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Sentenza

Magistrato militare censurato dal Consiglio della Magistratura militare: avrebbe...
Magistrato militare censurato dal Consiglio della Magistratura militare: avrebbe formulato richieste non coerenti con le precedenti determinazioni dell'Ufficio di Procura senza darne preventivo avviso al Procuratore Militare.
Cassazione civile  sez. un.   20/04/2015 ( ud. 10/03/2015 , dep.20/04/2015 ) Numero:    7957

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONI UNITE CIVILI                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ROVELLI    Luigi Antonio          -  Primo Presidente f.f.  -  
    Dott. CICALA     Mario                     -  Presidente di Sez.  -  
    Dott. RORDORF    Renato                    -  Presidente di Sez.  -  
    Dott. RAGONESI   Vittorio                         -  Consigliere  -  
    Dott. MAMMONE    Giovanni                         -  Consigliere  -  
    Dott. TRAVAGLINO Giacomo                          -  Consigliere  -  
    Dott. DI IASI    Camilla                          -  Consigliere  -  
    Dott. PETITTI    Stefano                          -  Consigliere  -  
    Dott. FRASCA     Raffaele                    -  rel. Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 23840/2014 proposto da: 
                N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 
    5,   presso  lo  studio  dell'avvocato  STILE  Alfonso  M.,  che   lo 
    rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    MINISTERO   DELLA   DIFESA,  PROCURATORE  GENERALE   MILITARE   DELLA 
    REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE; 
                                                             - intimati - 
    avverso  la  sentenza  n.  1/2014 del  CONSIGLIO  DELLA  MAGISTRATURA 
    MILITARE IN SEDE DISCIPLINARE, depositata il 05/08/2014; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    10/03/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA; 
    udito l'Avvocato Alfonso M. STILE; 
    udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, 
    che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1. Il Dottor N.M., magistrato militare ed in servizio come sostituto procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 5 agosto 2014, con la quale il Consiglio della Magistratura Militare in sede disciplinare, pronunciando sui procedimenti disciplinari riuniti nn. 1 e 2 del 2013 e n. 1 del 2014:

    A) l'ha dichiarato responsabile:

    aa) delle incolpazioni di cui al capo "1 B)1" violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. n), (reiterata inosservanza delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti) perchè, sostituto procuratore militare della Repubblica in Roma, in più occasioni, nello svolgere le funzioni di pubblico ministero in udienza (dibattimentale o preliminare) in processi istruiti da altri colleghi (....) formulava richieste non coerenti con le precedenti determinazioni dell'Ufficio di Procura senza darne preventivo avviso al Procuratore Militare, in tal modo ripetutamente violando - nonostante gli inviti del capoufficio ad adeguarvisi ed indipendentemente dalla circostanza che, in talune occasioni, la richiesta fosse stata almeno parzialmente accolta dal giudice - la disposizione organizzativa interna, in vigore dal 18 gennaio 2007 (e di cui il Consiglio della Magistratura militare aveva confermato la legittimità con Delib. 15 aprile 2008, n. 2801) secondo cui "il magistrato designato per l'udienza, diverso da quello che ha curato il singolo affare penale nelle fasi precedenti che ravvisasse convincimenti difformi, in fatto e in diritto, rispetto a quelli precedentemente espressi dal collega, dopo l'esame dell'incarto e prima dell'udienza, ne riferirà al titolare dell'Ufficio per le valutazioni del caso, limitatamente alle sole condotte tenute - per talune delle udienze di trattazione preliminari o dibattimentali cui si riferivano i capi di incolpazione - come pubblico ministero designato;

    ab) dell'incolpazione di cui al capo "1 B)2" violazione dell'art. 2, comma 1, lett. d) del citato D.Lgs. (comportamento gravemente scorretto nei confronti di altro magistrato) perchè, nella detta qualità, quale coassegnatario con il Procuratore militare, Dottor D.P.M., di un procedimento per indagini ne disponeva la trasmissione all'Autorità Giudiziaria ordinaria senza darne informazione al magistrato coassegnatario, nonchè Dirigente dell'Ufficio, venendo così meno al dovere di leale e corretta collaborazione;

