Sottufficiale della Marina Militare detiene nel proprio pc portatile materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - Consigliere -
Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere -
Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 3/4/2014della Corte d'appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 aprile 2014 la Corte d'appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di La Spezia del 23 maggio 2012, che aveva condannato M.F. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa per il reato di cui all'art. 600 quater c.p., comma 1, (per avere detenuto nel proprio personal computer portatile materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18).
1.1. Ha ritenuto la Corte d'appello sussistente la consapevolezza in capo all'imputato della detenzione nel proprio personal computer di file di contenuto pedopornografico, sia per avere lo stesso utilizzato un software assai sofisticato (denominato BCWipe) per cercare di eliminare dall'hard disk del proprio personal computer i files pedopornografici che utilizzava, sia sulla base dei risultati delle indagini svolte dalla polizia postale in operazione di contrasto sotto copertura e della accertata visione da parte dell'imputato del medesimo filmato (di pratiche sessuali esplicite) per ventisei volte.
Ha ritenuto, inoltre, la Corte d'appello irrilevante il tentativo dell'imputato di cancellazione del materiale, non idoneo ad escludere la volontà di acquisire le immagini e detenerle, quanto meno per il tempo necessario per vederle per ventisei volte.
1.2. Ha escluso, inoltre, la Corte d'appello la sussistenza di elementi positivi per poter riconoscere all'imputato le attenuanti generiche, negando la rilevanza della mancanza di precedenti e della professione dell'imputato (sottufficiale della Marina Militare).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per l'annullamento della stessa l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato violazione di norme processuali (art. 606 c.p.p., lett. c), per avere la Corte d'appello fondato la propria decisione anche sulle risultanze delle indagini svolte dalla polizia postale sotto copertura, che non erano, invece, state utilizzate dal primo giudice, con la conseguente violazione da parte del giudice di secondo grado degli artt. 597 e 521 c.p.p..
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato contraddittorietà ed illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) ed errata applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all'art. 600 quater c.p., ritenendo errata la decisione della Corte d'appello in ordine alla consapevolezza da parte dell'imputato della detenzione di materiale pedopornografico, dovendo la detenzione accertata essere ritenuta solo momentanea o comunque accidentale.
Nel corso delle indagini preliminari il consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero non era, infatti, stato in grado di accertare le modalità di acquisizione del filmato, avendo solamente potuto riferire che le immagini pornografiche derivavano da attività di navigazione di siti internet, salvate in modo automatico all'interno dell'hard disk del personal computer dell'imputato, con la conseguenza che non era stato accertato se la riproduzione di tali immagini fosse conseguenza di una ripetuta visione o fosse attribuibile ad altra causa rimasta sconosciuta o ad un fatto involontario.
Inoltre tutte le immagini contenute nell'hard disk del medesimo personal computer erano inaccessibili dall'utente ed era stato possibile riscontrane la presenza solo attraverso una complessa attività di ricostruzione svolta dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, con la conseguenza che doveva esserne esclusa la effettiva disponibilità in capo all'imputato, e dunque anche la sussistenza del reato contestatogli, non essendo suscettibili di visione i filmati in questione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile, in ragione della manifesta infondatezza del primo motivo e della inammissibilità del secondo.
2. Quanto al primo motivo, con il quale il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione di norme processuali, per avere la Corte d'appello fondato la propria decisione anche sulle risultanze delle indagini svolte dalla polizia postale sotto copertura, che non sarebbero, invece, state utilizzate dal primo giudice, con la conseguente violazione da parte del giudice di secondo grado degli artt. 597 e 521 c.p.p., deve rilevarsi che tale censura risulta manifestamente infondata, sia perchè la decisione impugnata si fonda, in modo logico e coerente, anche su altri elementi, idonei dì per se soli a sorreggere la decisione di condanna (tra cui le risultanze della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero e le stesse ammissioni dell'imputato, che non ha negato, neppure nel ricorso per cassazione, di aver visionato i filmati di contenuto pornografico per ventisei volte); sia perchè l'utilizzo di elementi di prova non utilizzati dal primo giudice non determina violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, di cui è ravvisabile la violazione solo quando il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, nè consenta di ricavarli in via induttiva (Sez. 6^, Sentenza n. 10140 del 18/02/2015, Rv. 262802).
Nella specie la Corte d'appello ha ritenuto accertata la (sin dall'origine) contestata detenzione di materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, senza alcuna modificazione della originaria contestazione, fondando tale accertamento sugli accertamenti tecnici espletati, dando solamente atto delle modalità mediante le quali era stato individuato l'imputato come possibile detentore di materiale di tal genere, ossia delle indagini svolte dalla polizia postale sotto copertura, senza, dunque, alcuna modificazione della originaria contestazione, nè utilizzo di prove non ritualmente acquisite, posto che il giudizio di primo grado si era svolto nella forma del rito abbreviato.
Deve, pertanto, escludersi qualsiasi violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza o utilizzo di prove non ritualmente acquisite, con la conseguente manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.
3. Quanto al secondo motivo, mediante il quale il ricorrente ha lamentato contraddittorietà ed illogicità della motivazione ed errata applicazione della legge penale in relazione all'art. 600 quater c.p., per l'errata valutazione della Corte d'appello circa la propria consapevolezza della detenzione di materiale pedopornografico, dovendo la detenzione accertata essere ritenuta solo momentanea o comunque accidentale, deve rilevarsi che le censure del ricorrente investono solamente la ricostruzione fattuale della vicenda, ed in particolare della detenzione del materiale pedopornografico da parte dell'imputato, effettuata dalla Corte d'appello.
3.1. Il giudice di secondo grado, infatti, nella sentenza impugnata ha dato conto, in modo chiaro e coerente, delle ragioni di fatto poste a fondamento della decisione e, soprattutto, degli elementi che lo hanno condotto a ritenere accertata l'acquisizione e la detenzione da parte dell'imputato del filmato oggetto della contestazione (quanto meno per il tempo necessario a visionare tale filmato, per ventisei volte, dunque per un tempo non irrilevante, tale da consentirne accertata anche la detenzione), consistenti soprattutto nelle risultanze della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero sul personal computer in uso al ricorrente.
Quest'ultimo nel suo ricorso si è limitato a censurare tale accertamento sotto il profilo fattuale, denunciando contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed errata applicazione della legge penale, per l'errata valutazione delle risultanze della consulenza tecnica, circa le effettive modalità di acquisizione delle immagini (che non sarebbero state compiutamente e chiaramente accertate) ed in ordine alla effettiva e consapevole disponibilità delle immagini di contenuto pornografico da parte dell'imputato, senza tuttavia individuare vizi specifici della motivazione che ne intacchino la intrinseca coerenza strutturale e logicità.
Mediante il ricorso per cassazione non sono, infatti, deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali e tali da imporre una diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6^, Sentenza n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Ne consegue l'inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso, diretto a conseguire una diversa lettura delle risultanze della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, senza tuttavia individuare mancanze della motivazione, o contraddittorietà della stessa su aspetti essenziali, ma volto, invece, ad evidenziare ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti circa la valenza probatoria della suddetta consulenza tecnica.
4. In conclusione il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2015
23-01-2016 00:12
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