Maresciallo di prima classe in servizio presso il 16^ stormo A.M. colpevole di truffa militare pluriaggravata continuata nella qualità di contabile agli assegni, in quanto fornendo dati contabili, prodromici all'emissione dell'ordine di pagamento, poneva in essere una condotta artificiosa e raggirante, consistente nel far risultare a proprio favore attribuzioni stipendiali in eccesso rispetto alle effettive spettanze o mancate trattenute.
Cassazione penale sez. I 08/07/2015 ( ud. 08/07/2015 , dep.15/09/2015 ) Numero: 37296
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. CASSANO Margherit - rel. Consigliere -
Dott. MAZZEI Antonella P. - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giusepp - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Z.B. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 103/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del
28/01/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERTA CASSANO;
Udito il Procuratore Generale militare in persona del Dott. FLAMINI
L.M., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. ANCONA L., che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso e l'annullamento del provvedimento impugnato.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. L'1 aprile 2014 il Tribunale militare di Napoli dichiarava Z. B., Maresciallo di prima classe in servizio presso il 16^ stormo A.M. di (OMISSIS), incaricato delle funzioni di capo nucleo assegni del servizio amministrativo, colpevole dei reati di peculato militare aggravato continuato (capi a e b), escluse le ipotesi distrattive a favore di M.G., N. G. e Mo.An., nonchè del reato di malversazione a danno di militari continuato aggravato (capo c) e, ritenuta sussistente la contestata aggravante di cui all'art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, e ravvisata la continuazione fra i reati, lo condannava alla pena di tre anni di reclusione, sostituita, ex art. 27 c.p.m.p., con la reclusione militare di pari durata.
2.11 28 gennaio 2015 la Corte militare d'appello, in riforma della decisione di primo grado, qualificati i fatti di cui ai capi a), b), con esclusione delle condotte poste in essere a favore di M. G., N.G., Mo.An., come truffa militare pluriaggravata continuata (art. 81 cpv. c.p., art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2) e quelli di cui al capo e) come truffa militare pluriaggravata (art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2), dichiarava non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, relativamente ai reati di cui ai capi a) e b) riqualificati, con riferimento ai fatti commessi anteriormente al (OMISSIS) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, dichiarate subvalenti rispetto alle circostanze aggravanti di cui all'art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 234 c.p.m.p., comma 2, riduceva la pena per i reati di cui ai capi a) e b), relativamente ai fatti commessi a partire dal (OMISSIS) e per il reato di cui al capo c), tenuto conto dell'aumento per la ritenuta continuazione fra tutti i reati, a un anno e sei mesi di reclusione militare. Confermava nel resto la decisione di primo grado.
3. A Z. si contesta di avere, nella sua qualità di contabile agli assegni, fornito nella predisposizione dei dati contabili, prodromici all'emissione dell'ordine di pagamento, posto in essere una condotta artificiosa e raggirante, consistente nel far risultare a proprio favore attribuzioni stipendiali in eccesso rispetto alle effettive spettanze o mancate trattenute. Sulla base di tali dati il capo del servizio amministrativo procedeva ad emettere l'ordine di pagamento che si basava, almeno in parte, anche su tali dati dolosamente alterati dallo Z..
4. Avverso la citata sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l'imputato, il quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione di legge e vizio della motivazione per omessa qualificazione dei fatti contestati ai capi b) ed e) come abuso d'ufficio in assenza degli elementi costitutivi del delitto di truffa, tenuto conto, in particolare della concreta inidoneità dell'artificio e del raggiro, del contesto in cui è avvenuto il fatto, nonchè delle modalità esecutive dello stesso.
Denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4.
Eccepisce, infine, violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 48 c.p.m.p., u.c..
Diritto
OSSERVA IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con decisione condivisa dal Collegio (Sez. U., n. 155 del 29 settembre 2011) hanno affermato che il delitto di abuso d'ufficio, costituente un reato applicabile solo in via residuale per espressa volontà legislativa, come desumibile dal tenore letterale dell'art. 323 c.p., è assorbito non solo quando il fatto commesso integra gli elementi costitutivi di un altro reato implicante l'abuso dei poteri d'ufficio, ma anche quando una fattispecie criminosa prevede quale requisito strutturale o circostanziale un comportamento integrante un abuso d'ufficio.
Nel caso in esame la sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha ritenuto sussistenti, in relazione alle condotte poste in essere dal ricorrente, tutti gli elementi costitutivi del delitto di truffa militare aggravata (art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2). In proposito ha evidenziato, all'esito di una puntuale disamina delle risultanze probatorie, che l'appropriazione delle somme di denaro per le quali è intervenuta condanna era stata resa possibile mediante gli artifizi e raggiri consistiti nella predisposizione, da parte di Z., di dati contabili, funzionali all'emissione degli ordini di pagamento, attestanti, contrariamente al vero, in favore proprio o di altri soggetti, attribuzioni stipendiali in eccesso rispetto alle effettive spettanze o mancate trattenute. Ha altresì sottolineato che i predetti dati, dolosamente alterati dall'imputato, costituivano il necessari presupposto procedimentale per l'adozione, da parte del capo del servizio amministrativo, degli ordini di pagamento che permettevano al ricorrente di acquisire la disponibilità giuridica delle somme indebitamente attribuitegli con conseguente suo ingiusto profitto e correlativo danno per l'Amministrazione militare.
I giudici di merito, con argomentazione correttamente sviluppata, hanno posto in luce la concreta idoneità delle condotte illecite serbate da Z. a indurre in errore il capo del servizio amministrativo, tenuto conto del ruolo rivestito dall'imputato nell'ambito della complessiva procedura amministrativo-contabile, del rilevante numero delle pratiche e dei tempi ristretti previsti per la loro definizione.