    ac) dell'incolpazione di cui al capo "2" violazione ancora dell'art. 2, comma 1, lett. d) del citato D.Lgs. perchè in uno scritto qualificato come "quesito", datato 30 maggio 2013 e diretto al Consiglio della Magistratura Militare aveva rappresentato che il giorno 29 maggio 2013 era stato convocato dal Dottor D.P. M. e che il medesimo si era "limitato a cestinare platealmente" la formulazione di un'iscrizione a Reg. Mod. 45 da lui redatta "accartocciando il relativo documento e senza dare allo scrivente alcuna motivazione di un tale gesto", in tal modo prospettando o quantomeno lasciando intendere - alla stregua delle parole usate - che, contrariamente al vero, il Dottor D.P. avesse soppresso un "documento" del procedimento; ciò, oltretutto, depositando il foglio contenente o scritto in questione presso gli uffici della Procura militare, per l'ulteriore inoltro, senza alcuna cautela per limitarne la conoscibilità all'interno della Procura militare stessa";

    B) l'ha invece assolto dalla incolpazione di cui al "capo 1 B)1" in relazione alla condotta tenuta come pubblico ministero in altre udienze preliminari o dibattimentali;

    C) l'ha assolto dall'incolpazione di cui al capo 3, perchè l'illecito contestato non sussisteva trattandosi di fatto di scarsa rilevanza.

    1.1. In relazione alle incolpazioni ritenute fondate la sentenza impugnata ha irrogato la sanzione della censura.

    2. Il ricorso, che prospetta tre motivi, è stato ritualmente depositato presso il Consiglio Superiore della Magistratura Militare ed è stato proposto contro il Ministero della Difesa ed il Procuratore Generale Militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione.

    3. Il ricorrente ha depositato memoria.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. Con un primo motivo si denuncia "inosservanza e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, commi 1 e 2 (D.Lgs. 23 marzo 2006, n. 109, art. 24)".

    1.1. Il motivo assume (punto 2) come oggetto di critica il riconoscimento del fatto ascritto al ricorrente con il capo di incolpazione "1 B)1", peraltro enunciando che esso sarebbe stato "sostanziato dall'avere egli svolto le funzioni di udienza non uniformandosi a direttiva del capo dell'ufficio, direttiva che" si porrebbe "in aperto contrasto" con la norma di cui all'art. 53 c.p.p., comma 1, là dove dispone che "nell'udienza, il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni con piena autonomia".

    Tale norma, essendo di rango legislativo, non sarebbe suscettibile di deroga o compressione da parte di una disposizione interna di rango subordinato.

    1.2. Si sostiene, poi, con quella che parrebbe una seconda censura, che "in modo arbitrario oltre che intrinsecamente contraddittorio", la sentenza gravata avrebbe adottato un "metodo casistico" per sindacare il merito delle varie requisitorie svolte in udienza del N.. La contraddizione risiederebbe nel fatto che se il medesimo avesse dovuto osservare la direttiva del capo dell'ufficio avrebbe dovuto farlo sempre e non solo in taluni casi.

    1.3. Si espone, poi, che - senza, peraltro, che sia chiara la consequenzialità con la precedente affermazione - che "in realtà, l'unico modo di evitare che la circolare evocata possa entrare in contraddizione con il suindicato parametro normativo .... sarebbe stato interpretarla in chiave di ulteriore garanzia aggiuntiva per il magistrato designato in udienza, che, grazie proprio alla direttiva evocata, avrebbe potuto richiedere di essere esonerato dal turno di udienza, ove le requisitorie da svolgersi fossero state ritenute contrarie alla propria scienza e coscienza".

    1.4. Con altra censura (punto 4) si sostiene che la direttiva del capo del'ufficio sarebbe stata palesemente illegittima, in quanto volta "a rimediare alla intervenuta abrogazione dell'art. 3 disp. att. c.p.p." ad opera del D.Lgs. n. 109 del 2006, onde avrebbe rappresentato "un espediente per reintrodurre (con una fonte interna) una previsione normativa non più vigente per espresso disposto legislativo", nel senso che, "non essendo più preveduta legislativamente una continuità personale nello svolgimento delle funzioni requirenti in udienza, attraverso la direttiva citata il capo dell'ufficio" avrebbe mirato "a conseguire una piena ed effettiva controllabilità anticipata delle requisitorie da svolgersi in udienza, al di là di quanto previsto e consentito dall'ordinamento".

    La prospettata interpretazione della direttiva escluderebbe (punto 5) che il N. abbia tenuto una condotta illecita. Inoltre, avendo Egli "dato atto di avere interpretato" la stessa come strumento dell'indicata garanzia, resterebbe sarebbe anche l'elemento soggettivo dell'addebito.

