3 marescialli di I classe dell'Aeronautica militare condannati per essersi allontanati dal posto di lavoro prima delle 14 ed avere incaricato un collega di marcare i propri badge in orario successivo.
Cassazione penale, sez. I, 28/11/2013, (ud. 28/11/2013, dep.03/10/2014), n. 41087
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristin - Presidente -
Dott. TARDIO Angela - rel. Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.G., nato il (OMISSIS);
C.E., nato il (OMISSIS);
D.C., nato il (OMISSIS);
I.M., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 60/2012 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA del
26/09/2012;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita in pubblica udienza del 28/11/2013 la relazione fatta dai
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona dei dott. Luigi Maria
Flamini, che ha chiesto il ricorso dei ricorsi;
udito il difensore dei ricorrenti avv. Pierfrancesco Bruno, che ha
chiesto l'accoglimento dei motivi.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 marzo 2012 il Tribunale militare di Roma ha dichiarato C.G., C.E., D.C. e I.M., marescialli di prima classe in servizio presso il Comando Aeronautica Militare di Roma, colpevoli del reato di tentata truffa pluriaggravata, di cui agli artt. 56 e 110 cod. pen., art. 46 c.p.c.p., art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2, per avere compiuto il 23 aprile 2010, ciascuno dei primi tre in concorso con I.M., atti idonei e diretti in modo non equivoco a indurre in errore il competente servizio amministrativo circa l'orario di fine lavori, allontanandosi i primi tre alle ore 14.00 dopo avere incaricato il quarto ( I.M.) di marcare i propri badge in orario successivo, al fine di procurarsi l'ingiusto profitto corrispondente alla retribuzione relativa al lasso di tempo eccedente le ore di effettivo lavoro, e, riconosciuta - per l'ottima condotta militare attestata dall'acquisita documentazione matricolare - la speciale attenuante di cui all'art. 48 c.p.m.p., ultima parte, in ragione di equivalenza con le aggravanti del grado rivestito e della commissione del fatto in danno dell'Amministrazione Militare, ha condannato C., C. e D. alla pena di mesi tre di reclusione militare ciascuno e I. a quella di mesi quattro di reclusione militare.
2. Con sentenza del 26 settembre 2012 la Corte militare di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.
3. La Corte, in particolare, richiamata la vicenda, illustrati i motivi di appello e riportate integralmente le spontanee dichiarazioni rese dagli imputati all'udienza di discussione del giudizio di appello;
- riteneva infondata la censura di nullità della sentenza per violazione dell'art. 516 cod. proc. pen., poichè il Tribunale militare aveva solo chiarito in motivazione la formula generica utilizzata nel capo di imputazione, precisando che l'oggetto del procedimento non era limitato a un unico reato commesso da tutti gli imputati in concorso tra loro, riguardando, invece, tre distinti reati commessi dagli imputati C., C. e D., ciascuno per sè, in concorso con l'imputato I., mentre il fatto era rimasto identico, ciascun imputato era stato messo nelle condizioni di esplicare in modo esauriente la propria difesa e, in ogni caso, rientrava nelle facoltà del giudice dare al fatto la corretta diversa qualificazione, ove ritenuta, alla luce dei condivisi richiamati principi di diritto affermati da questa Corte;
