Sergente maggiore dell'Esercito dice ad un Ufficiale medico, Ten. Colonnello..... lei è moralmente discutibile, poco professionale e poco etico qui fate delle preferenze per alcuni e per altri no. Figli e parenti di generali vengono trattati in un modo, mentre a me fate questo. Porterò avanti questa cosa e contatterò i giornali per denunciare il sistema.
Cassazione Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.30200 del 15/07/2016 udienza del 25/01/2016, Presidente VECCHIO MASSIMO Relatore BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
SENTENZA sul ricorso proposto da: B.B. N. IL .....avverso la sentenza n. 147/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 10/02/2015 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/01/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO Udito il Procuratore Generale in persona del Dott........che ha concluso per Udito, per la parte civile, l'Avv Udit i difensor Avv. ...La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il Tribunale militare di Roma, con sentenza pronunciata il 26 giugno 2014, condannava alla pena di mesi quattro e giorni dieci di reclusione militare B.B.o, riconosciuto colpevole del reato di insubordinazione con ingiuria e minaccia aggravata e continuata (artt. 81 c.p., 47 n. 2 e 189 commi 1 e 2 c.p.m.p.) perché, quale sergente maggiore dell'esercito, indirizzava al ten. col. med. M.F., alla presenza di altro personale, la seguente frase: ".... lei è moralmente discutibile, poco professionale e poco etico qui fate delle preferenze per alcuni e per altri no. Figli e parenti di generali vengono trattati in un modo, mentre a me fate questo. Porterò avanti questa cosa e contatterò i giornali per denunciare il sistema ...." (capo A) della rubrica). Con la stessa sentenza il tribunale dichiarava improcedibile l'azione penale militare in ordine al reato di diffamazione contestato al capo B) della rubrica giacchè esclusa l'aggravante, inizialmente contestata, di cui all'art. 227 co. 2 c.p.m.p., per esso rilevando il difetto della richiesta di procedimento. A sostegno della decisione il giudice di prime cure poneva le testimonianze del M., nel frattempo costituitasi p.c., e di C.F., cpl. magg. presente ai fatti, e concludeva nel senso che l'espressione contestata, nella sua prima parte e con esclusione pertanto della minaccia di contattare i giornali considerata priva di rilevanza penale, integrava ogni requisito oggettivo e soggettivo del reato contestato. 2. Avverso tale decisione proponeva impugnazione l'imputato e la Corte militare di appello, con sentenza deliberata il 10 febbraio 2015, in parziale riforma di essa assolveva l'imputato dal reato di insubordinazione con minaccia e per l'effetto, esclusa la continuazione, dichiarava la colpevolezza del prevenuto in ordine al reato di insubordinazione con ingiuria aggravata, riducendo la pena a mesi uno di reclusione militare e condannandolo al pagamento delle spese processuali in favore della p.c.. La corte territoriale, dopo aver rilevato discrepanze tra dispositivo e motivazione nella sentenza di primo grado là dove, dopo aver escluso la condotta minacciosa inizialmente contestata e dopo aver determinato la sanzione in mesi quattro, non aveva poi provveduto in tali sensi dappoichè, per un verso, non assolto l'imputato dalla minaccia ed indicata, per altro verso, una pena diversa da quella argomentata in premessa, confermava il giudizio di colpevolezza del prevenuto già espresso dal Tribunale. La corte inoltre, preso atto dei motivi di gravame, escludeva che la frase incriminata potesse essere considerata espressione di un legittimo diritto di critica (art. 51 c.p.) ovvero che l'imputata avesse agito, in seguito a false informazioni di camerata, nell'erroneo convincimento di essere vittima di una disparità di trattamento (art. 59 c.p.). 3. Ricorre per cassazione l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado sulla base di tre motivi di impugnazione, con i quali ne denuncia la illegittimità per violazione di legge e vizio della motivazione (primo e secondo motivo), chiedendo nel contempo (terzo motivo) l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. di recente introduzione, attesa, ad avviso della difesa stessa, la particolare tenuità del fatto. 