    1.5. Viene, poi, citata nel punto 6, Cass. sez. un. 24 febbraio 2011, Fatihi, e, quindi, si evoca nel punto 7, senza peraltro spiegazioni di pertinenza riguardo al caso concreto, la decisione disciplinare del C.S.M. n. 56 del 2013, mentre nel punto 8 vengono citate altre decisioni, ma nuovamente senza spiegare come e perchè sarebbero pertinenti.

    2. Il motivo è inammissibile, alla luce del principio enunciato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione penale nel senso che "E' inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato" (Cass. Sez. 2, n. 11951 del 2014; nello stesso senso Cass. pen. n. 19951 del 2008; n. 20337 del 2009; n. 28011 del 2013).

    Il principio, che trova fondamento nell'art. 581 c.p.p. e dunque in una norma generale regolatrice dell'impugnazione nel codice di procedura penale, appare rilevante nella specie, in quanto il contenuto e le modalità di proposizione del ricorso a queste Sezioni Unite sono - come si avverte dallo stesso ricorrente, prima di procedere all'illustrazione del motivo - quelle del ricorso per cassazione in sede penale. Infatti, è giurisprudenza consolidata quella secondo cui il ricorso per cassazione avverso le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura è soggetto alla normativa processuale penale, quanto alla fase di proposizione, il che implica che il paradigma cui il ricorso deve ispirarsi a livello di contenuto-forma sia quello della detta norma processuale penale (si veda già ampiamente Cass. sez. un. n. 16873 del 2007, seguita da numerose conformi).

    Poichè, ai sensi del primo inciso del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 67, comma 1, "il procedimento disciplinare per i magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari", è palese che, essendo la disciplina di riferimento così indicata quella del D.Lgs. n. 109 del 2006, vige anche in tale materia la norma dell'art. 24, comma 1 di detto D.Lgs., ai sensi della quale il ricorso per cassazione alle Sezioni Unite è regolato dalle forme dai termini del ricorso per cassazione disciplinato dal c.p.p..

    2.1. Tanto premesso, si osserva che la motivazione resa dalla sentenza impugnata sul capo di incolpazione oggetto del motivo, si sviluppa in una approfondita considerazione (pp. 35-42) dello svolgimento delle vicende che ne sono oggetto innanzitutto sul punto relativo al se, prima delle udienze preliminari o dibattimentali nelle quali il N. concluse in modo difforme rispetto alle conclusioni scritte di altro collega, egli avesse avuto la possibilità di riferirne al Capo dell'Ufficio, e sul punto sostiene che tale possibilità era risultata provata, affermando che Egli aveva "assunto le sue determinazioni processuali sulla base dell'esame dei fascicoli, certamente esaminati prima delle udienze, e comunque in tempi utili per poterne dare, in conformità alla direttiva organizzativa interna più volte richiamata, preventiva comunicazione al Procuratore capo".

    Dopo di che si enuncia dalla pagina 43 fino alla pagina 68 un'ampia motivazione, nella quale:

    a) ci si fa carico dell'esegesi dell'art. 53 c.p.p. e del suo rapporto con la direttiva del capo dell'ufficio, proprio sulla base della stessa prospettazione svolta dall'incolpato in questa sede, fatta valere nel giudizio disciplinare in sede di audizione e con memoria;

    b) si da conto della proposizione da parte dello stesso N. di un quesito al Consiglio della Magistratura Militare, cui venne data risposta con delibera del 15 aprile 2008 e della tenuta dei comportamenti oggetto dell'incolpazione dopo di essa;

    c) si argomenta ampiamente su quale debba essere il rapporto fra il citato art. 53 ed il significato da attribuire alla direttiva del capo dell'ufficio e su come debba risolversi il contrasto di vedute fra sostituto e capo dell'ufficio a seguito dell'informazione circa il dissenso del primo;

    d) si fa espressa considerazione della sentenza delle Sezioni Unite Penali di questa Corte del 24 febbraio 2011, Fatihi, indicando quale sia l'implicazione delle sue affermazioni;

