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Sentenza

Tar respinge richiesta di risarcimento danni presentata da un Maresciallo di 1^ ...
Tar respinge richiesta di risarcimento danni presentata da un Maresciallo di 1^ Classe in forza all'Aereonautica Militare contro un tenente colonnello per mobbing e contro un Primo Maresciallo che lo avrebbe colpito con una violenta testata.-
REPUBBLICA ITALIANA                         
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
         Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio          
                         (Sezione Prima Bis)                         
ha pronunciato la presente                                           
                              SENTENZA                               
sul ricorso numero di registro generale 9387 del 2009, proposto da:  
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti  Domenico  Sollazzo  e
Fabio Fabbri, con domicilio eletto presso Francesco Tropepi in  Roma,
Via Taranto,21;                                                      
                               contro                                
Ministero  della  Difesa,  in  persona  del  Ministro   in    carica,
rappresentato e  difeso  per  legge  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;                  
                         per l'accertamento                          
del comportamento complessivo posto  in  essere  dal  Ten.  Colonello
-OMISSIS-nei confronti del ricorrente, così come la condotta omissiva
del Ministero della difesa, che di per sé  integrano  la  fattispecie
giuridica   del    cosiddetto    "mobbing"    rilevante    ai    fini
dell'accertamento della  responsabilità  contrattuale  nei  confronti
della parte ricorrente;                                              
e per la conseguente condanna                                        
del  Ministero  della  Difesa,  in  persona  del  Ministro  p.t.   al
risarcimento dei danni biologici, non  patrimoniali  e  professionali
per un importo  complessivo  di  €  181.186,00  o  diversa  somma  da
liquidarsi in via  equitativa  da  parte  del  giudice  adito,  oltre
interessi legali e rivalutazione da computarsi a partire dal mese  di
aprile 2002;                                                         
Visti il ricorso e i relativi allegati;                              
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; 
Viste le memorie difensive;                                          
Visti tutti gli atti della causa;                                    
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;              
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre  2014  il  dott.
Francesco Riccio e uditi per le parti i  difensori  come  specificato
nel verbale;                                                         
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.              


Fatto
FATTO e DIRITTO

Con il ricorso, notificato il 22 ottobre 2009 e depositato il successivo 20 novembre, l'interessato, in qualità di Maresciallo di 1^ Classe in forza al Comando Rete P.O.L. dell'Aereonautica Militare con sede in Parma ritenuto oggetto di una serie di condotte vessatorie e lesive della propria integrità psico-fisica sin dal giorno 11 aprile 2002 (data in cui sarebbe avvenuta l'aggressione del medesimo da parte del superiore Primo Maresciallo -OMISSIS-che provvedeva a colpirlo con una violenta testata) ha chiesto l'accertamento del diritto al risarcimento del danno biologico, non patrimoniale e professionale da quantificarsi nella somma indicata in epigrafe o in quella minore determinata in via equitativa dal giudice, oltre interessi legali e rivalutazione dalla data del verificarsi dell'evento dannoso sopra descritto.

Al riguardo, il medesimo ha esposto una serie di comportamenti posti in essere dal Tenente Colonnello -OMISSIS-che sarebbero tutti inquadrabili nella fattispecie del mobbing:

- privazione delle mansioni, che da anni svolgeva, a danni del ricorrente in ragione del trasferimento interno dal Nucleo Amministrativo al Servizio Rifornimenti, con palese demansionamento;

- redazione da parte del predetto Ufficiale di una relazione dell'accaduto alquanto faziosa a favore del -OMISSIS-;

- atti organizzativi del medesimo Tenente Colonnello con richiesta di impiego del ricorrente in missioni disagiate;

- disposti accertamenti in merito ad una possibile diserzione per mancato rientro in caserma dopo un periodo di malattia a carico del ricorrente;

- comportamento ostile del -OMISSIS-in occasione del suo rientro in servizio avvenuto il 10.9.2004;

- permanenza del Maresciallo -OMISSIS-nelle originarie funzioni nonostante la sua condanna per il reato di violenza nei confronti di un inferiore;

- minaccia del Tenente Colonnello -OMISSIS-di una sanzione disciplinare nei confronti del ricorrente in caso di esito favorevole del ricorso in Cassazione proposto dal -OMISSIS-avverso la sentenza di condanna per il reato sopra descritto accertato in secondo grado (sentenza tra l'altro confermata dal Supremo Consesso);

- mancata risposta dei superiori gerarchici in merito agli esposti presentati dal ricorrente;

- redazione di rapporti informativi degli anni 2006 e 2007, nella cui redazione il Tenente Colonnello -OMISSIS-interveniva come secondo revisore, tendenti ad evidenziare gli aspetti negativi della propria situazione professionale senza valutare ed evidenziare le particolari condizioni di salute che lo stesso ricorrente nel tempo ha dovuto subire in ragione del grave evento dannoso del 2002.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa con atto dell'Avvocatura Generale dello Stato depositato il 15 dicembre 2010, la quale ha eccepito, in rito, il difetto di giurisdizione per la qualificazione dell'azione proposta come di responsabilità extra-contrattuale, l'inammissibilità dell'azione per intervenuta prescrizione quinquennale dal termine della conoscenza esterna del danno subito (mese di settembre 2003) e per omessa impugnazione dei provvedimenti amministrativi lesivi, nonché, nel merito, l'infondatezza della pretesa esercitata.

All'udienza del 29 ottobre 2014 la causa è stata posta in decisione.

Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover esaminare l'eccezione in rito della difesa erariale in merito all'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito.

Con riguardo alla domanda di risarcimento danni proposta per c.d. mobbing, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario qualora il dipendente faccia valere il comportamento vessatorio di colleghi o superiori quale titolo giustificativo della pretesa, mentre va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui la lesione sia derivante da una violazione del rapporto contrattuale, fondando l'azione proposta su uno specifico inadempimento da parte dell'Amministrazione (Cfr. TAR Friuli Venezia Giulia 26 maggio 2011 n. 260).

Nel caso di avvenuto accertamento di fatti di mobbing, che si assumono aver cagionato al dipendente rilevanti conseguenze sul piano morale e psicofisico, la responsabilità dell'Amministrazione datrice di lavoro ai sensi dell'art. 2087 Cod. civ. ha natura contrattuale se la domanda risarcitoria risulti espressamente fondata sulla inosservanza degli obblighi derivanti dal rapporto d'impiego, con conseguente distribuzione dell'onere della prova sul dipendente (che deve provare la condotta illecita dell'Amministrazione e il danno patito) e quest'ultima (che deve dimostrare l'assenza di una colpa a sé riferibile)(Cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 13 aprile 2010 n. 2045).

In virtù di tali premesse, risulta evidente che ogni doglianza, così come prospettata, tendente a rimarcare il comportamento vessatorio e persecutorio del diretto superiore Tenente Colonnello -OMISSIS-, è del tutto inammissibile poiché le medesime condotte possono essere esaminate in un ambito di una possibile responsabilità extracontrattuale, il cui esame, come ribadito in precedenza, è precluso al giudice amministrativo.

Infatti, appare più conforme alle linee-guida, che emergono dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, la posizione della giurisprudenza che qualifica l'azione proposta come riferita alla responsabilità extra-contrattuale per mobbing, laddove la stessa è riconducibile, sostanzialmente, a comportamenti vessatori dei superiori gerarchici o dei colleghi di lavoro del dipendente interessato, al di là dei limiti, che la Suprema Corte ha indicato quali parametri di rango costituzionale per la giurisdizione del Giudice Amministrativo, escludendo da tali parametri la categoria generalizzata dei "comportamenti" (al di fuori, deve ritenersi, della valutazione in via incidentale dei medesimi, ove riconducibili ad una lesione di interessi legittimi, o di diritti soggettivi sussistenti in una materia, che sia oggetto di giurisdizione esclusiva). La predetta giurisdizione sul risarcimento del danno, anche biologico, derivante da mobbing sussiste, dunque, nella misura strettamente riconducibile ad un contesto di specifiche inadempienze agli obblighi del datore di lavoro; dette inadempienze possono ravvisarsi anche in comportamenti omissivi, contraddittori o dilatori dell'Amministrazione, ovvero in atti posti in essere in violazione di norme, sulle quali non sussistano incertezze interpretative, o ancora nella reiterazione di atti, anche affetti da mere irregolarità formali, ma dal cui insieme emerga una grave alterazione del rapporto sinallagmatico, tale da determinare un danno all'immagine professionale e alla salute del dipendente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2008 n. 1739).

Né consegue che l'esame dell'intera vicenda rimessa al giudice evocato con la proposizione del presente mezzo di gravame può essere ammessa soltanto nella misura in cui si prospettano delle violazioni di precisi obblighi di tutela delle condizioni di lavoro del ricorrente poste a carico dell'Amministrazione intimata quale datore di lavoro pubblico. In pratica occorre esaminare se si sostenga contestualmente la violazione di doveri legali che regolano il rapporto, deducendo l'inadempimento da parte dell'Amministrazione dei principi di buona fede e correttezza, nonché la violazione dei doveri di imparzialità e buona amministrazione, posta in essere con un comportamento omissivo o commissivo, e facendosi valere la violazione dell'obbligo specifico, di cui all'art. 2087 c.c., del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica e morale del lavoratore.

Giova, altresì, segnalare che l'eccepita prescrizione non è ipotizzabile nel caso di specie, dovendosi computare il diverso termine ordinario decennale.

