Bersagliere del 28° RGT muore durante il servizio militare. Ministero della Difesa condonnato al risarcimento: non venne rilevata tempestivamente la malattia (sarcoma pelvico).
Cassazione civile, sez. III, 31/10/2014, (ud. 17/07/2014, dep.31/10/2014), n. 23171
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. RUBINO Lina - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3101-2011 proposto da:
A.P. ((OMISSIS)), D.M.C.
((OMISSIS)) e A.A. ((OMISSIS)),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 9, presso lo
studio dell'avvocato VISCARDI ALESSANDRA, rappresentati e difesi
dagli avvocati VISCARDI ALFONSO, EMILIA GRIMALDI giusta procura
speciale a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DIFESA ((OMISSIS));
- intimato -
nonchè da:
MINISTERO DIFESA ((OMISSIS)), in persona del Ministro p.t.,
domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
- ricorrente incidentale -
contro
A.P. ((OMISSIS)), D.M.C.
((OMISSIS)) e A.A. ((OMISSIS)),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 9, presso lo
studio dell'avvocato ALESSANDRA VISCARDI, rappresentati e difesi
dagli avvocati ALFONSO VISCARDI, EMILIA GRIMALDI giusta procura
speciale a margine del ricorso principale;
- controricorrenti all'incidentale -
avverso la sentenza n. 3580/2009 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI,
depositata il 07/12/2009, R.G.N. 812/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/07/2014 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l'Avvocato ALFONSO VISCARDI; udito l'Avvocato dello Stato
GIANNUZZI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
principale ed il rigetto del ricorso incidentale.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. - A seguito del decesso di A.R., avvenuto il (OMISSIS), durante l'espletamento del servizio di leva obbligatorio ed a causa di gravissima patologia (sarcoma pelvico), i suoi genitori A.P. e D.M.C., in proprio e quali esercenti la potestà sulla minore A.A., convenivano in giudizio - con citazione del 12 giugno 1990 dinanzi al Tribunale di Roma e poi con atto di riassunzione del 6 luglio 1994 davanti al Tribunale di Napoli il Ministero della difesa per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni da essi patiti in conseguenza del predetto evento luttuoso.
L'adito Tribunale di Napoli, con sentenza del marzo 2001, in accoglimento della domanda attorea, condannava il Ministero della difesa al pagamento della somma di L. 440.000.000, oltre interessi.
2. - Il gravame interposto dal soccombente Ministero veniva parzialmente accolto dalla Corte di appello di Napoli che, con sentenza resa pubblica il 7 dicembre 2009, condannava lo stesso Ministero della difesa al pagamento di Euro 50.000, oltre accessori, in favore di ciascuno degli eredi di A.R., mentre respingeva la domanda risarcitoria spiegata in proprio dai medesimi A.P., D.M.C. ed A.A. (nel frattempo divenuta maggiorenne).
2.1. - La Corte territoriale riteneva, anzitutto, che fosse rituale la disposta integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ., nei confronti di A.A., a seguito della nullità della prima notificazione (non sanabile ex art. 164 cod. proc. civ. nella formulazione successiva alla novella recata dalla L. n. 353 del 1990, essendo il giudizio regolato dal regime precedente) indirizzata ai suoi genitori, in quanto esercenti la relativa potestà, là dove la medesima A. era ormai divenuta maggiorenne.
Ciò perchè, pur non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, sussisteva nella specie un litisconsorzio processuale con inscindibilità della cause, tale da consentire l'applicazione dell'art. 331 cod. proc. civ., posto che l'impugnazione nei confronti di A.P. e D.M. C. era tempestiva ed aveva impedito il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado anche nei confronti di A.A..
