Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Militare Trapani

Sentenza

Allieva paracadutista durante una esercitazione si lancia e il suo corpo viene r...
Allieva paracadutista durante una esercitazione si lancia e il suo corpo viene ritrovato senza vita, dopo due giorni di ricerca, dai sommozzatori nella melma del fondo di un laghetto ed estratto ancora imbragato al paracadute.
Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-07-2016) 22-08-2016, n. 35263

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Presidente -

Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. TANGA Antonio - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.A. N. IL (OMISSIS);

C.R. N. IL (OMISSIS);

S.B.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3174/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 28 maggio 2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14 luglio 2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PICCIALLI PATRIZIA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

uditi i difensori Avv. Servi Amedi Antonio Franco del foro di Reggio Emilia per S.; Prasetti Antonio del foro di Ancona per C.; Annie Claudio del foro di Mantova per T.; tutti hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Nel corso di una attività aviolancistica con il paracadute semisferico nella zona dell'Aeroporto (OMISSIS) l'allieva paracadutista L.M.M. al primo lancio decedeva per annegamento nel lago cava della (OMISSIS), ove era atterrata in esito al lancio (il fatto risale al (OMISSIS)).

Nella mattinata erano stati effettuati tre lanci, a seguito dei quali l'attività era stata interrotta per il vento, la cui velocità era incompatibile con l'attività aviolancistica. Alle ore 14,55 venivano riprese le operazioni: i sei paracadutisti si lanciavano nell'ordine stabilito ad una distanza di 5/6 secondi l'uno dall'altro e tutti i paracadute si aprivano regolarmente. Dagli accertamenti effettuati risulta che fu necessario qualche secondo dopo il lancio, a causa del vento, per recuperare l'assetto, essendo stato necessario posizionarsi controvento. La meno allineata risultava proprio la L.M., che rimanendo a favore di vento, scivolava per una tratta più lunga in direzione sud-est scomparendo all'orizzonte. L'esito drammatico del lancio di M. veniva accertato solo dopo due giorni di ricerca, quando il corpo senza vita era rinvenuto dai sommozzatori nella melma del fondo del laghetto (OMISSIS) ed estratto ancora imbragato al paracadute.

A C.E., nella qualità di Direttore di esercitazione (DE), T.A., nella qualità di Direttore di Lancio alla Fune di Vincolo (DL/FV), a S.B.M., nella qualità di Istruttore paracadutista alla Fune di Vincolo (IP/FV), è stato contestato di aver colposamente causato tale evento, violando alcune disposizioni della circolare 1400/1229 dell'i giugno 1998 dell'Ispettorato delle Armi dell'Esercito (paragrafo 3 dell'allegato C) - che disciplina le esercitazioni paracadutistiche a fune di vincolo con organizzazione ANPD'I (Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia), quindi civili, ma di interesse militare- oltre a norme di comune prudenza, indicando ai paracadutisti una zona di lancio corrispondente a quella aeroportuale e diversa da quella certificata ANPD'I e omettendo di segnalare la presenza del lago-cava.

La Corte territoriale, confermando la valutazione del primo giudice, ha individuato la prima e più evidente responsabilità in quella del T., che nella qualità di Direttore di Lancio aveva il compito di individuare operativamente dall'alto il punto di lancio e di effettuare le azioni relative, autorizzando l'uscita dei paracadutisti e dettando i tempi delle stesse, oltre che di intervenire in caso di emergenza, essendo il dominus dell'attività aviolancistica a bordo dell'aereomobile e gravando sullo stesso anche il compito di fornire le coordinate al pilota e di stabilire il punto di attacco, seguendo le indicazioni dell'IP/FV. E' stato sottolineato che la presenza di neofiti avrebbe dovuto comportare una più precisa spiegazione delle attività da svolgere e che durante il briefing prima del lancio l'imputato aveva indicato come zona di lancio la n. 2 identificandola con l'area aeroportuale.

Esaminando la posizione del C., Direttore dell'esercitazione per il lancio, la Corte territoriale ha confermato che gli obblighi di garanzia gravanti sullo stesso lo rendevano il dominus dell'esercitazione ed ha ribadito la valutazione del primo giudice in merito alla sua responsabilità per quanto riguarda l'adesione alla scelta di far atterrare i paracadutisti nell'area aeroportuale e nell'essersi posizionato durante le operazioni di lancio in maniera del tutto inadeguata al suo ruolo, così omettendo di controllare il rispetto delle prescrizioni e la correttezza dell'operato di tutti partecipanti alle operazioni e ritardando l'organizzazione dei soccorsi e del recupero dei paracaduti atterrati. L'esperienza di paracadutista del C. avrebbe dovuto consentirgli di concentrare i soccorsi verso la zona del laghetto, tenuto conto della presenza dello specchio d'acqua non segnalato e del vento forte.