- giudicava corretto ed esauriente il ragionamento logico attraverso il quale era stata desunta la responsabilità penale dell'appellante C. da plurimi indizi, caratterizzati dai requisiti del numero, della precisione, della gravità e della concordanza, avuto riguardo alle dichiarazioni dei Carabinieri sentiti come testi, concordi nell'affermare che il predetto "si stava apprestando a uscire" dalla "base", come rilevato nel corso del controllo da essi compiuto nelle immediate vicinanze del varco di uscita e finalizzato alla verifica dell'effettivo utilizzo del badge per le uscite, mentre le giustificazioni offerte dall'imputato a propria discolpa per la prima volta nella udienza di appello, attraverso l'istituto delle spontanee dichiarazioni, senza sottoporsi a esame incrociato, e alla cui stregua egli non si apprestava a uscire ma a chiedere informazioni per conto terzi in un ufficio situato presso l'uscita, erano apodittiche, non verificabili per volontà dello stesso dichiarante e prive di alcun elemento di conferma;
- condivideva l'analisi svolta delle altre emergenze processuali debitamente richiamate e logicamente verificate, poichè la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al C. era provata anche dalla indisponibilità da parte sua, al momento del controllo, del badge, che era obbligatorio portare per i previsti controlli, e dalla mancanza di alcuna giustificazione logica del possesso del suo badge da parte dell' I.;
- evidenziava che la prova dell'elemento soggettivo in capo all' I. si traeva dalla mancanza di alcuna valida e coerente spiegazione delle ragioni per le quali egli aveva prelevato e ritenuto i badge del C. e degli altri due militari, C. e D. già andati via, portandoli con sè fuori dal magazzino, da lui stesso chiuso a chiave, e assumendosi la responsabilità della loro detenzione, e che era coerente con il complessivo contesto spaziale e temporale il condiviso rilievo del Tribunale che l'affidamento del badge da parte del C. all' I. era avvenuto, come l'analogo affidamento operato da C. e D., per far risultare un loro orario di uscita postumo rispetto a quello effettivo;
- rappresentava che la condotta delittuosa del C., che aveva dichiarato nella immediatezza del fatto spontaneamente di avere consegnato il badge all' I. e si stava apprestando a uscire, trovava forza probatoria nel fatto che altri due militari, che avevano pure consegnato il badge allo stesso I., si erano già allontanati ed egli stava facendo quello che gli stessi avevano già attuato, uscendo prima dell'orario, già in precedenza formalmente autorizzato per l'effettuazione di lavoro straordinario; era rilevante la circostanza che il medesimo non aveva dimenticato, ma aveva consapevolmente consegnato il badge all' I.; l'idoneità e l'univocità della sua condotta erano desumibili dal rilievo in fatto che egli aveva già posto in essere, consegnando all' I. il badge da utilizzare dopo il suo allontanamento dalla "base", artifici astrattamente idonei, secondo un giudizio ex ante, a mettere in moto il procedimento per la liquidazione di spettanze per un, non svolto, lavoro straordinario;
- osservava che anche quanto agli imputati C. e D., la cui scelta processuale aveva impedito ogni verifica delle tardive giustificazioni della loro condotta, era privo di fondamento logico l'affidamento del badge all' I. in rapporto alla loro asserita, e peraltro ingiustificata, condotta di solo allontanamento dal posto di lavoro, e che la dedotta inidoneità delle ricerche all'interno del comprensorio da parte dei Carabinieri era infondata ed era, in ogni caso, contrastata dall'omesso rilievo da parte del Carabiniere, preposto al controllo dopo la verifica, della uscita dei medesimi dall'unico utilizzabile varco.
4. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati con unico atto, con il ministero dell'avvocato Pierfrancesco Bruno, chiedendone l'annullamento, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), sulla base di unico articolato motivo, con il quale denunciano inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56, 62-bis e 133 cod. pen.;
inosservanza dell'art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 603 c.p.p., comma 3; manifesta illogicità della motivazione e mancata o insufficiente replica a specifiche deduzioni difensive.