3.1 Argomenta e deduce, in particolare, la difesa ricorrente quanto ai primi due motivi, unitariamente trattati: occorre distinguere, nella frase riferita all'imputato e di cui alla contestazione, la parte riferita alla scarsa professionalità del superiore da quella invece riferita alla mancanza di etica, fondata, quest'ultima, sulla supposta diversità di trattamento operata dalla p.o. nell'espletamento della sua attività sanitaria militare; quanto alla prima parte infatti vertesi in ipotesi rappresentativa di una libera manifestazione del pensiero critico, di contenuto valutativo e censorio, privo di profili volgari e di turpiloquio, tanto tenuto conto della contestualizzazione della condotta; secondo superiore insegnamento critiche di scarsa professionalità non costituiscono superamento del limite della continenza se affidate ad espressioni non insultanti; quanto invece alle frasi relative alla correttezza professionale del sanitario per presunte disparità di trattamento in relazione a casi simili, la condotta dell'imputato deve essere scriminata ai sensi dell'art. 59 uu:› c.p., giacchè lo stesso agì nella convinzione che il sanitario stesse tenendo un comportamento discriminatorio nei suoi confronti e questo sulla base di un errore scusabile; l'imputato aveva infatti acquisito false informazioni dai commilitoni ed era quindi fermamente convinto che il ten. col. Massaria non agisse in maniera moralmente condivisibile; ricorre nella fattispecie, pertanto, una causa di giustificazione in relazione alla quale, in costanza di una situazione di incertezza, deve il giudice provvedere all'assoluzione dell'imputato ex art. 530 c.p.p., come da superiore insegnamento. 3.2 Col terzo motivo di impugnazione domanda, la difesa ricorrente, la riconduzione del fatto alla ipotesi di particolare tenuità di cui all'art. 131-bis c.p., possibile in sede di legittimità, tenuto conto che lo stesso giudice territoriale ha applicato alla fattispecie il minimo edittale della pena, riconoscendo in favore del prevenuto un particolare stato emotivo giacchè la prova alla quale si stava sottoponendo, atteso il suo stato di obesità, avrebbe potuto portare alla perdita del lavoro. 4. Il ricorso non può trovare ingresso. 4.1 Giova ribadire che la tesi difensiva, dati per non contestati i fatti di causa, propugna la distinzione, nella complessiva frase contestata all'imputato, di due parti distinte, la prima, riferita alla critica relativa alla professionalità dell'ufficiale medico ("lei è poco professionale"), l'altra viceversa riferita alla correttezza professionale del medesimo ("lei è moralmente discutibile .... e poco etico"). Tale distinzione consente poi alla difesa di rilevare che la prima espressione integra una critica legittima, ad esprimere la quale l'imputato aveva diritto, di guisa che si verterebbe nell'ambito della esimente di cui all'art. 51 c.p., atteso altresì che essa non risulta formulata con espressioni ingiuriose e scorrette. In relazione invece alla parte residua della espressione verbale contestata, ricorrerebbe per la difesa un errore scusabile, posto che l'imputato, mal informato dai commilitoni, al momento del fatto era fermamente convinto che l'ufficiale medico si comportasse in maniera scorretta, venendo meno ai suoi doveri istituzionali al fine di favorire taluno (nello specifico l'imputato sarebbe stato convinto che la p.l. avesse favorito il mar. ord. M.A.M.). 3 La tesi difensiva non può essere condivisa. Va in primo luogo rammentato che, ai sensi dell'art. 189 c.p.m.p., co. 2, "il militare che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un superiore in sua presenza, è punito " Orbene, atteso il tenore della fattispecie tipizzata, non può non convenirsi con la conclusione, fatta propria dai giudici territoriali, che accusare l'ufficiale medico di scarsa professionalità, di poca eticità e di scarsa moralità nell'esercizio delle sue funzioni di istituto, integri offesa al prestigio, all'onorabilità ed alla dignità professionale del superiore, giacché espressioni verbali, quelle contestate, oggettivamente ingiuriose, sostanzialmente idonee a squalificare le qualità morali di ogni persona ed in particolare, con valenza di maggiore incisività, quelle di chi, come la parte offesa convolta nel caso concreto, ha il dovere istituzionale di essere, nello svolgimento del suo lavoro, moralmente ed eticamente irreprensibile. La difesa ricorrente, come ampiamente innanzi evidenziato, invoca l'applicazione in favore dell'imputato della esimente dell'esercizio del diritto di critica, da una parte, e l'applicazione della disciplina di favore di cui all'art. 59 c.p., dall'altra. Ritiene al riguardo il Collegio che non possa convenirsi sulla valutazione parcellizzata della frase incriminata, da una parte la critica professionale, dall'altra quella fondata su un errore scusabile, giacchè le accuse formulate dall'imputato si appalesano unitarie sia perché inserite nel medesimo contesto di tempo e di