Per quanto riguarda la posizione di S.B.M., la Corte di merito, in conformità al giudice di primo grado, ha ritenuto che, nella qualità di istruttore di fune di vicolo, l'imputato aveva assunto una posizione più defilata rispetto al Direttore dell'esercitazione, del quale era coadiutore per tutti gli aspetti attinenti alla sicurezza. Il primo profilo di responsabilità è stato individuato nell'avere aderito alla prassi formatasi nel tempo di effettuare lanci con atterraggio previsto in zona aeroportuale, diversa da quella certificata, come dimostrato dalla sua presenza nel recinto dell'aeroporto in attesa dei paracadutisti.

Ha individuato a suo carico, altresì, un profilo di colpa in eligendo per aver indicato per un volo di principianti un Direttore di Lancio alle primissime esperienze.

Solo il primo giudice, facendo riferimento alla contestazione del PM, ha rilevato un ulteriore profilo di responsabilità a carico dello S., sia pure secondario, per avere omesso di adottare, una volta individuata come zona di lancio una zona distante meno di 500 metri da uno specchio d'acqua, una serie di precauzioni descritte all'art. 16 del regolamento ENAC, tutte dirette a consentire un sistema di sicurezza in caso di ammarraggio.

Tale profilo di responsabilità non è stato ripreso dalla Corte territoriale.

C.R. articola quattro motivi.

Con il primo lamenta l'erronea interpretazione della circolare n. 1400/1229 dell'1.6. 1998, par. 3, lett. b) n. 3, e del D.M. 25 giugno 1992, n. 467-T (normativa riguardante il paracadutismo) nonchè il travisamento dei fatti. Si deduce, sotto tale ultimo profilo, che da nessun elemento di prova emergerebbe l'adesione dell'imputato alla scelta di effettuare lanci in zona diversa da quella prescritta ed il suo inadempimento all'obbligo di controllare l'assenza di pericoli.

Al C. competeva di verificare che sussistesse l'idoneità della zona di lancio mentre non può farsi ricadere sul medesimo la scelta operativa dell'ultimo minuto del D.L. nè la sua posizione vicino agli hangar.

Quanto all'obbligo di controllo sull'assenza di pericoli, si sostiene che il D.M. cit., art. 10, n. 3 stabilisce trattarsi di attività di competenza specifica dell'Istruttore alla fune di vincolo, lo S., il quale era anche il capo della scuola di paracadutismo che organizzava l'esercitazione;la presenza del laghetto non avrebbe rappresentato alcun pericolo se il lancio fosse stato diretto ed indirizzato sopra la zona certificata.

Sotto tale profilo si evidenzia la posizione di terzietà del C. rispetto all'organizzazione logistica del luogo, di cui deve farsi carico la scuola di paracadutismo ospitante.

Si contesta la sussistenza di una gerarchia tra le tre figure professionali di interesse, a cui spettano distinti compiti. In particolare, si sottolinea che durante le operazioni di lancio il dominus della situazione è il solo direttore di lancio, l'unico in grado di valutare l'esatta intensità e la direzione del vento e la direzione precisa della rotta.

Con il secondo motivo, strettamente connesso, lamenta la manifesta contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, dopo aver affermato che le indicazioni del D.E. prevalgono su quelle del D.L., condivide la valutazione del giudice di primo grado secondo cui l'attività di aviolancio deve qualificarsi come un'attività sportiva e non militare, da ciò facendo derivare l'insussistenza di rigide gerarchie e una sorte di coordinamento tra i vari soggetti nell'attività. Si sostiene, pertanto, la non riconducibilità al C. di alcuna efficienza causale rispetto al decesso della paracadutista, tenuto conto altresì, con riferimento alla organizzazione dei soccorsi, che il tempo di annegamento della giovane, caduta in fondo al laghetto, era stato così breve ed immediato da non consentire alcuna azione di salvataggio.