4.1. Secondo i ricorrenti, la Corte militare di appello, che ha ritenuto consolidato, condividendo le richiamate argomentazioni del primo Giudice, il quadro indiziario di riferimento e ha valorizzato il possesso da parte dell' I. del badge di pertinenza dei suoi tre colleghi, non ha tenuto conto delle spontanee dichiarazioni da essi rese nel giudizio di appello e non ha addotto alcun argomento che dimostrasse che il detto I. si stesse recando, al momento del controllo operato dai Carabinieri, con i quattro badge indosso verso l'uscita per registrare la presenza in servizio, propria e dei colleghi; nè ha considerato, violando la previsione normativa concernente la valutazione degli indizi, che non poteva indursi la rigorosa dimostrazione dell'obiettivo illecito assunto solo dal possesso dei rivelatori di presenza dei colleghi, e, incorrendo in palese vizio motivazionale, che le dichiarazioni rese da essi ricorrenti, valutate come espedienti difensivi di natura autoreferenziale e non verificabili, dovevano essere verificate attraverso la rinnovazione parziale della istruzione dibattimentale, come chiesto dallo stesso Procuratore generale di udienza; nè ha tenuto conto della circostanza, riferita dagli stessi operanti, che nessuno era stato incaricato di segnalare il passaggio dei militari al varco di uscita.
4.2. Sotto un secondo profilo, secondo i ricorrenti, la limitata prospettiva con la quale i Giudici di merito hanno considerato la vicenda, ritenendo perfezionato il tentativo attraverso il richiamo alla detenzione da parte dell' I. dei tre cartellini marcatempo appartenenti agli altri tre colleghi, ha comportato l'omessa considerazione del carattere atipico e perplesso della risultanza, sintomatica, al più, di mero proposito criminoso non indicativo della irreversibilità della condotta verso il fine assunto come perseguito, come sarebbe stata la marcatura dei cartellini.
In tal modo, si è dedotta la pretesa direzione univoca degli atti a perseguire il proposito criminoso, asseritamente affermato sulla base di atti meramente prodromici, oggettivamente equivoci, di carattere strumentale e, come tali, non decisivi ai fini del tentativo, ovvero, ove non adeguatamente circostanziati, irrilevanti, perchè non dimostrativi di direzione inequivoca della condotta, anche argomentando sulla base della previsione dell'art. 115 cod. pen..
Tale errato rilievo della tipicità della condotta ascritta ha inciso sulla intera struttura motivazionale della sentenza, essendosi omesso il necessario accertamento della idoneità dei comportamenti, effettivamente tenuti e oggettivamente considerati, a rivelare l'insorgere del fine criminoso e il suo sviluppo verso l'effettiva aggressione del bene giuridico tutelato, poichè devono rilevare le sole condotte, preparatorie o esecutive, dimostrative, per le circostanze concrete, della rilevante probabilità per l'azione di conseguire l'obiettivo programmato e del raggiungimento da parte dell'agente del "punto di non ritorno", mentre nella specie tale punto non è stato raggiunto dalla condotta posta in essere dall' I..
Neppure sono logiche:
- l'analisi della condotta tenuta dal C., poichè, in difetto del chiarimento delle sue effettive intenzioni al momento di essere notato in prossimità del varco di uscita, non ha carattere univoco la detenzione del badge da parte dell' I., che a sua volta può dimostrare un accordo criminoso solo chiarendo il senso della vicinanza del C. al varco di uscita;
- l'analisi delle condotte addebitate agli imputati C. e D., la cui effettiva uscita dal comprensorio è stata ritenuta in sentenza sulla base della insussistenza di spiegazioni alternative al possesso del badge da parte dell' I., traendosi conferma della loro assenza nel complesso dalla mancata segnalazione della loro uscita da parte del Carabiniere preposto al varco di uscita, che a contrario era circostanza neutra o dimostrativa della presenza degli stessi all'interno del sito, la cui ampiezza non era da considerare irrilevante.
4.3. Tali rilievi, ad avviso dei ricorrenti, dimostrano l'inadeguato approccio sistematico alla struttura del tentativo e la insufficiente illustrazione dei motivi alla cui stregua poteva affermarsi il passaggio delle condotte tenute da una presunta ed embrionale fase preparatoria agli atti esecutivi, sia pure parzialmente corrispondenti alla descrizione legale della fattispecie delittuosa.