Infatti, la domanda di danni spiegata dagli attori era generica ed indifferenziata quanto al petitum ed il Tribunale aveva condannato il Ministero della difesa al pagamento di una somma risarcitoria comprensiva del danno subito dagli attori sia iure successionis, che iure proprio, senza considerare "ciascun attore come parte a se stante", nè individuare "specifiche voci di danno". Sicchè, controvertendosi "di obbligazioni derivanti da un'unica fonte (apparentemente addirittura di un'unica obbligazione) e stante altresì la necessità attuale di distinguere, nell'ambito del dovuto, il preciso ammontare del risarcimento spettante a ciascun parente della vittima sia iure proprio, che iure successionis, le cause cumulativamente proposte contro il Ministero, connesse per il titolo dal quale dipendono", dovevano essere ritenute inscindibili ai sensi e per gli effetti dell'art. 331 cod. proc. civ..
2.2. - Nel merito, la Corte di appello, sulla scorta delle risultanze della espletata c.t.u. medico-legale, riteneva responsabile il Ministero della difesa per la negligenza dei suoi sanitari - sia presso l'infermeria della Caserma del 28^ Battaglioni Bersaglieri di (OMISSIS), che presso l'Ospedale militare del (OMISSIS) - per "non aver tempestivamente rilevato la malattia" (sarcoma pelvico), nonostante "le dimensioni della massa pelvica fossero tali da non potersi non evidenziare anche ad un esame clinico eseguito presso l'infermeria della caserma" e tanto più presso l'Ospedale militare del (OMISSIS). La malattia avrebbe potuto essere rilevata - con visite più accurate ed una estensione del campo di indagine, posto che le condizioni dell' A. non erano migliorate nonostante le cure prescritte - quantomeno nel mese di dicembre 1989, considerato che l'ecografia effettuata il 22 gennaio 1990 aveva accertato la presenza di una massa pelvica "della grandezza di una testa di feto a termine".
2.3. - Tuttavia, la Corte territoriale escludeva che il Ministero fosse responsabile della morte dell' A., posta "l'estrema gravità diagnostica della patologia" - sarcoma di Ewing - che risultava essere, secondo la scienza medica, "uno dei tumori ossei con decorso medio più rapido, di norma inferiore ai sei mesi".
Pertanto, non potendosi ritenere accertato che "sin dalla data della visita di incorporamento, del 28.8.1989, si fossero già manifestati i primi sintomi della grave patologia", con repentino esito mortale, non era dato affermare che l' A. "non avrebbe dovuto essere arruolato nell'esercito, bensì che lo stesso avrebbe dovuto essere anticipatamente congedato, o comunque esonerato dal servizio di leva, per le sue condizioni di salute che, ove correttamente diagnosticate, quanto meno dal mese di dicembre 1989, sicuramente non erano più compatibili con la vita di caserma". Il Ministero della difesa era, dunque, responsabile del danno "alla qualità della vita residua del paziente", avendo l'omissione diagnostica costretto l' A. "a sopportare una sintomatologia algica-invalidante che altrimenti si sarebbe potuta alleviare con una più tempestiva terapia palliativa".
2.4. - La Corte territoriale riteneva, quindi, che spettasse agli attori, in quanto eredi di A.R., il danno non patrimoniale consistito nella sofferenza psicofisica del de cuius, da liquidarsi equitativamente (nella misura di Euro 50.000,00 in favore di ciascuno) in considerazione del tipo ed entità dei sintomi non alleviati e della patologia riscontrata, della giovane età e della condizione esistenziale della vittima stessa, durante lo svolgimento del servizio di leva.
2.5. - Il giudice del gravame escludeva che spettasse agli attori il risarcimento del danno asseritamente patito iure proprio, in assenza di indicazione di "singole voci di danno" e di deduzioni di "specifici pregiudizi di carattere personale, fisici o morali", là dove - come già accertato - non era imputabile alla P.A. la morte del parente, mentre, quanto al danno non patrimoniale "eziologicamente collegato al solo periodo di malattia non correttamente diagnosticata", della durata di "poco più di un mese", non era dato "ipotizzare un danno in re ipsa, nè altro tipo di danno, ricordata l'assoluta aggressività del tumore che ha causato il decesso dell' A. e la limitata incidenza del comportamento dei medici militari sull'andamento e sull'esito letale dello stesso".
Ne conseguiva, infine, che gli attori erano tenuti a restituire le somme percepite in eccedenza in forza della pronuncia di primo grado.
3. - Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso A.P., D.M.C. e A.A., affidando le sorti dell'impugnazione a due motivi.
Ha resistito con controricorso il Ministero della difesa, proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di un motivo, al quale hanno resistito con controricorso i ricorrenti principali.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Con il primo mezzo del ricorso principale di A.P., D.M.C. e A.A. è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 331 e 332 cod. proc. civ..
I ricorrenti, invocando il precedente costituito dalla sentenza n. 15783 del 2005 delle Sezioni Unite civili di questa Corte, sostengono che la sentenza di primo grado sia divenuta irrevocabile nei confronti di A.A., apparendo "una evidente forzatura il ricorso all'art. 331 c.p.c. operato dal giudice di appello nel caso di specie, non vertendosi in tema di cause inscindibili o accessorie".
1.1. - Il motivo è inammissibile.
Esso, per un verso, invoca - a fronte della dedotta violazione di legge - un principio di diritto eccentrico rispetto alla fattispecie concreta, neppure avvedendosi che la stessa Corte territoriale ha preso correttamente le mosse dal dictum della sentenza n. 15783 del 2005 delle Sezioni Unite civili, ritenendo inapplicabile la sanatoria della notificazione ex art. 164 cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dalla L. n. 353 del 1990, ad un giudizio (come quello per cui è causa) in cui non poteva operare la novella legislativa.
Per altro verso, la doglianza è assolutamente generica, in quanto deduce apoditticamente che nella specie non si verterebbe "in tema di cause inscindibili o accessorie", senza però aggredire nello specifico la articolata motivazione in fatto e diritto che sorregge la decisione del giudice di appello (cfr. 2.1. del "Ritenuto in fatto"), sulla quale avrebbe dovuto misurare in concreto l'esistenza, o meno, di una ipotesi di inscindibilità di cause ai sensi dell'art. 331 cod. pro. civ. in presenza di un litisconsorzio ritenuto di natura processuale. E la necessità di una censura specifica e pertinente si palesava al riguardo ancor più rilevante, posto che la decisione della Corte territoriale si presenta consentanea al principio - enunciato da Cass., 6 febbraio 1985, n. 856 - secondo cui "qualora il coniuge superstite, con riguardo al danno derivante dalla morte (per fatto illecito) dell'altro coniuge, proponga azione risarcitoria contro il responsabile, in proprio e quale legale rappresentante dei figli minori rimasti a suo carico, facendo valere il pregiudizio globalmente subito dal consorzio familiare in conseguenza di detto evento, il rapporto risarcitorio viene a profilarsi come unitario, e non come risultante dalla somma di distinti crediti di ciascun componente del nucleo familiare. Tale unitarietà persiste anche quando uno dei figli minori acquisisca, in corso di giudizio, una propria legittimazione processuale per effetto di raggiungimento della maggiore età, sicchè al medesimo va riconosciuta, nel prosieguo del processo, la veste di litisconsorte in causa inscindibile. Ne deriva, in applicazione dell'art. 331 cod. proc. civ., che la tempestiva notificazione dell'atto d'impugnazione al genitore consente la successiva integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio divenuto maggiorenne".
2. - Con il secondo mezzo del medesimo ricorso principale è dedotto "difetto di motivazione".
La Corte territoriale sarebbe incorsa in vizio di motivazione là dove, nonostante avesse accertato la responsabilità dei medici militari nell'omessa tempestiva diagnosi della gravissima malattia di cui era affetto A.R., che lo aveva costretto a sopportare in caserma dolori lancinanti senza cure, ha poi escluso che "una simile consapevolezza, sia durante la malattia che dopo il decesso, non avesse comportato alcun patimento nella madre, nel padre e nella sorella dello sventurato ragazzo".