Con il terzo motivo e quarto motivo, strettamente connessi, si duole della erronea applicazione della legge penale in relazione al nesso di causalità tra la condotta del D.E. e l'evento, risultando, invece, assorbente quella del T., senza escludere nemmeno altre concause tutte determinanti al fine di provocare l'infausto evento finale. Il riferimento è al mancato contrasto del vento da parte dell'istruttore P., che aveva indirizzato sostanzialmente gli allievi che lo seguivano, tra cui la L.M., verso il laghetto nonchè alla mancata attuazione da parte dell'allieva delle più elementari manovre da adottare durante la discesa al fine di contrastare il vento e le conseguenze dell'atterraggio in acqua: se la L.M., al contatto con la superficie, avesse provveduto a sganciare la velatura non si sarebbe trovata prigioniera delle funicelle che ne avevano impedito i movimenti, così determinando l'annegamento.

In questa prospettiva il macroscopico errore del Direttore di Lancio era stato esclusivo nel determinismo causale dell'evento. Il giudice di primo grado, condividendo le conclusioni dei consulenti, aveva evidenziato che un lancio ben effettuato deve tenere in considerazione anche un punto di attacco idoneo in relazione alla direzione del vento, prescrizione non seguita dal D.L. nel caso in esame.

T.A. articola due motivi.

Con il primo motivo deduce la mancata assunzione di prove decisive e la contraddittorietà della motivazione con riferimento alla mancata segnalazione durante il briefing della presenza del lago, all'adeguatezza della preparazione della vittima ad affrontare il lancio ed alla condotta dalla stessa tenuta in quella fase, all'affermata difficoltà da parte di tutti gli allievi nel lancio.

Si contesta altresì che il briefing sia stato tenuto dallo stesso T., il quale avrebbe invece solo dato indicazioni sulle modalità di uscita dalla carlinga utilizzando l'aereo a terra, non essendo addetto lo stesso, invitato a svolgere i compiti di D.L. solo in tre occasioni, al briefing, costantemente tenuto dagli altri coimputati.

Sotto tale profilo si richiamano i compiti del D.L. secondo la circolare 1400/1229 del 1998, evidenziando che tale figura non ha alcun compito organizzativo nè preparatorio e che nell'organigramma nazionale 2009/2010 della Scuola di Modena i lanci erano stati organizzati dai coimputati. Non corrisponderebbe, pertanto, al vero che il Tornasi dovesse sospettare che il luogo di lancio era diverso.

Si sottolinea che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, l'attività di aviolancio segue le regole militari e la circolare 1400 rappresenta l'unica concessione del Ministero della difesa data all'ANPD'I sotto controllo militare per effettuare lanci con paracadute emisferico in Italia. Si sostiene che il giudicante avrebbe confuso i ruoli affermando che il responsabile della zona di lancio era il T., al quale competeva solo di individuare il punto di lancio, mentre l'identificazione della zona di lancio competeva esclusivamente al DE. Si deduce l'imprevedibilità delle circostanze che avevano portato alla morte della L.M. e la non corrispondenza al vero che la zona dell'aeroporto fosse all'evidenza sbagliata, essendo emerso durante il processo che da sempre la zona aeroportuale era quella autorizzata per i lanci, mancando il consenso dell'agricoltore proprietario del terreno sul quale i paracadutisti sarebbero caduti.

Con il secondo motivo lamenta la violazione della legge penale in relazione alla valutazione del nesso di causalità e della posizione di garanzia. Si sostiene che non poteva chiedersi al T., il quale era stato D.L. solo per tre volte, la consapevolezza che la zona di lancio non era quella certificata, non competendo alla qualifica dallo stesso rivestita tale accertamento. Si deduce l'insussistenza del rapporto di causalità tra la condotta del T. ed l'evento giacchè il lancio era stato effettuato esattamente dove indicato dagli altri coimputati ed era illogico attribuire un onere di verifica a carico dell'imputato, il quale aveva fatto affidamento sulla esperienza degli altri.

S.M.B. propone ricorso avverso la sentenza in esame e l'ordinanza in data 28.5.2015 con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale avente ad oggetto l'assunzione di testimoni specificamente indicati nell'atto di appello assumendo l'irrilevanza di dette deposizioni, in conformità a quanto già deliberato dal primo giudice.