4.4. L'ultima censura attiene ai trattamento sanzionatorio con riguardo alla entità delle pene non applicate nel minimo edittale e al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, contestandosi da parte dei ricorrenti il riferimento alla loro condotta processuale non collaborativa nelle precedenti fasi del giudizio, perchè non possono trarsi elementi di giudizio sfavorevoli dalla scelta di rimanere contumaci, nè dalle dichiarazioni rese nel giudizio di appello non oggetto di replica, poichè la mancanza del loro contributo dichiarativo era stata negativamente valutata dal primo Giudice come indizio a carico.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, proposti con unico atto, infondati, o manifestamente infondati o generici quanto alle svolte doglianze, devono essere rigettati.
2. Il primo prospettato profilo attiene all'iter argomentativo della decisione impugnata, che si assume illegittimo e carente quanto all'apprezzamento del quadro indiziario di riferimento della confermata affermazione della responsabilità penale degli imputati per il reato di tentata truffa a ciascuno ascritto, ed è correlato ai rilievi formulati circa l'impostazione metodologica seguita dalla Corte del gravame nel condividere, richiamandole, le argomentazioni della sentenza di primo grado, nel ritenere le stesse esplicative di una corretta e congrua ricostruzione dei fatti, resistente a ogni ipotesi alternativa, nel contraddire la previsione normativa concernente la valutazione degli indizi e nel considerare scarsamente attendibili le dichiarazioni spontanee rese dagli imputati nel giudizio di appello, omettendo di procedere alla loro eventuale verifica attraverso la rinnovazione parziale della istruzione dibattimentale.
2.1. L'analisi di tali rilievi deve muovere dalla considerazione preliminare in fatto che gli imputati C., C., D. e I., rimasti contumaci nel giudizio di primo grado definito con sentenza di condanna per il reato loro ascritto in concorso e appellanti avverso detta sentenza, hanno reso nel corso dell'udienza di appello del 26 settembre 2012 dichiarazioni spontanee, che la Corte ha riportato testualmente nel corpo della sentenza (p. 10/20), con le quali, come pure evidenziato sinteticamente in ricorso, i primi tre ( C., C. e D.) hanno giustificato l'affidamento dei badge di loro pertinenza al quarto ( I.), che ha confermato le indicate ragioni e ha giustificato, a sua volta, le ragioni per le quali li aveva portati con sè in occasione del suo breve allontanamento dal magazzino nel quale lavorava.
La Corte, esattamente rilevando che tali giustificazioni dovevano essere vagliate, quanto alle loro modalità e al loro contenuto, alla stregua delle altre prove e senza pregiudizievole valutazione della loro veridicità, ha rimarcato che tuttavia, in coerenza con l'interesse alla sua assoluzione dell'imputato dichiarante e con la facoltà del medesimo di difendersi anche mentendo senza incorrere in responsabilità ulteriore, era necessaria una doverosa e attenta analisi che non doveva prescindere dalla considerazione che la scelta legittima di ciascun imputato di dare le sue giustificazioni, ricorrendo all'istituto delle spontanee dichiarazioni, andava raccordata, da un lato, alla sottrazione, in tal modo, perseguita dal dichiarante, a un esame incrociato delle parti processuali e dei giudice, e, dall'altro lato, alla conseguenza, del pari legittima, della sottrazione delle dichiarazioni rese a discolpa alla loro verificabilità, incidente sulla loro valenza probatoria.