2. Anche il terzo motivo di ricorso non merita accoglimento.
L'ottima condotta militare richiesta per la configurazione della attenuante di cui all'art. 48 c.p.m.p., non può identificarsi nel semplice puntuale adempimento dei doveri inerenti alla condizione di militare durante l'effettivo espletamento del relativo servizio, giacchè un tale comportamento non supera il limite della pura e semplice buona condotta (Sez. U., n. 7523 del 21 maggio 1983).
Ai fini della concessione dell'attenuante in esame si richiede, piuttosto, che il militare abbia tenuto una condotta rigorosamente rispondente alle regole della disciplina e del servizio militare.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, con motivazione esente da incoerenze argomentative, ha sottolineato, da un lato, la grave violazione delle suddette regole conseguente alla realizzazione di plurime condotte di truffa, protrattesi per un significativo lasso di tempo e sorrette da un dolo intenso, e, dall'altro, ha richiamato le risultanze della documentazione matricolare inidonee a supportare la prospettazione difensiva.
3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato.
3.1. In termini strutturali il reato continuato rappresenta un particolare figura di concorso materiale di reati, unificati dal "medesimo disegno criminoso" che sta alla base della loro commissione. L'art. 81 c.p., comma 2, stabilisce per il reato continuato il cumulo giuridico delle pene in deroga al regime del cumulo materiale previsto per il concorso materiale di reati. Il soggetto agente che, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette più violazioni soggiace al trattamento sanzionatorio previsto per tale ipotesi di concorso di reati, ossia alla pena prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.
Secondo un'autorevole dottrina e la prevalente giurisprudenza, la ratio di questo più mite trattamento sanzionatorio risiede proprio nella minore riprovevolezza complessiva dell'agente - che cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando concepisce il disegno criminoso - e nella necessità di mitigare l'effetto del cumulo delle pene, al quale viene sostituito un cumulo giuridico.
Questa funzione dell'istituto è stata resa ancor più evidente dalla novella dell'art. 81 c.p., ad opera del D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla L. 7 giugno 1974, n. 220, che, nel consentire l'applicazione della continuazione anche in presenza di violazioni di norme incriminatrici sanzionate con pene eterogenee, si colloca in una linea di tendenza contraria all'automatismo repressivo, propria del sistema del cumulo materiale, e favorevole, invece, ad un'accentuazione del carattere personale della responsabilità penale, con un'esaltazione del ruolo e del senso di responsabilità del giudice nell'adeguamento della pena alla personalità del reo (Sez. U, n. 5690 del 7 febbraio 1981; cfr. anche Corte Cosi, sent. n. 254 del 1985; sent. n. 312 del 1988).
Tenuto conto dell'evoluzione normativa, dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale (sentt. nn. 115 del 1987, 361 del 1994, 324 del 2008), della complessa elaborazione giurisprudenziale che ha avuto significativi approdi in decisioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 25939 del 28 febbraio 2013; Sez. U., n. 3286 del 27 novembre 2008;
Sez. U, n. 1 del 26 febbraio 1997; Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996; Sez. U, n. 14 del 30 giugno 1994; Sez. U, n. 18 del 16 novembre 1989), è possibile ritenere ormai superata la concezione unitaria del reato continuato in favore dell'autonomia giuridica delle singole violazioni che confluiscono nel reato continuato, tranne che per gli effetti espressamente previsti dalla legge.
I reati legati dal vincolo della continuazione devono, quindi, considerarsi come una vera e propria pluralità di reati autonomi e diversi in funzione del carattere più o meno favorevole degli effetti che ne discendono. In tal modo è possibile garantire, conformemente alla natura dell'istituto, quel trattamento privilegiato che è imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva. La concezione unitaria del reato continuato opera, quindi, soltanto per gli effetti espressamente presi in considerazione dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, e sempre che garantisca un risultato favorevole al reo.
Da tale impostazione discendono due conseguenze.
3.2. I fatti di reato di cui ai capi a) e b), per i quali vi è stata condanna, commesso fino al dicembre 2006, devono essere dichiarati estinti per prescrizione, tenuto conto della pena edittale massima per essi previsti, dell'epoca della loro rispettiva consumazione, dei periodi interruttivi, della previsione contenuta nell'art. 157 c.p..
3.3. In presenza di un reato continuato, la valutazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 c.p., n. 4) deve avere riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato unificato nel medesimo disegno criminoso (Sez. U., n. 3286 del 27 novembre 2008; Sez. 2, n. 39166 del 12 ottobre 2011).
La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto non ha fornito una compiuta motivazione in ordine all'entità del danno cagionato sia dalla violazione più grave che da ciascuno dei singoli fatti illeciti, ritenuti avvinti dalla continuazione, che residuano dopo la declaratoria di estinzione per prescrizione indicata al par. 3.2.
4. Sulla base delle considerazioni sinora svolte s'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante dell'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, e il rinvio per la rideterminazione della pena per i fatti residui alla Corte militare d'appello.
Per il resto il ricorso deve essere rigettato per le ragioni meglio specificate ai precedenti part. 1) e 2).
PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente ai fatti di cui ai capi a) e b) per cui vi è stata condanna, commessi fino al dicembre 2006, perchè il reato è estinto per prescrizione, e relativamente alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4 e rinvia per la rideterminazione della pena per i fatti residui ad altra Sezione della Corte militare d'appello.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2015
08-11-2015 16:05
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