Con il primo motivo lamenta la mancata assunzione di prova decisiva rappresentata da prove testimoniali in ordine alle circostanze di cui al capo d'imputazione nonchè in ordine alle indicazioni e/o istruzioni aventi ad oggetto l'individuazione della zona di lancio e atterraggio destinata ad aviolanci con paracadute a calotta emisferica. Sul punto si deduce che le indicate testimonianze erano dirette a contrastare la circostanza data per accertata dai giudici di merito secondo la quale lo S. avrebbe aderito a prassi formatesi nel tempo consistente nell'effettuare i lanci con atterraggio previsto sull'area aeroportuale, prossima ad ostacoli fissi pericolosi, quale i laghetti (OMISSIS), anzichè su quella certificata ANPD'I. Il riferimento è in particolare alle dichiarazioni rese dal pilota dell'aereo, il quale aveva affermato di aver corretto la rotta solo in base alle indicazioni del direttore di lancio, determinate dalle condizioni meteorologiche del momento.

Per quanto riguarda la questione inerente le consegne ricevute dal direttore di lancio nei momenti antecedenti l'imbarco, la prova richiesta trovava fondamento nella dichiarazione redatta dal T. per la commissione Ispettiva ANPD'I, rappresentante l'unico dato informativo proveniente dallo stesso, il quale non aveva reso dichiarazioni in dibattimento.

Con il secondo motivo lamenta che l'impianto motivazionale evidenzierebbe eclatanti lacune in ordine alla effettiva portata dei compiti attribuiti alla figura dell'istruttore paracadutista alla fune di vincolo dal paragrafo 3, lett. b) n. 3 della Circolare del Ministero della difesa n. 1400/1229 del 1998 ed alla conseguente posizione di garanzia, contraddistinta da una operatività minore rispetto a quelle del DE e del DL/FV, indicativa di una stretta subordinazione gerarchica al DE nello svolgimento di attività aviolancistica, connotata da obbiettiva pericolosità: l'unica autonomia decisionale riservatagli è quella della nomina del DL/FV. Ciò premesso, si contesta l'affermazione secondo la quale lo S. avrebbe aderito alla prassi di effettuare lanci con atterraggio previsto in zona aeroportuale non autorizzata, fondata sulle dichiarazioni di alcuni allievi, omettendo di valutare gli altri elementi emergenti dall'analisi dei lanci in questione, tra cui la rotta d'ingresso in zona e le condizioni meteorologiche esistenti al momento del lancio. Si assume manifestamente illogico anche il profilo di colpa in esigendo, confliggente con la precedente descrizione del T. quale paracadutista di notevole esperienza, qualificato D.L. tramite frequenza di regolare corso.

Si contesta il terzo profilo di responsabilità assumendo che l'attività di accompagnamento con furgone degli allievi per l'imbarco era ricompresa nelle elementari norme di sicurezza, come confermato dal consulente del PM e delle parti civili. Anche il permanere sulla pista in attesa del regolare decollo risponde a norme di sicurezza essendo il decollo momento di estrema criticità. La temporalità ridotta in termini di non più 2-3 minuti tra il decollo ed il lancio aveva impedito lo spostamento dello S., permettendogli però di intervenire con immediatezza, appena avuta contezza della erroneità della posizione di lancio, dando con il megafono agli allievi in discesa le istruzioni necessaria per l'atterraggio in sicurezza. L'assenza di responsabilità in capo allo S. era stata pure riconosciuta all'esito dell'attività ispettiva ANPD'I. Si lamenta con riferimento all'eziogenesi dell'evento l'omessa motivazione da parte di entrambi i giudici di merito in ordine al tenore ed al rilievo delle dichiarazioni scritte rilasciate dal T. in sede di ispezione ANPD'I con riferimento alla precisa descrizione del suo agire sia prima dell'imbarco in aereo (il riferimento è in particolare allo svolgimento del briefing da parte dello stesso T.) sia durante il volo (avere condiviso con il pilota una rotta d'attacco da mare a terra, spostata a nord dell'asse pista e di ritenere di aver dato una correzione a destra con successivo allineamento dell'aereo, all'esito del quale dava inizio alle operazioni di lancio dei sei paracadutisti: tale dichiarazione contrasterebbe con le risultanze dell'elaborato peritale trascrittive del parlato ove emergerebbe una reiterata correzione data invece a sinistra, chiaramente indicativa dell'errore che aveva determinato il tragico epilogo).

Con il terzo motivo lamenta la carenza di motivazione in ordine alla omessa valutazione del concorso della condotta colposa della vittima nella determinazione dell'evento.

Sotto tale profilo si evidenzia che la giovane non aveva posto in essere alcuna della manovre previste per la situazione di emergenza che si stava delineando, ponendosi anzi a favore di vento, così aumentando esponenzialmente la velocità, senza tentare la minima correzione con i comandi direzionali di cui era dotato il paracadute; non aveva posto, inoltre, alcuna della manovre necessarie per superare incolume la caduta in uno specchio d'acqua.