2.1.1. La rigorosa analisi svolta è corretta in diritto, avendo questa Corte più volte osservato che le dichiarazioni spontanee, che l'imputato ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento ai sensi dell'art. 494 cod. proc. pen., in via personale e a condizione che siano pertinenti all'oggetto della imputazione e non intralcino l'istruttoria dibattimentale (Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, dep. 29/08/2013, Agrama e altri, Rv. 256575), possono avere vario contenuto, quale fornire elementi per negare gli addebiti mossi dall'accusa, contenere ammissioni o confessioni o avere contenuto accusatorio nei confronti dei coimputati (Sez. 5, n. 4384 del 08/01/1999, dep. 08/04/1999, Pesenti, Rv. 213105); sono rimesse, per il principio dispositivo che regola il processo penale, al potere discrezionale e allo ius dicendi e postulandi dell'imputato nella piena libertà di autodifesa (Sez. 5, n. 4384 del 08/01/1999, dep. 08/04/1999, Pesenti, Rv. 213105); valgono, quando hanno contenuto accusatorio nei confronti dei coimputati, quali vere e proprie chiamate in correità, da valutarsi dal giudice del merito come elementi di prova a carico dei chiamati ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3, (Sez. 5, n. 10041 del 13/06/1998, dep. 22/09/1998, Altissimo, Rv. 211392); non sono idonee, ove rese da più imputati che si sono avvalsi della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contraddicono fra le parti, per quanto convergenti tra loro, a svalutare l'efficacia probatoria di una chiamata in correità, resa da altro imputato, purchè sorretta da ampi e pregnanti riscontri (Sez.l, n. 25239 del 20/5/2011, dep. 21/06/2011, Milici S., Rv.
219432), e non possono essere equiparate a dichiarazioni rese in sede di esame (Sez. 6, n. 13682 del 27/11/1998, dep. 28/12/1998, Craxi e altri, Rv. 212088), nè a nuove prove che possano giustificare l'interruzione della discussione (Sez. 1, n. 1708 del 23/11/1993, dep. 10/02/1994, Morgante, Rv. 196401).
2.1.2. La congruenza delle argomentazioni, che sorregge la decisione, trova ragionevole esplicitazione nelle specifiche circostanze che la Corte ha indicato in via esemplificativa a ragione della problematica sottesa alla valutazione da farsi con riguardo alle dichiarazioni rese in autodifesa e della rilevata "minore, se non nulla nel caso di specie, valenza probatoria delle giustificazioni rese".
La sentenza impugnata ha, infatti, posto in luce, quanto al ricorrente C. - che non aveva dedotto analoga giustificazione (relativa alla sua intenzione di chiedere informazioni per conto terzi all'apposito ufficio e al suo allontanamento dal posto di lavoro per ragioni personali) nè nella immediatezza del fatto, nè nella fase istruttoria, nè in primo grado - l'omessa presentazione di testi a conferma del fatto assunto, la mancata deduzione di circostanze che consentissero la verifica effettiva della informazione assumenda, e la impossibilitata sottoposizione ai Carabinieri escussi di domande pertinenti alla prospettata versione difensiva; quanto al ricorrente I. - che, del pari, nulla aveva in precedenza dedotto - la mancanza di valide e coerenti spiegazioni idonee a confortare la logicità delle sue giustificazioni quanto al prelievo e alla disponibilità anche dei badge dei tre coimputati, e, quanto, infine, ai ricorrenti C. e D. - che hanno optato per analoga scelta processuale - l'omessa indicazione e la preclusa possibilità di procedere ad alcun riscontro delle tardive giustificazioni rese in ordine all'affidamento del loro badge al coimputato I. e alla loro condotta di allontanamento, peraltro ingiustificato, dai posto di lavoro rimanendo all'interno del comprensorio.
2.1.3. E' coerente con tali premesse fattuali il rilievo conclusivo espresso dalla Corte, specificamente correlandosi alle sopravvenute dichiarazioni spontanee degli imputati e non limitandosi, come opposto in ricorso, al pedissequo richiamo alle argomentazioni del primo Giudice, nel senso del contenuto apodittico delle affermazioni giustificative rese, prive di elementi di conferma e di conseguente valenza probatoria.
Nè ha fondamento alcuno la deduzione difensiva, secondo cui la Corte avrebbe dovuto procedere, a fronte delle dichiarazioni rese dagli imputati, alla rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale volta alla loro verifica, essendo del tutto evidente la carenza dei presupposti normativi di cui all'art. 603 cod. proc. pen., la cui ricorrenza è dedotta come conseguente alla iniziativa auto difensiva degli appellanti, che, per principio normativo, non deve intralciare l'istruttoria dibattimentale, in assenza, peraltro, di alcuna richiesta difensiva nell'atto di appello e nello stesso giudizio di appello.