luogo, sia perché affidate ad un'unica frase, di per sé breve e concisa, di guisa che il rilievo di scarsa professionalità è, all'evidenza, collegato dallo stesso proferente al difetto etico e morale del quale l'interlocutore era per lo stesso portatore. Né può essere presa in considerazione, come difensivamente sostenuto, la disciplina di favore di cui all'art. 59 c.p., comma 4, giacché l'errore scusabile escludente il dolo del reato nel quale il prevenuto assume di essere incorso, è disciplinato da una norma diversa, quella di cui all'art. 47 c.p., mentre la norma difensivamente invocata fa riferimento all'errore su circostanze che escludono la pena e cioè quelle previste dagli artt. 50 e 54 c.p., nessuna delle quali rappresentata dalla difesa ricorrente ad esclusione di quella relativa, appunto, al diritto di critica, come innanzi spiegato, non applicabile alla fattispecie concreta. Appare infine utile evidenziare, ad ogni buon conto, che le informazioni non veritiere raccolte presso i commilitoni poste a causa del comportamento contestato, a parte ogni altra considerazione sul fondamento giuridico della tesi difensiva appena espressa, è dato fattuale meramente affermato dall'imputato ma per nulla acquisito al quadro probatorio formatosi nel processo, come puntualmente rilevato dalla corte territoriale. 4.2 Quanto, infine, all'applicabilità al caso in esame della disciplina di recente introduzione di cui all'art. 131-bis c.p., giova partire dal dato normativo che, testualmente recita al primo comma: "Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". Sull'applicabilità della norma nel giudizio di legittimità e sulle relative condizioni ha di recente preso posizione la Corte, affermando i seguenti principi di diritto: "la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto può essere applicata nel giudizio di legittimità con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ogniqualvolta emerga, dal contenuto di quest'ultima, la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l'operatività dell'istituto previsto dall'art. 131 bis cod. pen., nonchè un apprezzamento del giudice di merito coerente con tale soluzione (Cass., Sez. 6, n. 44683 del 15/09/2015, Rv. 265114); "l'esclusione della particolare tenuità del fatto è compatibile con l'irrogazione del minimo della pena, atteso che l'art.131-bis cod. pen. può trovare applicazione solo qualora, in virtù del principio di proporzionalità, la pena in concreto applicabile risulterebbe inferiore al minimo edittale, determinato tenendo conto delle eventuali circostanze attenuanti" (Cass., Sez. 6, n. 44417 del 22/10/2015, Rv. 265065). Il Collegio concorda col primo dei principi detti, mentre in riferimento al rapporto tra pena in concreto inflitta dal giudice di merito ed applicabilità in sede di legittimità della causa di non punibilità in argomento, osserva che, pur costituendo essa criterio )), apprezzabile ed utile ai fini di delibare se in quella sede il giudicante abbia ritenuto la ricorrenza della ipotesi di legge, a tal fine si imponga in ogni caso la valutazione del caso concreto e la valutazione del fatto a tali fini desumibile dalla sentenza impugnata. Nel caso in esame pur in costanza di una pena inflitta pari al minimo edittale (art. 189 c.p.m.p., co. 2, in relazione all'art. 26 c.p.m.p., co. 1) ritiene il Collegio che proprio le "modalità della condotta", inserite in un contesto di regole militari inopinatamente rifiutate dall'imputato, e "la entità del danno", la contestazione della buona fede e della correttezza professionale di un pubblico ufficiale incaricato di accertamenti di apprezzabile importanza quali la idoneità fisica del personale militare allo svolgimento di funzioni pubblico interesse, tali dovendosi ritenere quelle affidate alle Forze Militari, impediscano il riconoscimento invocato, tenuto conto della valorizzazione di tali dati di fatto desumibile dalla sentenza impugnata. 5. Il conclusione: il ricorso va rigettato ed ai sensi dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. L'esito del giudizio impone altresì l'accoglimento delle conclusioni formulate dalla, parte civile costituita, in favore della quale, liquidate come da dispositivo, vanno riconosciute le spese processuali relative al presente grado di giudizio. la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione a favore della p.c. delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Auro 3000,00 (tremila) oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma, addì 25 gennaio 2016 Il cons. est. Il Presidente
14-11-2016 23:00
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