2.1. - Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, senza incorrere nelle deficienze o aporie argomentative che le vengono imputate, ha adeguatamente motivato sulla esclusione di un danno non patrimoniale iure proprio patito dagli attori (cfr. 2.5. del "Ritenuto in fatto"), mettendo in rilievo anzitutto che, non trattandosi di danno in re ipsa (secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità;
tra le altre, Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), gli attori avevano mancato di allegare "specifici pregiudizi di carattere personale, fisici o morali". Tale rilevata e già decisiva carenza allegatoria non viene neppure fatta oggetto del motivo di ricorso in esame, non curandosi i ricorrenti di sostenere - con il corredo della dovuta previa indicazione del contenuto degli atti processuali pertinenti e della sede processuale dove possano essere reperiti - di aver invece dedotto puntualmente al riguardo. Peraltro, anche l'ulteriore profilo argomentativo (di stretto merito) che esibisce la motivazione della sentenza impugnata - circa la brevissima durata del periodo di malattia non correttamente diagnosticata (poco più di un mese) in rapporto all'assoluta aggressività del tumore e alla limitata incidenza del comportamento dei medici militari sull'andamento e sull'esito letale dello stesso - non viene intrinsecamente criticato dai ricorrenti, i quali insistono nel rivendicare il risarcimento sulla scorta di una propria prospettiva, che il giudice del merito ha plausibilmente - e, dunque, in modo insindacabile - superato.
3. - Con l'unico mezzo del ricorso incidentale è denunciato vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Corte territoriale avrebbe insufficientemente motivato in punto di sussistenza dell'omissione diagnostica dei medici militari della malattia tumorale della quale era affetto l' A. non avendo considerato l'obiezione - specificamente dedotta da esso Ministero - circa l'impossibilità di censurare detta omissione "a fronte di una sintomatologia, accusata dal paziente, e confermata dai testimoni, riferita esclusivamente a dolori di tipo lombosciatalgico non accompagnati da altri segni (quali febbre, disturbi urinari, disturbi dell'alveo, ecc.) che avrebbero potuto far pensare ad altre patologie". Nè era da pretendersi una estensione del campo diagnostico, giacchè l'esame radiografico e quello delle urine dell'11 e 12 gennaio 1990 "avevano evidenziato una marcata scoliosi, atta a render ragione della sintomatologia dolorosa del paziente".
Il giudice del gravame non avrebbe poi motivato affatto in ordine a quali cure palliative avrebbe dovuto essere sottoposto l' A., là dove - come evidenziato dalla relazione medica prodotta da esso Ministero - la gravità delle metastasi era tale da sconsigliare qualsiasi intervento chirurgico e di chemioterapia.
3. - Il motivo è infondato.
Non sussistono, infatti, le carenze motivazionali che il ricorrente in via incidentale imputa alla sentenza della Corte territoriale, la quale, anzitutto, ha tenuto in debito conto i rilievi del c.t.p. del Ministero della difesa, ma li ha plausibilmente disattesi, evidenziando come la diversa sintomatologia accusata dall' A. (dolori persistenti alla gamba destra) non poteva elidere l'accertato carattere negligente della condotta dei medici responsabili, giacchè - a fronte al peggiorare delle condizioni del paziente nonostante le cure prescritte in rapporto alla sintomatologia rilevata - essi non effettuarono nessuna visita accurata, nè allargarono il campo di indagine, pur essendo possibile il riscontro, nel mese di dicembre 1989, di una massa pelvica che soltanto il 22 gennaio 1990 era "della grandezza di una testa di feto a termine".
Quanto, poi, alla doglianza che attiene alla mancata indicazione di quali fossero le cure palliative da somministrare all' A., essa non coglie la portata della ratio decidendi, giacchè insiste sull'impossibilità di rimediare allo stato ormai avanzato e letale del tumore (con interventi chirurgici e chemioterapia), là dove il giudice del merito ha, invece, posto attenzione su terapie volte ad alleviare e controllare il dolore ed il decorso infausto della malattia proprio nel caso di conclamata inefficacia di trattamenti specifici volti a superare la malattia stessa.
4. - Entrambi i ricorsi vanno, quindi, rigettati e la reciproca soccombenza consente di compensare integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra le parti in causa.
PQM
P.Q.M.
LA CORTE rigetta entrambi i ricorsi, principale ed incidentale;
compensa interamente tra le parti in causa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2014
14-08-2016 11:39
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