2.2. La ricostruzione dei fatto e la verifica delle responsabilità operate dalla Corte militare di appello secondo linee logiche e giuridiche concordanti con quelle, motivatamente condivise, della sentenza di primo grado e in rapporto alle doglianze di merito svolte con il gravame, resistono anche ai rilievi difensivi riguardanti la valutazione dei quadro indiziario di riferimento, contestata sotto il profilo della essenziale valorizzazione operata con riguardo alla circostanza del possesso da parte del ricorrente I. del badge di pertinenza dei suoi tre colleghi e della non possibile induzione da tale soia circostanza della dimostrazione rigorosa dell'obiettivo illecito attribuito ai ricorrenti.
Secondo la prospettazione difensiva, in particolare, assumono rilievo in senso contrario, rispetto all'analisi della Corte, ed escludono l'ipotizzato consilium fraudis le dichiarazioni dei ricorrenti nel giudizio di appello, l'omessa dimostrazione dell'avvio del ricorrente I. verso l'uscita per la registrazione delle presenze, sua e dei colleghi, l'orario dell'intervento dei militari antecedente rispetto alla conclusione del turno di lavoro straordinario, la sussistenza di rilevatore di presenze nello stesso ufficio del detto I. e l'omesso conferimento di incarico agli operatori di verificare il passaggio dei ricorrenti al varco di uscita.
2.2.1. L'infondatezza di tale prospettazione consegue al rilievo che la valutazione delle emergenze processuali, che si contesta, è stata condotta in sede di merito in modo organico e coerente con i criteri metodologici che attengono, nella sistematica della prova indiziaria, alla valutazione degli indizi.
La Corte, in particolare, esclusa la valenza probatoria delle dichiarazioni spontanee dei ricorrenti, sì come già rilevato, e richiamate e illustrate le fonti probatorie di riferimento, ha attribuito valenza al possesso da parte del ricorrente I. dei badge dei coimputati in assenza di alcuna giustificazione logica; ha rilevato che il ricorrente C. "si stava apprestando ad uscire" ed era privo dell'obbligatorio badge, consapevolmente consegnato per sua stessa ammissione al ricorrente I. quando è stato controllato dai Carabinieri nelle immediate vicinanze del varco di uscita; ha rappresentato che i ricorrenti C. e D. erano già usciti prima dell'orario previsto; ha condiviso l'induzione logica del Tribunale che ha correlato alle condotte - già attuate - dei ricorrenti C. e D. quella del ricorrente C., che, consegnando il proprio badge all' I. come i primi due, stava ripetendo le loro stesse condotte di allontanamento; ha puntualizzato che, in ogni caso, anche le giustificazioni offerte da ciascuno degli imputati erano prive di relazione alcuna con le condotte di allontanamento dai posti di lavoro (sempre ingiustificato) da essi affermate come tenute; ha precisato il concorde chiarimento dato dai testi circa l'effettuato controllo di tutti i locali del pur ampio sito, dove era verosimile la presenza dei ricorrenti C. e D., e circa l'unicità del varco di uscita per uomini e mezzi e il suo operato presidio per mezzo di Carabiniere preposto ai controlli.
2.2.2. Le inferenze logiche che sorreggono il ragionamento probatorio seguito, congruo rispetto ai dati fattuali disponibili e utilizzabili ed esplicato secondo un convincente metodo dialettico, non sono fondatamente messe in discussione dalle censure difensive, che, anzi, senza correlarsi con i passaggi motivi della decisione e senza opporre un modello alternativo dotato di plausibilità concreta in rapporto ai dati fattuali e logici, si risolvono, in luogo di esprimere travisamenti o distorsioni logiche, in rilievi sul significato e sulla interpretazione di alcuni degli elementi utilizzati e in doglianze di fatto volte a impegnare questa Corte, il cui sindacato rimane di sola legittimità anche quando sia prospettata in ricorso una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali, in alternativa lettura degli elementi di conoscenza acquisiti al processo, neppure espressa in termini di autosufficienza, e in una non consentita revisione nel merito del giudizio ricostruttivo del fatto.
3. Il secondo profilo dedotto con il ricorso riguarda la contestata valutazione delle condotte ascritte sotto il profilo della indimostrata univocità delle stesse al fine della integrazione del tentativo.
3.1. Secondo la tesi difensiva diffusamente esposta, la circostanza valorizzata in sentenza, afferente alla detenzione dei badge, appartenenti ai ricorrenti C., C. e D., da parte del ricorrente I., incaricato dai primi tre di provvedere al loro marcatempo in orario successivo a quello del termine effettivo della loro prestazione lavorativa, in vista dell'ingiusta percezione della corrispondente non dovuta porzione di retribuzione, non è stata correttamente apprezzata nella sentenza impugnata come "sintomatica, al più, della possibile mera sussistenza d'un proposito criminoso", non essendo "certo indicativa dell'irreversibilità della condotta verso il fine che si assume perseguito", che suppone -in coerenza con la contestazione effettuata sub specie di tentativo che richiede, oltre alla idoneità o attitudine esecutiva degli atti realizzati, la loro natura univoca - una, non svolta, motivazione sul tema della "ineluttabilità dell'atto tipico (in concreto, non compiuto) rappresentato, quanto meno, dalla marcatura dei cartellini", e quindi del "concreto e Irreversibile sviluppo" dei "comportamenti effettivamente posti in essere dagli imputati, considerati nella loro oggettività ... verso fa consumazione, e la conseguente effettiva aggressione al bene giuridico tutelato", con il passaggio dalla presunta ed embrionale fase preparatoria a quella esecutiva e con il raggiungimento, secondo i richiamati principi di diritto, del "punto di non ritorno".
3.2. La tesi esposta non è condivisibile nelle conclusioni tratte in rapporto alla vicenda in esame, pur movendo da condivisi principi, avendo questa Corte già più volte affermato che, per la configurabilità del tentativo, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, per le circostanze concrete facciano fondatamente ritenere che l'azione abbia la rilevante probabilità di conseguire l'obbiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai a un punto di non ritorno nella realizzazione del delitto, e che esso sarà commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente (tra le altre, Sez. 2, n. 36536 del 21/09/2011, dep. 11/10/2011, D'Alessandro, Rv. 251145; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, dep. 04/12/2012, D'Angelo e altri, Rv. 254106).
3.2.1. La Corte militare di appello, che ha rilevato, nell'esaminare la prima censura di merito, che il Tribunale, contrariamente alla deduzione difensiva con essa espressa, non aveva ritenuto provata la responsabilità del C. sulla base della sola circostanza, insufficiente autonomamente a provare l'imputazione contestata, della sua vicinanza al varco di uscita nel momento del controllo, ha spiegato che il giudizio di responsabilità è stato espresso sulla base di un ragionamento logico, corretto ed esauriente, fondato su plurimi riscontri, o meglio indizi, caratterizzati dai requisiti (numero, precisione, gravità e concordanza) cui il legislatore correla la prova del fatto non noto e, nel ripercorrere detto ragionamento, ha ulteriormente rappresentato, a conferma dell'esaustivo vaglio della condotta del predetto attraverso le necessarie e possibili verifiche, che l'intenzione del reato non era provata solo dalle dichiarazione dei Carabinieri secondo le quali il medesimo si apprestava ad uscire.
Nella specifica svolta analisi ricostruttiva del fatto assumono rilievo, nel giudizio della Corte, la mancanza di disponibilità da parte del C. del suo badge, consapevolmente consegnato in precedenza al collega I., nel cui possesso è stato in effetti trovato, senza valide giustificazioni logiche delle due condotte, e il congiunto possesso da parte dell' I., oltre al proprio badge e a quello del C., dei badge dei colleghi C. e D., già usciti dal comprensorio, e in esso non trovati all'esito del diffuso controllo nè da esso visti uscire dall'unico varco, presidiato da un Carabiniere.