La ritenuta irrilevanza dell'inosservanza alle regole comportamentali, affermata dalla Corte territoriale sul rilievo della inesperienza della giovane al primo lancio, non avrebbe tenuto conto della posizione di garanzia attribuita allo stesso paracadutista anche nei confronti della propria incolumità.
Motivi della decisione

I ricorsi di C. e T. sono infondati.

Le censure attengono innanzitutto alla natura dell'attività di aviolancio. Entrambi i ricorrenti sostengono trattarsi di attività militare e come tale, oltre che soggetta a rigide regole gerarchiche, contemplante la produzione di gravi danni alla integrità, fisica o psichica, e, addirittura, la perdita del bene della vita.

I giudici di merito hanno qualificato l'attività di aviolancio alla fune di vincolo come attività sportiva e non militare, sebbene di interesse militare, sottolineando le diverse regolamentazioni della pur simile attività, i diversi contesti e le diverse finalità.

Tale impostazione è condivisibile tenuto conto che il paracadutismo come attività sportiva è disciplinato da norme diverse rispetto a quelle valide per i militari impegnati in esercitazioni militari.

Sul punto va precisato che l'aviolancio è certamente qualificabile attività pericolosa (v. Sez. 4, n. 7026 del 15 ottobre 2002, dep. 2003, Loi, Rv. 223748), presentando una pericolosità intrinseca, dipendente dalle modalità di esercizio e dai mezzi adoperati.

Non si pone in dubbio che nelle attività pericolose, come quella in esame, esiste un margine di rischio ineliminabile (il c.d. rischio consentito) e, ciò nonostante, l'esercizio di queste attività non è vietato perchè considerate socialmente utili.

Proprio perchè si tratta di attività pericolose - e proprio perchè l'ordinamento accetta l'esistenza ineliminabile del margine di rischio- la persona alla quale è attribuita una posizione di garanzia nello svolgimento delle attività medesime ha un obbligo, di maggiore e non minore intensità, di ridurre il margine di rischio nei limiti più ristretti che le conoscenze scientifiche, le nozioni di comune esperienza e le disponibilità di materiali utilizzabili consentono (v. da ultimo, Sez. 4, n. 4999 del 10 gennaio 2014, Zanaria, Rv. 258619).

In definitiva, nelle attività pericolose consentite, proprio perchè la soglia della prevedibilità è più alta, nel senso che gli eventi dannosi sono maggiormente prevedibili (e spesso in minor misura evitabili) rispetto alle attività comuni, maggiore deve essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre il rischio consentito nei limiti del possibile.

La ineliminabilità del rischio non corrisponde, pertanto, ad un'attenuazione dell'obbligo di garanzia ma semmai ad un suo rafforzamento.

Così, nell'attività di aviolancio, non potrà certamente essere addebitato a chi la organizza, il fatto che un paracadutista adeguatamente addestrato subisca un evento dannoso al momento dell'atterraggio per una sua erronea manovra o durante la caduta per eventi (per es. atmosferici) imprevedibili. Ma è certamente obbligo del garante prevenire gli eventi dannosi che possano derivare da una mancata verifica della sicurezza dei luoghi individuati per il lancio e dall'insufficiente addestramento degli allievi, in quanto circostanze idonee aventi caratteristiche tali da aumentare il rischio già insito nell'attività svolta.

Il quadro fattuale, incensurabilmente accertato dai giudici di merito nel caso in esame, è idoneo a dimostrare che il C. e, soprattutto il T., garanti dell'incolumità dei paracadutisti, hanno affrontato con negligenza imperizia e imprudenza il problema della sicurezza del lancio, soprattutto tenuto conto della situazione di rischio aggravata dalla presenza del forte vento e dalla inesperienza della vittima, al suo primo lancio.

In particolare la sentenza impugnata (e quella di primo grado più volte richiamata dal giudice di appello) ha rilevato l'esistenza di una prassi generalmente accettata dagli organizzatori delle attività aviolancistiche effettuate all'Aeroporto (OMISSIS), ove si è verificato l'incidente, secondo la quale i lanci con il paracadute semisferico venivano pressochè sempre, o comunque spesso, effettuati con atterraggio previsto nella zona aeroportuale diversa rispetto a quella autorizzata.