    e) si argomenta, quindi, una volta individuata l'efficacia della direttiva del capo dell'ufficio ed esclusa la scarsa rilevanza delle condotte (su quest'ultimo punto pp. 63-64), delle ragioni per cui l'incolpazione dev'essere ritenuta sussistente rispetto a talune udienze e non rispetto ad altre, assumendo all'uopo come discrimine il fatto che nelle prime il N. concluse in modo difforme rispetto alle conclusioni scritte assunte da altri colleghi e nelle seconde lo fece in modo difforme da conclusioni scritte che Egli stesso aveva assunto, ma si adduce, a giustificazione della diversità di apprezzamento, che dall'istruzione disciplinare non era risultato se Egli avesse maturato il contrario convincimento durane la fase di studio dei fascicoli e prima delle udienze, sì da poterlo rappresentare al capo dell'ufficio, oppure lo avesse raggiunto solo all'esito dello svolgimento anche istruttorio delle stesse, sostenendosi che tale incertezza dovesse essere considerata idonea a determinare "il ragionevole dubbio in ordine alla responsabilità disciplinare".

    2.2. Ebbene, di tutta l'ampia argomentazione e dei passaggi con cui essa si dipana il motivo in esame si disinteressa completamente.

    Ne segue che si tratta di motivo che non si correla in alcun modo alla motivazione della decisione impugnata e, come tale, esso non ha la struttura minimale del motivo di impugnazione, che, alla stregua del principio di diritto di cui s'è detto sopra, è desumibile dall'art. 581 c.p.p., quando allude all'esigenza che i motivi presentino "l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta": è palese, infatti, che il termine di riferimento della specificità, essendo diretto il motivo contro la sentenza, deve necessariamente correlarsi anche ad essa (il che è predicabile, del resto, in qualsiasi processo di impugnazione contro una decisione; per il processo civile di cassazione si vedano, ex multis, Cass. civ. n. 359 del 2005 e, quanto all'esigenza di specificità, Cass. civ. n. 4741 del 2005, seguite da numerosissime conformi).

    Per tale ragione il motivo dev'essere ritenuto inammissibile.

    2.3. Peraltro, rilevano queste Sezioni Unite che la stessa esegesi dell'art. 53 c.p.p. riproposta nel motivo risulta anche di difficile comprensione sul come e perchè una disposizione che si preoccupa di disciplinare l'autonomia "nell'udienza" del magistrato del pubblico ministero possa assumere incidenza ai fini dell'attività dell'ufficio e, quindi, del potere del capo dell'ufficio, di dare disposizioni di carattere organizzativo con riferimento all'attività che si colloca prima dell'udienza, sebbene in funzione di essa. Una volta escluso - come ha fatto la sentenza impugnata, muovendosi in una linea esegetica accolta proprio rispondendo al quesito formulato dal N. - che il pubblico ministero persona fisica il quale dissenta dalle conclusioni scritte possa essere obbligato, dopo averne riferito al capo dell'ufficio, come imposto dalla direttiva, a sostenere l'avviso da cui dissente, dovendo in tal caso essere sostituito, non si comprende come possa sostenersi che di per sè la direttiva, in quanto obbliga a riferire il dissenso prima dell'udienza in funzione del superameno della situazione di contrasto di vedute, che, peraltro potrebbe concludersi anche a favore dello stesso magistrato, possa venire in gioco come lesiva dell'autonomia cui allude l'art. 53.

    A tali considerazioni non è nemmeno necessario aggiungere quelle che, su un piano generale, queste Sezioni Unite hanno enunciato di recente nella sentenza n. 26551 del 2014 a proposito dell'esegesi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. n), con riferimento ai rapporti fra Procuratore della Repubblica e magistrati addetti all'ufficio siccome individuati dal D.Lgs. n. 106 del 2006, art. 2 (paragrafo 3.1.1. della motivazione).

    2.4. Del tutto priva di fondamento è, poi, proprio ove considerata al lume del particolare valore che il ricorrente da all'art. 53 c.p.p., l'accusa di pretesa incongruenza del distinto apprezzamento fra alcune udienze ed altre ai fini dell'affermazione di responsabilità, atteso che la sentenza impugnata, nel dare rilievo all'incertezza sul se l'assunzione di conclusioni difformi da quelle scritte e, quindi, riferibili all'ufficio, prese dallo stesso N., fosse stata determinata da un convincimento maturato soltanto in udienza ovvero nella fase anteriore di studio, ha utilizzato un criterio di valutazione perfettamente funzionale all'esclusione di un conflitto con l'art. 53. E' palese, infatti, che proprio l'esistenza della detta situazione di incertezza rendeva possibile che si finisse con il censurare determinazioni coperte proprio dalla garanzia dell'art. 53, il quale certamente legittima il pubblico ministero di udienza a dissentire dalle sue stesse pregresse conclusioni scritte quando sia stata l'attività svoltasi nell'udienza, e, dunque, il novum in essa emerso, a giustificare l'abbandono del precedente convincimento.