3.2.2. All'indicato complesso di circostanze, valutato in un quadro d'insieme, la Corte ha correttamente correlato - condividendo il giudizio del Tribunale, che aveva dato anche rilievo al complessivo contesto spaziale e temporale della vicenda, e ripercorrendo criticamente le emergenze processuali e le osservazioni, le contestazioni e le ammissioni difensive - la confermata valutazione di idoneità e univocità delle condotte ascritte, ritenendo gli artifici posti in essere, avuto riguardo alle adottate modalità delle stesse condotte e all'individuato rapporto funzionali tra i singoli atti (consegna dei badge da parte dei ricorrenti C., C. e D., già autorizzati a espletare lavoro straordinario, al ricorrente I. per l'utilizzo in loro vece dopo il loro allontanamento dalla "base", possesso dei tre badge oltre al proprio da parte dell' I. al momento del controllo antecedente all'orario finale del lavoro, uscita dalla "base" del C. e del D. prima di tale momento, apprestamento del C. a uscire dalla "base" in tale momento), "astrattamente idonei, secondo un giudizio prognostico ex ante, a mettere in moto il procedimento amministrativo volto alla liquidazione di spettanze per prestazione di lavoro straordinario non effettuato".
Tale apprezzamento, che coerentemente non pone la questione - infondatamente, invece, reclamata dal ricorrente a dimostrazione della ineluttabilità dell'atto tipico - della marcatura dei badge come elemento di valutazione del tentativo punibile, non rilevando tale marcatura neppure ai fini della integrazione del reato di truffa aggravata (tra le altre, Sez. 2, n. 26722 del 12/06/2008, dep. 02/07/2008, Cosenzo, Rv. 240700; Sez. 2, n. 5837 del 17/01/213, dep. 06/02/2013, Brignone, Rv. 255201), è sorretto da un adeguato discorso giustificativo, che resiste agi opposti rilievi difensivi che reiterano, sotto la prospettazione della illogicità della motivazione e del contestato approccio sistematico alla figura del tentativo, osservazioni di dissenso che attingono il campo, non esplorabile in questa sede, della discrezionalità nelle valutazioni di merito.
4. L'ultima censura, che riguarda l'entità della pena e le non concesse attenuanti generiche, è manifestamente infondata, poichè, mentre la conferma della prima non richiedeva specifica statuizione avendo già il Giudice di primo grado puntualizzato la sua sostanziale prossimità al minimo edittale e le ragioni della sua diversa graduazione quanto all' I., e i ricorrenti si erano mantenuti in appello su un piano di assoluta genericità, rilievo preponderante è stato attribuito dalla Corte di merito, quanto al diniego delle seconde, alla carenza di elementi concreti idonei a giustificarle, tale non potendo ritenersi la sola incensuratezza, tenuto anche conto, in senso contrario, della condotta processuale dei ricorrenti che solo nel giudizio di appello hanno tenuto una condotta collaborativa, volta tuttavia "ad accreditare tardivamente versioni di comodo".
Tale valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente e anche coerentemente al principio di diritto secondo il quale l'onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente in tema di attenuanti generiche (Sez. 1, n. 33506 dei 07/07/2010, dep. 13/09/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv.247959), come anche in materia di determinazione della pena (Sez. 2, n. 36425 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596), l'esame di tutti i parametri fissati dall'art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure mosse, che rimarcano la valenza delle dichiarazioni spontanee rese nel giudizio di appello e la non sindacabilità della scelta di rimanere contumaci in primo grado, già oggetto di esplicita valutazione.
5. Al rigetto dei ricorsi per tutte le esposte ragioni segue per legge, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2014
11-08-2016 14:28
Richiedi una Consulenza