Il punto di atterraggio così determinato consentiva ai paracadutisti di raggiungere più facilmente il punto di raccolta, talvolta anche senza bisogno di essere recuperati con il furgoncino dell'organizzazione, evitando così qualsiasi perdita di tempo fra un'operazione di lancio e l'altra.

L'accertamento in questione è stato fondato sulla ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata sulla base di numerose dichiarazioni testimoniali e delle relazioni peritali, svolte dai periti, sia del Presidente della Commissione ANPD'I, che ha curato l'istruttoria interna, sia del consulente tecnico del PM. Le citate relazioni, puntualmente richiamate soprattutto dal primo giudice, hanno approfondito i meccanismi dell'incidente, richiamando i concetti di rischio tipico, prevedibilità ed evitabilità.

Entrambi i periti hanno concluso che la caduta della giovane nel laghetto è stata determinata dall'errata individuazione del punto di lancio in una zona più a sud rispetto a quella certificata ANPD'I. Sul punto è stato, infatti, precisato che l'atterraggio fuori zona di tutti i paracadutisti di quella esercitazione era derivato dal sorvolo del veicolo non corrispondente alla posizione della zona di lancio.

Tale valutazione si sottrae al controllo di legittimità in quanto coerente al materiale probatorio in atti.

Ciò che la sentenza impugnata addebita al C., definito dominus dell'esercitazione, nella qualità di Direttore di esercitazione, è l'adesione alla prassi di far atterrare i paracadutisti nella zona aeroportuale diversa da quella autorizzata. A carico del T., definito il dominus dell'attività aviolancistica a bordo dell'aereo, sono stati individuati ulteriori profili di responsabilità, oltre a quello dell'errata individuazione della zona di lancio, attinenti anche alla fase preparatoria del lancio ed alla condotta tenuta durante il volo, fornendo le coordinate al pilota, che non tenevano conto del corso del vento ed autorizzando l'uscita dei paracadutisti in situazione di pericolo.

La contemporanea presenza di tutti questi fattori aveva agito come moltiplicatore dei rischi esistenti.

I giudici di merito hanno quindi fornito una congrua e non illogica motivazione sull'esistenza del rapporto di causalità, che è stato accertato con un giudizio controfattuale condotto alla luce di tutti gli elementi disponibili criticamente esaminati, che sono pervenuti alla conclusione richiamata ritenuta attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale o, come può anche affermarsi, attendibile al di là di ogni ragionevole dubbio.

Quanto all'asserita contraddittorietà della sentenza che, secondo i ricorrenti C. e T., avrebbe travisato i rispettivi ruoli, concludendo per addebiti di responsabilità imputabili all'altro, secondo i rispettivi punti di vista, va rilevato che l'obbligo di garanzia è attribuito a tutti coloro che intervengono nelle varie fasi dell'attività di aviolancio e che, non trattandosi di attività militare, non è prevista una gerarchia nelle direttive, bensì, come sottolineato dal primo giudice, competenze coordinate che coprono l'intera area della responsabilità per il lancio, oggetto di una precisa regolamentazione dell'attività e delle attribuzioni dettata dalla già richiamata circolare n. 1400/1229 del 1998 approvata dall'Ispettorato delle Armi dell'Esercito, recante l'intestazione norme per lo svolgimento dell'attività aviolancistica dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia (ANPD'I).

Tali aspetti sono stati oggetto di approfondita valutazione, soprattutto nella sentenza di primo grado, che richiamando la citata circolare, ha individuato con precisione le tre figure di garanzia che sovrintendono ai lanci con paracadute emisferico ad apertura automatica di interesse militare: il Direttore di Esercitazione (DE), l'Istruttore paracadutista alla fune di vincolo (IP/FV), il Direttore di lancio alla fune di vincolo (DL/FV).

In sintesi, il DE, coadiuvato dall'IP/FV verifica l'idoneità della zona di lancio, che deve presentare le caratteristiche ivi descritte, tra cui essere (la zona) libera da corsi e specchi d'acqua con caratteristiche a rischio di annegamento; autorizza l'inizio dell'attività aviolancistica esclusivamente dopo aver effettuato le verifiche sopra indicate; decide il rinvio o l'annullamento dell'esercitazione, qualora le condizioni meteorologiche locali non ne consentano l'effettuazione. Il DL/FV è un socio paracadutista, qualificato tramite frequenza di un regolare corso ANPD, è responsabile, per quanto qui rileva, dell'approntamento del personale per l'aviolancio, della determinazione del punto di lancio ed azioni relative, degli interventi imprevisti in situazioni di emergenza.

