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Sentenza

Carabiniere libero da servizio esplode per gioco un colpo di arma da fuoco feren...
Carabiniere libero da servizio esplode per gioco un colpo di arma da fuoco ferendo gravamente una persona.
Cass. [ord.], 22-02-2016, n. 3378.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.  Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., la seguente relazione: 1.  Il  29.11.1987         Ar. Pa. , all'epoca dei  fatti  militare dell'Arma  dei  Carabinieri, mentre era libero dal servizio  esplose, ioci  causa, un colpo di arma da fuoco che feri' gravemente     Ba.     Al. . 2.  Al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguiti al fatto sopra riassunto, la vittima ed i suoi genitori convennero dinanzi  al Tribunale di Milano         Ar. Pa.  ed il Ministero della Difesa. 3.  Il  Tribunale  accolse  la  domanda  nei  confronti  di     Ar.      Pa.  e la rigetto' nei confronti del Ministero. La Corte d'appello di Milano, riformando la decisione di primo grado, accolse invece la domanda nei confronti di ambo i convenuti. Per quanto qui ancora rileva, LA Corte d'appello ritenne: - che il diritto degli attori non fosse prescritto; -  che  il  Ministero dovesse rispondere dell'accaduto non  ai  sensi dell'articolo   2049  c.c.,  ma  per  "inadeguata  organizzazione   delle attivita'  dei militari", consistita nel non avere imposto ai  militi l'obbligo  di  depositare le armi in armeria alla fine del  turno  di servigio. 4. La sentenza e' stata impugnata dal Ministero con due motivi. Col  primo  motivo l'amministrazione ricorrente lamenta la violazione dell'articolo   2947  c.c..  Sostiene  che  il  piu'  lungo  termine   di prescrizione,  ivi  previsto nel caso in cui  l'illecito  costituisca reato,  non  poteva  essere  applicato  anche  all'obbligazione   del Ministero  della  Difesa,  in quanto la condotta  illecita  a  questo ascritta  dalla  Corte  d'appello era  del  tutto  diversa  e  scissa rispetto a quella ascritta al convenuto         Ar. Pa. . Col  secondo motivo il Ministero lamenta la violazione dell'articolo 2043 c.c..  Sostiene  che  la Cote d'appello avrebbe errato  nel  ritenere sussistente il requisito della "colpa" a carico del Ministero,  sotto due profili: -  sia  perche'  i  superiori del responsabile  avevano  adottato  le misure,  ed impartito gli ordini, necessari e sufficienti a garantire l'uso in sicurezza delle armi di ordinanza; -  sia  perche', nel sindacare le scelte organizzative dell'Arma,  il Tribunale   si   era   inammissibilmente   ingerito   nelle    scelte discrezionali riservate alla pubblica amministrazione. 5.  Ha esaminato per primo, ai sensi dell'articolo 276 c.p.c., il secondo motivo,  ovvio essendo che, ove si dovesse ritenere insussistente  il diritto al risarcimento, diventerebbe superfluo stabilire se esso sia prescritto o meno. 6. Il secondo motivo di ricorso e' manifestamente fondato. "Colpa",  ai  sensi dell'articolo 2043 c.c., e' deviazione da  una  norma giuridica ovvero, in mancanza, da una regola di comune prudenza. La  Corte  d'appello ha ritenuto che fossero in colpa i superiori  di         Ar. Pa. , per non avere impartito l'ordine di depositare le armi in caserma al termine del servizio. Questa scelta tuttavia non viola ne' norme giuridiche, ne' regole  di comune  prudenza.  