    2.5. Si rileva, ancora, che, del resto, rispetto alle udienze in cui il N. è stato ritenuto responsabile per aver concluso in modo difforme dalle conclusioni scritte di altri colleghi ribaltandole, Egli non ha sostenuto che erano stati lo svolgimento dell'udienza ed i suoi apporti a giustificare il dissenso.

    2.6. E', poi, appena il caso di rilevare che la prospettazione di cui al punto 5 dell'illustrazione del motivo in esame è incomprensibile quanto al primo punto, dato che è pacifico che il N. non abbia chiesto al capo dell'ufficio di essere esonerato dalle udienze in cui dissentiva dalle conclusioni degli altri colleghi, astenendosi dal procedere proprio secondo quanto richiesto dalla direttiva, mentre ignora la motivazione dell'impugnata decisione sull'elemento soggettivo enunciata a pagina 52, in fine, ed all'inizio della pagina 53, nel senso che proprio la risposta al quesito formulato evidenziava che il N. avesse tenuto le sue condotte volontariamente e consapevolmente disattendendo la disposizione di servizio.

    2.7. Del tutto prive di intrinseca attività argomentativa sul come e sul perchè sarebbero rilevanti nella specie sono le sentenze citate nel punto 8 a riguardo all'incidenza del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis e, quindi, il motivo nella parte in cui le evoca in questo modo risulta un "non-motivo", dato che non ne spiega la rilevanza riguardo al caso di specie.

    Tanto si rileva non senza che comunque debba osservarsi come la sentenza impugnata abbia speso due pagine (63-64) sulla questione, facendosi espressamente carico di escludere l'applicabilità di detta norma.

    3. Con un secondo motivo si denuncia "inosservanza e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 206, art. 2, commi 1 e 2 (D.Lgs. 23 marzo 2006, n. 109, art. 24)".

    3.1. Il motivo si riferisce all'incolpazione di cui al capo 1 B) 2 ed è argomentato innanzitutto (punto 1) nel senso che il riconoscimento della fondatezza della stessa avrebbe determinato la lesione del principio (di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 2) per cui l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare.

    Senonchè non è spiegato in alcun modo come e perchè la trasmissione all'A.G.O. di un fascicolo che era coassegnato anche al Dottor D.P., capo dell'ufficio, sulla base del convincimento che sussistesse la giurisdizione ordinaria e non quella militare, possa essere scriminata dalla norma del D.Lgs. n 109 del 2006, art. 2, comma 2.

    Non solo: l'oggetto della incolpazione è un'attività compiuta unilateralmente da chi, essendo coassegnatario, avrebbe dovuto procedere di concerto e non dunque un'attività di esegesi o di valutazione come tale, dovendo l'una e l'altra essere compiute unitamente all'altro magistrato o con il suo accordo. Ne segue che la censura è del tutto priva di giustificazione.

    3.2. Nel punto 2 dell'illustrazione del motivo si deduce, poi, che la decisione impugnata non avrebbe considerato che si trattava di condotta caratterizzata da episodicità e, dunque, tale da non attingere il livello di gravità tipico per ritenerla disciplinarmente rilevante.

    Anche in tal caso la censura ignora - con conseguente inammissibilità per difetto di correlazione al decisum - la motivazione sulla gravità che la sentenza ha enunciato a partire dalle ultime otto righe della pagina 77 sino alla pagina 79:

    motivazione che risulta, comunque, anche ampiamente sufficiente ad elidere l'ipotetica rilevanza della episodicità della condotta.

    3.3. Nel punto 3 si prospetta, poi, che sarebbe stato del tutto trascurato il fatto che il comportamento del N. sarebbe stato "doveroso", in quanto diretto ad assicurare che sull'affare intervenisse la giurisdizione ordinaria, alla cui cognizione esso certamente spettava.