Nessuna contraddittorietà è, pertanto, rinvenibile nella sentenza, che proprio facendo leva sulle singole attribuzioni, contemplanti obblighi a volte sovrapponibili e a volte integrativi gli uni agli altri, e all'inadempimento degli stessi da parte dei ricorrenti, è pervenuta ad un giudizio di responsabilità di entrambi, facendo corretta applicazione del principio consolidato secondo il quale se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia Neppure appare condivisibile la censura, contenuta nel ricorso del T. (ed in quello dello S.), secondo la quale i giudici di merito non avrebbero tenuto conto, ai fini dell'esonero da responsabilità, della condotta colposa della vittima, che si era presentata al lancio con una preparazione del tutto inadeguata.

Tale censura tralascia di considerare che l'obbligo di garanzia a carico dei soggetti tenuti a salvaguardare la sicurezza del paracadutista non viene meno nella delicata fase finale del lancio, che persiste, con la conseguente responsabilità degli eventi dannosi verificatisi, qualora venga accertato, come nel caso in esame, l'inadempimento degli obblighi connessi alla posizione in questione causalmente ricollegabili all'evento. Deve anzi ritenersi che soprattutto in questa delicatissima fase deve operare l'obbligo di garanzia dei soggetti tenuti a salvaguardare la sicurezza del lancio creando le condizioni che ne consentano l'esecuzione con la maggior tutela possibile dell'incolumità del paracadutista.

In senso diverso, deve affermarsi che tale obbligo viene meno solo quando i titolari dell'obbligo di garanzia abbiano interamente adempiuto agli obblighi derivanti da tale posizione: situazione questa correttamente esclusa dai giudici di merito attraverso l'analitica descrizione della dinamica del sinistro, che ha ben evidenziato le condotte colpose degli imputati, gravemente violative degli obblighi imposti dalla circolare 1400/1229 del 1 giugno 1998 dell'Ispettorato delle Armi dell'Esercito, oltre delle norme di comune cautela.

In sostanza vale anche in questo campo il principio di colpevolezza vigente in tema di reati colposi: la colpa degli organizzatori delle attività aviolancistiche avente carattere sportivo non è esclusa da quella degli aderenti all'attività sportiva, sui quali certamente vige un obbligo di autogaranzia, che non assurge però a causa sufficiente a procurare l'evento ex art. 41 c.p., comma 2, quando sia comunque riconducibile alla violazione degli obblighi di sicurezza gravanti sui titolari della posizione di garanzia.

Tale conclusione è imposta dal rilievo che ciò che viene rimproverato ai titolari della posizione di garanzia e, quindi, può essere posto a fondamento dell'addebito di responsabilità, è proprio la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di incidenti, come quello in esame, mentre nessun rimprovero può essere formulato se la condotta pretesa non poteva considerarsi esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare.

Questa conclusione, a ben vedere, è coerente anche con una corretta lettura del principio di affidamento che governa il fondamento e il riparto delle responsabilità in materia di reati colposi allorquando siano più d'uno i soggetti tenuti ad una determinata condotta (ovvero, che è lo stesso, i titolari di una posizione di garanzia rispetto alla verificazione di eventi dannosi o pericolosi).

Come è noto, alla base di questo principio vi è la considerazione che ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che, di volta in volta, viene in questione. Cosicchè, proprio invocando il principio dell'affidamento, il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, potrebbe andare esente da responsabilità solo quando questo possa ricondursi alla condotta sulla quale il primo abbia fatto legittimo affidamento. Non è, invece, correttamente invocabile il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poichè la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.

In conclusione, devono ritenersi infondate le critiche rivolte dai ricorrenti avverso la sentenza impugnata, giacchè i giudici di merito hanno fornito di adeguata motivazione la loro valutazione.

Ne consegue il rigetto dei ricorsi con la condanna dei ricorrenti ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.

Dall'avvenuta formale revoca di costituzione delle parti civili consegue la revoca delle statuizioni civili.

Diversa è la posizione di S., con riferimento al quale il ricorso è fondato.

La Corte territoriale, condividendo sul punto la valutazione del primo giudice, ha riconosciuto allo S., nella qualità di Istruttore di fune di vincolo, una posizione più defilata nella determinazione dell'incidente rispetto a quella dei coimputati, confermando la pena più mite.