Si prescinde dall'esame di ogni altra eccezione in rito stante l'infondatezza nel merito del gravame.

Al fine di configurare una condotta causale di danno da mobbing, la giurisprudenza ha specificato che occorre fornire, inter alios, la prova dell'esistenza di un disegno persecutorio da ravvisarsi in ipotesi di comportamenti materiali o di provvedimenti contraddistinti da finalità di volontaria ed organica vessazione nonché discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa identificabile quale elemento soggettivo della fattispecie illecita (per tutte, Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2008, n. 2015 e Cass. Civ., Sez. Lav., 6 marzo 2006, n. 4774).

Nel caso di specie tale disegno organico persecutorio non risulta sussistente né tantomeno provato.

Come più volte ricordato dalla giurisprudenza, il termine mobbing deriva dal verbo in lingua inglese to mob (che significa assalire, prendere d'assalto, malmenare) e viene spesso utilizzato per indicare genericamente molestie morali sul luogo di lavoro.

La medesima giurisprudenza ha chiarito che costituisce mobbing l'insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente con comportamenti, materiali o provvedimentali, sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi e considerando l'idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa (Cass. Civ. Sez. Lav., 6.3.06, n. 4774).

Tuttavia, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta (di natura contrattuale), se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale.

Nel caso di specie, i provvedimenti adottati dall'amministrazione della Difesa, come riferiti dal ricorrente, non rivestono quei caratteri di continuità, uniformità e carenza di spiegazione alternativa che sono necessari per identificare una condotta datoriale corrispondente alla figura del mobbing.

Infatti, senza entrare nel merito dei singoli episodi, si rileva che l'intento dell'amministrazione non possa qualificarsi come persecutorio, comunque diretto a sottoporre il dipendente a molestie morali e privo di spiegazioni alternative.

A titolo esemplificativo, in relazione alle schede valutative la relazione dell'Amministrazione resistente dà conto di giudizi non sempre positivi nei confronti del ricorrente; infatti, in particolare il ricorrente, già prima dell'11 aprile 2002, era stato giudicato come soggetto con un carattere particolare ("carattere puntiglioso con atteggiamenti di velata polemica ed ostentata formalità" oppure già nel 1988 si affermava da parte del T. Col D'Aversa, in qualità di I Revisore, che il sottufficiale avrebbe potuto ottenere maggiori consensi e soddisfazioni affinando il suo carattere) che non si adattava all'ambiente lavorativo circostante; il Collegio rileva, altresì, che nessun gravame è stato poi di fatto proposto avverso le schede di valutazione pregresse.

Allo stesso modo il rifiuto dell'invio in missione per assistere alle udienze del Tribunale Militare di La Spezia trova una sua logica spiegazione nelle argomentazioni fornite in sede di costituzione della parte resistente, secondo cui il diniego del certificato di viaggio risiede nella mancata giustificazione del travalicamento dei limiti territoriali della propria attività lavorativa e nell'assenza di una convocazione da parte del Tribunale Militare.

La stessa circostanza legata all'assegnazione del ricorrente presso la struttura del Nucleo Servizio Rifornimenti può essere giustificata sia nel diverso grado rivestito nell'ambito della gerarchia militare dal -OMISSIS-e dal -OMISSIS-, ma anche e soprattutto dalle innumerevoli assenze del ricorrente dal servizio (in totale circa 900 giornate lavorative).

Neppure è poi ipotizzabile un demansionamento della parte istante ad opera della pubblica amministrazione datoriale, in occasione della sua collocazione presso il citato Nucleo Servizio Rifornimenti o presso la Sezione Servizi Vari.

Infatti, al riguardo e senza smentita da parte ricorrente, il Maresciallo -OMISSIS-all'epoca dello scontro con il Maresciallo Capo -OMISSIS-era addetto al Nucleo Amministrativo con qualifica di "Assistente Tecnico Commissariato - Amministrazione", passando poi per atti organizzativi della p.a. (affatto impugnati dal ricorrente) alla qualifica di "Assistente Tecnico Commissariato - Rifornimenti".

Per le considerazioni sopra descritte il ricorso, in parte, va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione nella misura in cui si contestano unicamente i comportamenti del superiore gerarchico ed, in parte, va respinto perché infondato.

Le spese seguono come di norma la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
PQM
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed il parte lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna la parte istante al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in € 2.000,00 a favore del Ministero della Difesa, e per esso all'Avvocatura Generale dello Stato distrattaria per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente e della persona citata nella descrizione in fatto e diritto come responsabile del reato di violenza nei confronti di un inferiore, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Silvio Ignazio Silvestri, Presidente

Francesco Riccio, Consigliere, Estensore

Nicola D'Angelo, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26 NOV. 2014.
Avv. Antonino Sugamele

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