Non viola norme giuridiche, perche'  l'obbligo  di scaricare  le armi e depositarle in armeria, all'epoca dei fatti  era imposto  dall'articolo  291  c.c.,  comma  4,  del  Regolamento  Generale dell'Arma  dei  Carabinieri  del 1.12.1963  solo  per  i  Carabinieri alloggiati in caserma e per le armi custodite in caserma. La suddetta scelta dei superiori del responsabile, inoltre, non viola nemmeno norme di comune prudenza, perche' accordare ad un Carabiniere la facolta' di avere con se' l'arma d'ordinanza anche al di fuori del turno  di  servizio,  lungo dall'essere "imprudente",  e'  del  tutto coerente con lo status normativo del militare. I  Carabinieri, infatti, sono agenti di polizia giudiziaria  articolo  57 c.p.p.,  comma 2, lettera (b). Gli agenti di polizia giudiziaria  hanno il  dovere, anche fuori dal servilo, di prendere notizia dei reati ed impedire  che siano portati a conseguente ulteriori (articolo 55  c.p.p., comma 1). Il  Regolamento  Generale dell'Arma dei Carabinieri, vigente  ratione temporis  e gia' ricordato, all'epoca dei fatti imponeva ai militari, anche  fuori  dal servizio, di "tenere una non interrotta  ed  attiva vigilanza",  qualificata addirittura "essenza  della  loro  funzione" (articolo 49). La stessa norma imponeva altresi' ai Carabinieri, al terzo alinea, di "intervenire, ripetesi intervenire, anche quando non siano comandati, se rilevano infrazioni alle leggi". Infine,  l'articolo 56 c.p.c., comma 3, del medesimo Regolamento imponeva ai  Carabinieri  di "essere sempre in condizione di fare  pronto  uso delle  armi",  al  fine  di "non essere sorpresi  dall'iniziativa  di malintenzionati". E'  dunque  del  tutto coerente con un quadro normativo  siffatto  la facolta' accordata dal superiore ad un Carabiniere di portare con se' l'arma  d'ordinanza.  Se,  infatti,  anche  fuori  dal  servizio   il Carabiniere   ha  l'obbligo  (giuridico  e  morale)  di  intervenire, consentirgli   il   possesso  di  un'arma,   lungi   dal   costituire un'imprudenza,   e'  anzi  una  misura  minima  per  garantirgli   di intervenire in sicurezza e con efficacia dissuasiva e deterrente. Ne consegue che la sentenza impugnata, attribuendo la responsabilita' dell'accaduto  al  Ministero, da un lato ha del tutto  trascurato  il suddetto  quadro normativo, qualificando come "colposa" una  condotta al  contrario  coerente col quadro normativo; dall'altro  ha  preteso inammissibilmente di sindacare una scelta discrezionale della p.  a., non illegittima e non violativa del principio del neminem laedere. 6.1.  Le osservazioni che precedono non sono infirmata dal precedente invocato  dalla Corte d'appello a fondamento della propria decisione, ovvero Sez - 3, Sentenza n. 864 del 17/01/2008, Rv. 601258, la  quale confermo'  la  sentenza di merito che aveva ritenuto  sussistente  la responsabilita'  diretta  della P.A. per la  morte  d'un  Carabiniere ausiliario, causata da un colpo di pistola sparato imprudentemente da altro  Carabiniere ausiliario, per indurre il primo a partecipare  ad una  partita  di pallavolo, e ritenuto illecito il comportamento  dei superiori gerarchici del responsabile, per non aver dato le opportune direttive  ed  istruzioni in ordine agli adempimenti  riguardanti  la custodia  e l'uso delle armi alla fine del servizio. Quel precedente, infatti,  per un verso pare avere ad oggetto (la motivazione  non  lo chiarisce) una vicenda avvenuta all'interno della caserma,  e  dunque soggetta  alla previsione gia' ricordata di cui all'articolo 291  c.p.c., comma  4,  del Regolamento dell'Arma dei Carabinieri, che prescriveva giustappunto  lo scarico ed il deposito delle armi; per  altro  verso prescinde  del tutto dal quadro normativo delineato al precedente,  e va pertanto rimeditato e precisato nei sensi ivi esposti. 7. Il primo motivo di ricorso resta assorbito. 8.  Si  propone  pertanto l'accoglimento del ricorso e la  cassazione della  sentenza  impugnata,  con decisione  nel  merito  non  essendo necessari ulteriori accertamenti. 2.  La parte ricorrente ha depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.  Il  Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione, con le precisazioni che seguono. Ritiene,  invece, che le contrarie osservazioni svolte dai ricorrenti nella  propria  memoria,  pur meritevoli di attenzione,  non  possano tuttavia essere condivise. 4.  I  ricorrenti  deducono che correttamente la  sentenza  impugnata avrebbe  affermato la responsabilita' del Ministero (ed  erroneamente la  relazione  preliminare avrebbe ritenuto erronea tale  decisione), perche': (a)  solo  i Carabinieri in servizio devono essere pronti a fare  uso delle armi, e non quelli in licenza; (b)  i Carabinieri liberi dal servizio hanno l'obbligo di intervenire per  reprimere  i  reati, ma cio' non comporta che  abbiano  altresi' l'obbligo di uso delle armi; (c)  il  giudice  ordinario  puo' sempre  sindacare  l'operato  della Pubblica  Amministrazione, quando le scelte discrezionali  di  questa abbiano fornito un contributo causale alla commissione d'un reato; (d)  nel  caso  di specie, l'autore del reato era un "Carabiniere  di leva", e la scelta dei superiori di consentire ad un "Carabiniere  di leva"  di  tenere  con  se  le armi era  di  per  se'  pericolosa  ed avventata. 5. Come accennato, i rilievi che precedono non appaiono decisivi. Nel  caso  di  specie  la  Corte d'appello  doveva  stabilire  se  il Ministero  della  difesa  potesse rispondere  del  reato  di  lesioni colpose  gravissime  commesso  da  un  Carabiniere  che,  fuori   dal servizio,  feri' con un colpo di arma da fuoco la persona contro  cui stava puntando, ioci causa, la sua arma di ordinanza. La Corte d'appello ha ritenuto in facto che: - il militare era stato correttamente ritenuto idoneo al servizio; -  il  militare non aveva manifestato prima del tragico evento alcuna anomalia di comportamento; - il militare era stato sufficientemente addestrato; -  il  militare  aveva gia' frequentato le lezioni di tiro  ed  aveva ricevuto  "puntuali  insegnamenti"  sull'uso  delle  armi  (cosi'  la sentenza impugnata, p. 14). Dopo  aver  accertato  tutto  cio', la Corte  d'appello  tuttavia  ha ritenuto che comunque nel caso di specie sussisteva una colpa  civile del  Ministero,  ravvisabile nella scelta  compiuta  dagli  ufficiali superiori del militare, di tenere con se' l'arma d'ordinanza anziche' depositarla in caserma. Tale  scelta  sarebbe stata colposa, soggiunge la  sentenza,  perche' "non  vi era ragione di consentire ai militari di leva in licenza  di portare con se' la pistola". 6. Questa decisione viola tanto l'articolo 2043 c.c., quanto la normativa di settore, oltre ad essere intrinsecamente contraddittoria. Viola  l'articolo 2043 c.c. e la normativa di settore, oltre che  per  le ragioni gia' esposte nella relazione preliminare, e sopra trascritte, per  la  confusione in cui incorre tra la qualifica di  "militare  di leva" e quella di "Carabiniere ausiliario". La  possibilita' che, all'epoca dei fatti, l'adempimento dell'obbligo di leva potesse essere assolto mediante arruolamento volontario tra i Carabinieri ausiliari, non consente di confondere questi ultimi con i militari di leva. La  figura del Carabiniere ausiliario venne introdotta dal D.Lgt.  25 febbraio  1917,  n.  357, il cui articolo 2, comma 1,  stabiliva  che  "i Carabinieri ausiliari avranno le prerogativa ed assumeranno  tutti  i doveri  dei  Carabinieri effettivi; in caso di futuri  richiami  alle armi delle loro classi e categoria, faranno servizio nell'Arma". Il   successivo  Decreto LegislativoLgt.  9  novembre  1945,  n.  857  (nel  testo risultante  dalle modifiche apportate dalle L. 22 novembre  1961,  n. 1291  e  L. 11 febbraio 1970, n. 56), ferma lasciando l'equiparazione dei doveri tra Carabinieri effettivi e Carabinieri ausiliari, previde la   possibilita'  per  questi  ultimi  del  reclutamento   su   base volontaria. La distinzione tra Carabinieri effettivi ed ausiliari, in virtu'  dell'articolo  2,  lettera (d), del suddetto  Decreto LegislativoLgt.  dipendeva principalmente dal fatto che i primi si obbligavano ad una  ferma  di tre  anni,  i  secondi  per soli 18 mesi, e dal  diverso  trattamento previdenziale e stipendiale. Tra Carabinieri effettivi e carabinieri ausiliari, tuttavia, la legge non poneva alcuna differenza quanto a funzioni, doveri e modalita' di impiego. Il Carabiniere ausiliario dunque non era, come sostenuto dai ricorrenti,   un   "militare  di  leva";  era  un  Carabiniere   che, impegnandosi a prestare servizio per almeno 18 mesi, assolveva in tal modo anche gli obblighi di leva. Tale  differenza e' confermata dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1964,  n.  327, articolo  112  (applicabile ratione temporis al presente caso), il  quale prevedeva  che "il servigio prestato alle armi inferma volontaria  e' considerato valido a tutti gli effetti ai fini dell'adempimento della ferma  di  leva":  previsione dalla quale emerge  con  chiarezza  che arruolarsi  come  Carabiniere ausiliario era  un  modo  di  adempiere l'obbligo  di  leva,  e non che il Carabiniere  ausiliario  fosse  un militare di leva. Nel  caso  di  specie,  e'  la stessa Corte d'appello  a  qualificare l'autore del reato come "Carabiniere ausiliario", e ad affermare  che egli  aveva  terminato il periodo di addestramento  iniziale  di  tre mesi. Da  cio'  consegue che la sentenza, la' dove ravvisa una colpa  della p.a.  per avere consentito "ai militari di leva in licenza" di tenere con  se'  l'arma  d'ordinanza, incorre in un duplice vizio  di  falsa applicazione  della  legge:  sia la'  dove  equipara  il  Carabiniere ausiliario  ad  un  militare  di  leva;  sia,  conseguentemente,  nel ritenere  che  la  comune  prudenza avrebbe  dovuto  sconsigliare  di autorizzare  il  possesso  dell'arma d'ordinanza  ad  un  Carabiniere ausiliario. Infatti,  per  quanto  detto, l'equiparazione  quanto  ai  doveri  di servizio tra Carabinieri effettivi e Carabinieri ausiliari rende  non irragionevole la suddetta autorizzazione, e dunque erronea in iure la statuizione della Corte d'appello. 5.  Il  secondo  motivo del ricorso del Ministero deve dunque  essere accolto. L'accoglimento del ricorso tuttavia rende superflua la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Infatti,  non avendo i controricorrenti proposto ricorso  incidentale condizionato contro le statuizioni della sentenza impugnata  con  cui si  sono  esclusi  altri e diversi profili di  colpa  della  pubblica amministrazione,   si   e'   formato   il   giudicato    in    merito all'insussistenza di essi. Sicche', una volta escluso che la p.a. possa essere ritenuta in colpa per  avere  consentito  ad un carabiniere di tenere  con  se'  l'arma d'ordinanza,  non  resta che rigettare la domanda come  proposta  nei confronti del Ministero. 6. Le spese. L'esito  alterno  della lite e la oggettiva controvertibilita'  della questione  costituiscono  giusti motivi per compensare  integralmente tra  le  parti le spese dell'intero giudizio, ex articolo 92 c.p.c.,  nel testo applicabile ratione temporis.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l'articolo 380 c.p.c.: (-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,  rigetta la domanda proposta da         Ba. Al. ,     Ba.  En.  e         Fa. Ma.  nei confronti del Ministero della Difesa; (-)   compensa  integralmente  tra  le  parti  le  spese  dell'intero giudizio; (-)  da'  atto  che sussistono i presupposti previsti dal  Decreto del Presidente della Repubblica  30 maggio  2002,  n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento  da parte di         Ba. Al. ,      Ba. En.  e         Fa. Ma.   di un  ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello dovuto per l'impugnazione. Cosi'  deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione  Sesta civile della Corte di cassazione, il 11 novembre 2015. Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2016
Avv. Antonino Sugamele

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