I giudice di merito hanno fatto derivare automaticamente dal ruolo di coadiutore dello S. rispetto al Direttore dell'Esercitazione, gli addebiti omissivi e commissivi per tutti gli aspetti attinenti alla sicurezza, così arrivando illogicamente alla conclusione che lo stesso aveva colposamente aderito alla prassi di effettuare lanci in una zona diversa da quella certificata, come dimostrato dalla sua presenza, dopo il lancio, nel recinto dell'aeroporto in attesa dei paracadutisti.

Inoltre è stato individuato a suo carico un profilo di colpa in eligendo per avere indicato in un volo di principianti un Direttore di Lancio alle primissime esperienze.

Solo il primo giudice, facendo riferimento alla contestazione del PM, ha rilevato un ulteriore profilo di responsabilità a carico dello S., sia pure secondario, per avere omesso di adottare, una volta individuata come zona di lancio una zona distante meno di 500 metri da uno specchio d'acqua, una serie di precauzioni descritte all'art. 16 del regolamento ENAC, tutte dirette a consentire un sistema di sicurezza in caso di ammaraggio.

La motivazione della sentenza impugnata, come sostenuto dal ricorrente, è carente e, sotto taluni profili, manifestamente illogica.

E' carente laddove non si confronta con il dato, emergente dalla richiamata circolare n. 1400/1229 (v., in particolare, il punto 3 dell'allegato C), che evidenzia, come l'IP/FV ha il compito di coadiuvare il DE nelle operazioni di verifica degli aspetti tecnici e inerenti la sicurezza, che secondo il precedente comma 3.b della medesima circolare sono attribuite al DE, il quale, in conformità alla citata circolare, come sopra evidenziato, è il responsabile dell'organizzazione generale della zona di lancio e, in particolare, dell'attuazione di tutte le misure di sicurezza, prescritte e/o ritenute necessarie, per garantire che l'esercitazione aviolancistica sia effettuata in condizioni di sicurezza.

Tale posizione di subordinazione - riconosciuta peraltro anche dal primo giudice - aveva portato il consulente tecnico del PM e della parte civile a sostenere che non rientrava nelle sue responsabilità nè di impedire il lancio nè di garantirne la sicurezza, perchè la responsabilità cadeva esclusivamente sul DE. La valutazione dei consulenti è giuridicamente corretta perchè in alcuna norma si rinviene l'esistenza di un'autonomia decisionale dell'IP/FV rispetto al DE nel valutare l'idoneità della zona di lancio, così che lo S. non aveva altra possibilità che quella di adeguarsi alle direttive del DE. Ed in questo senso, anche il giudice di primo grado, nel differenziare la posizione dello S., rispetto a quelle dei coimputati, ha osservato che l'IP/FV era l'unico che, nei tre minuti precedenti al lancio, non avrebbe più potuto porre in essere un'azione efficace per scongiurare l'evento.

Sotto diverso ed ulteriore profilo l'argomentazione della Corte di merito è altresì manifestamente illogica laddove individua un profilo di colpa in eligendo a carico dello S., per avere nominato quale direttore di lancio in un volo di principianti il T., che nella stessa sentenza è definito persona di esperienza e come tale in grado di rendersi conto che il lancio dei giovani non potesse svolgersi in condizione di sicurezza, in considerazione del vento forte e della zona di atterraggio pericolosa. La manifesta illogicità è ancora più evidente laddove si tenga conto che l'allegato C alla circolare 1400/1229 prevede espressamente che il DL è un socio paracadutista qualificato tramite frequenza di un regolare corso ANPD'I. Anche il profilo di colpa definito dallo stesso primo giudice di natura secondaria (neanche preso in considerazione dal giudice di appello) attinente all'omesso approntamento di una serie di precauzioni dirette a consentire un sistema di sicurezza in caso di ammaraggio, anche a voler prescindere sulla riconducibilità di tale obbligo a carico dell'IP, non è stato sostenuto da alcun giudizio controfattuale positivo sulla efficienza causale della condotta dell'imputato sul verificarsi dell'evento.

Del tutto inconferente deve poi ritenersi il richiamo alla presenza dello S. nel recinto dell'aeroporto in attesa dei paracadutisti, tento conto della brevissimo spazio di tempo (non più di due/tre minuti) tra il decollo e l'effettivo lancio, che ha precluso allo stesso la possibilità di spostamento, come emerge dalla consulenza del PM. Ne deriva, in accoglimento del ricorso, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla posizione dello S. per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.B.M. per non aver commesso il fatto.

Rigetta i ricorsi di T.A. e C.R. e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Revoca le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2016.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza