concernente procedimento disciplinare di sospensione dal servizio - risarcimento
    danni.
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2015 il Cons. Ni. Ru. e uditi
    per le parti gli avvocati Sa. De Ma. su delega dell'avvocato Ni. De
    Ma. e l'Avvocato dello Stato Fe. Di Ma.;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


    Fatto

    -(omissis...)-, capitano di corvetta del Corpo della Capitaneria di Porto, in servizio presso la capitaneria di Porto di Bari, impugnava con ricorso R.G. n. 1349 del 2010 avanti al Tar Puglia, sede di Ba., il decreto del Direttore Generale Ministero della Difesa n. 0204/3-9/2010 del 30 aprile 2010 di sospensione dall'impiego per quattro mesi, ed il connesso atto dispositivo n. 6422 del 29.6.2010 emesso dalla Direzione Commissariato M.M. di Taranto, con il quale era stata disposta la sospensione dal servizio nonché la riduzione del 50% dello stipendio oltre ad altri assegni.

    Detta sanzione era stata irrogata in conseguenza della sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata, su richiesta delle parti, a seguito di patteggiamento, dal Tribunale militare di Ve., in ordine al reato di peculato militare continuato commesso dal -(omissis...)-.

    Il Tar adito si pronunciava con sentenza di rigetto n. 1313 del 2012, impugnata dal ricorrente avanti a questo Consiglio.

    Il ricorrente formula tre motivi di appello volti ad ottenere la riforma della sentenza di prime cure e, per l'effetto, l'annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.

    Con il primo motivo di ricorso l'appellante deduce la violazione dell'art. 120 T.U., in base al quale il procedimento disciplinare si estingue quando sono decorsi 90 giorni senza che siano compiuti ulteriori atti.

    Con la seconda censura l'appellante deduce la violazione e falsa applicazione art. 9 della L. n. 19/1990 e art. 5 L. n. 97/2001. Erroneità della sentenza per omessa valutazione di elementi di fatto. L'appellante sostiene che il procedimento si sarebbe concluso oltre il termine massimo di conclusione del procedimento di 270 giorni previsto dalle citate norme.

    Con la terza censura l'appellante deduce la violazione e falsa a applicazione dell'art. 29 L. n. 113 del 1954. Eccesso di potere per illogicità manifesta. Al. riguardo l'appellante sostiene che il provvedimento sanzionatorio avrebbe dovuto scomputare dal periodo di sospensione inflitto i 3 giorni di sospensione precauzionale già scontati dal -(omissis...)-.

    Il ricorrente ripropone, altresì, la domanda risarcitoria.

    Si è costituita in giudizio l'Amministrazione, a mezzo del patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato, che ha depositato una relazione difensiva del Ministero della Difesa.

    Alla pubblica udienza del 3 marzo 2015, in vista della quale l'appellante ha depositato memoria di replica, la causa è stata spedita in decisione.
    Diritto

    1. L'appello non risulta fondato e non merita accoglimento.

    La questione verte sul procedimento disciplinare avviato dal Ministero della Difesa nei confronti di un capitano di corvetta, con successiva sospensione dal servizio, in conseguenza di sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata, su richiesta delle parti, a seguito di patteggiamento, in ordine al reato di peculato militare continuato.

    2. Con il primo motivo di ricorso l'appellante deduce la violazione dell'art. 120 T.U. impiegati dello Stato (recepito dal D.lgs. n. 66/2010 art. 1392) in base al quale il procedimento disciplinare si estingue quando " siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto".

    Al riguardo, l'appellante evidenzia che tra gli ultimi due atti del procedimento, quali la proposta sanzione del 18 gennaio 2010 e la determinazione del 30 aprile 2010 erano decorsi 102 giorni con conseguente decadenza dell'Amministrazione dalla applicazione della sanzione.

    Deve rilevarsi come alla fattispecie in esame non possa applicarsi, in base al principio tempus regit actum, l'art. 1392 del Codice dell'ordinamento militare (D.lgs n. 66/2010), in quanto entrato in vigore successivamente all'irrogazione della sanzione disciplinare.

    Il termine dei 90 giorni tra un atto endoprocedimentale e l'altro è previsto dall'art. 120 cit. ed è da considerarsi un termine non perentorio ma, bensì, ordinatorio o sollecitatorio. Da. giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, si evince come i termini perentori fissati dal legislatore siano quelli che fissano il tempo massimo entro cui il procedimento deve concludersi, mentre gli ulteriori termini volti a scandire le fasi interne al procedimento hanno funzione sollecitatoria ed il mancato rispetto degli stessi non comporta di per sé l'illegittimità del provvedimento finale adottato (cfr. Cons. St., Ad.. Pl.., nn. 4/2000 e 1/2004).

    2. Con la seconda censura l'appellante deduce violazione e falsa applicazione art. 9 della L. n. 19/1990 e art. 5 L. n. 97/2001. Erroneità della sentenza per omessa valutazione di elementi di fatto.

    L'appellante sostiene che il procedimento, terminato il 30 settembre 2009, si sarebbe concluso oltre il termine massimo di conclusione del procedimento di 270 giorni previsto dalle citate norme.

    La questione controversa attiene al dies a quo da cui conteggiare il termine di conclusione del procedimento, ossia dal giorno in cui l'Amministrazione ha avuto "notizia della sentenza irrevocabile di condanna".

    La giurisprudenza ha in proposito chiarito che la decorrenza dei termini del procedimento disciplinare parte dalla conoscenza qualificata della sentenza passata in giudicato, ossia da quando l'Amministrazione ha avuto esatta cognizione dei fatti accertati in quella sede e ciò al fine di poter essere in grado di valutare, in maniera adeguata, tutti gli elementi utili per condurre la successiva azione amministrativa (cfr, ex multis, Cons. St., sez. VI, n. 1175/2009 e n. 921/2001).

    Come risulta dagli atti di causa, l'Ufficio Marittimo di Porto Ga., ufficio che ha condotto il procedimento disciplinare, ha ricevuto copia della sentenza il giorno 4 settembre 2009, data in cui lo stesso -(omissis...)- consegnava copia della pronuncia irrevocabile all'Amministrazione di appartenenza.

    Il procedimento si è pertanto concluso nei termini.

    4. Con la terza censura l'appellante deduce violazione e falsa a applicazione dell'art. 29 L. n. 113 del 1954. Eccesso di potere per illogicità manifesta.

    Al riguardo l'appellante ritiene che il provvedimento sanzionatorio avrebbe dovuto scomputare dal periodo di sospensione inflitto i 3 giorni di sospensione precauzionale già scontati dal -(omissis...)-.

    Anche tale censura è priva di pregio.

    Il periodo di sospensione precauzionale era, infatti, stato limitato ai tre giorni in cui l'appellante era stato posto agli arresti domiciliari e, quindi, si trovava nell'impossibilità fisica di poter prestare servizio presso l'Amministrazione.

    Nel caso sospensione cautelare del pubblico dipendente disposta obbligatoriamente a seguito di ordine di cattura, qualora il processo si concluda con la condanna dell'imputato e venga, pertanto, riconosciuta la fondatezza dell'accusa nei confronti del dipendente all'esito del giudizio penale, debbono trovare necessaria applicazione i generali principi civilistici diretti a disciplinare il dispiegarsi dei rapporti contrattuali di tipo sinallagmatico, qual è quello del lavoro, con l'attribuzione, per intero nei confronti dell'impiegato, della responsabilità dell'interruzione del sinallagma tra la prestazione lavorativa e quella retributiva, con conseguente esclusione del diritto del funzionario al ripristino dello status quo ante (Cons. St., sez. VI, n. 1648/2007).

    5. Per quanto innanzi detto, l'appello è infondato e deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

    Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore dell'Amministrazione appellata, liquidandole complessivamente in € 2.500,00.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità dei dati identificativi, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

    Goffredo Zaccardi, Presidente

    Nicola Russo, Consigliere, Estensore

    Raffaele Potenza, Consigliere

    Andrea Migliozzi, Consigliere

    Leonardo Spagnoletti, Consigliere

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 11/06/2015
Avv. Antonino Sugamele

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