    3.3.1. La prospettazione è priva di pregio in iure, in quanto non considera che l'eventuale carattere "doveroso" del provvedimento di trasmissione all'A.G.O., essendo il fascicolo attribuito in coassegnazione, non poteva che emergere se non dall'attività e, dunque, dalle valutazioni di entrambi i magistrati coassegnatari, mentre la valutazione effettuata da uno solo di essi, il N., non esclude - a prescindere da ogni valutazione sulla sua esattezza o meno - che l'interesse garantito dalla tenuta della condotta corretta imposta dalla coassegnazione, non debba ricevere tutela sul piano disciplinare. Ne è prova il fatto che la condotta dovuta per effetto della coassegnazione avrebbe richiesto il confronto di opinioni con il collega e capo dell'ufficio ed all'esito, ove fosse perdurata la divergenza di vedute, l'adozione di misure conseguenti sulla cessazione dell'assegnazione del fascicolo (che, peraltro, la sentenza impugnata enuncia con riferimenti anche ad una circolare del C.S.M. alle pagine 75-76, cui nessun riferimento il motivo fa).

    E' la stessa prospettazione della censura - là dove in sostanza postula che un comportamento scorretto nei confronti del collega in ordine all'interesse tutelato dal modus procedendi, corretto, possa essere scriminato dalla circostanza che tale comportamento, con riferimento alla gestione dell'affare su cui il magistrato è intervento si configuri come corretto "in iure" - a non poter essere condivisa.

    3.3.2. E' palese, infatti, che in un ufficio pluripersonale come un quello del Pubblico Ministero, organizzato con la presenza di un vertice gerarchico, una simile idea si risolverebbe nella legittimazione di ognuno dei componenti dell'ufficio a compiere atti pur scorretti nei confronti della posizione degli altri a livello organizzatoria purchè espressione di una scelta "giusta". E si solare evidenza che tanto renderebbe impossibile la stessa gestione dell'ufficio ed è contrario alla logica stessa della sua organizzazione.

    3.3.3. In fine, rilevano le Sezioni Unite, che nella specie la sentenza impugnata ha evidenziato che la prassi dell'ufficio di procedere all'iscrizione di reato a carico di ignoti per fattispecie di reato previste dal codice penale militare di guerra era funzionale ad accertamenti preliminari circa tale ricorrenza in occasione dell'accaduto, onde la stessa prospettazione che si trattasse di reati comuni e che tanto giustificasse la giurisdizione ordinaria è incongrua specie in relazione al carattere preliminare della fase processuale gestita dall'ufficio di procura.

    3.3.4. Queste considerazioni rendono del tutto irrilevanti le tre decisioni della sezione disciplinare del C.S.M. evocate al punto 4 dell'illustrazione del motivo in esame, le quali, peraltro, non concernono affatto fattispecie in qualche modo corrispondenti a quella oggetto della incolpazione (particolarmente l'ultima, riguardante adozione di attività provvedimentale propria del capo dell'ufficio in sua assenza, quando non vi sa stato nocumento all'attività di indagine.

    3.3.5. Il secondo motivo è, pertanto, in parte inammissibile ed in parte privo di fondamento.

    4. Con il terzo motivo si denuncia "inosservanza e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, commi 1 e 2 (D.Lgs. 23 marzo 2006, n. 109, art. 24)".

    Il motivo si riferisce alla violazione di cui al capo 2 dell'incolpazione, ma anche in tal caso, nei tre punti in cui si struttura omette qualsiasi individuazione della motivazione riguardo alla quale sarebbe pertinente la critica, svolgendo considerazioni che in alcun modo ad essa si correlano nè su specie di attività dimostrativa della sua inesattezza intrinseca, nè sub specie di attività dimostrativa della sua inesattezza in quanto le deduzioni di cui ai detti tre punti non sarebbero state considerate o, se lo fossero state, avrebbero infirmato la motivazione.

    Va rilevato, in proposito, che la motivazione sull'incolpazione cui il motivo si riferisce si articola nella decisione impugnata dalle ultime cinque righe della pagina 79 sino a quasi tutta la pagina 83, ma i passaggi attraverso i quali essa si snoda non sono in alcun modo sfiorati sotto i profili appena indicati in alcuno dei tre punti nei quali il motivo viene illustrato.

    Ne deriva che anche in tal caso, mancando ogni precisa individuazione della motivazione critica in modo da consentire di rapportare la critica a quanto in essa enunciato si è in presenza di un motivo che non risponde in alcun modo alla logica del motivo di impugnazione, alla stregua della giurisprudenza già evocata a proposito del primo motivo con riferimento all'art. 581 c.p.p..

    Il motivo è, pertanto, inammissibile.

    4. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 10 marzo 2015.

    Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2015
Avv. Antonino Sugamele

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