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Sentenza

L'indagato è imputato di istigazione alla corruzione per aver offerto ad un mare...
L'indagato è imputato di istigazione alla corruzione per aver offerto ad un maresciallo dei Carabinieri l'utilità non dovuta del prolungamento del suo soggiorno presso un residence, al fine di indurlo a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio e precisamente a svolgere indagini circa la presenza nel medesimo residence di un soggetto e di altre due persone a lei vicine.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-02-2017) 28-02-2017, n. 9993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Presidente -
Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -
Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nei confronti di:
B.R., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza in data 11/10/2016 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;
udita il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Dott. ROSSI Agnello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi, per l'indagato, gli avvocati Ingroia Antonio e Lattanzi Fabio, che hanno chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Con ordinanza emessa in data 11 ottobre 2016, il Tribunale di Palermo, pronunciando sull'istanza di riesame presentata da B.R., per quanto specificamente di interesse in questa sede, ha annullato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo aveva applicato al medesimo la misura degli arresti domiciliari per il reato di istigazione alla corruzione.
L'ordinanza impugnata ha ad oggetto una complessa vicenda, in relazione alla quale sono stati addebitati al B., oltre al reato di istigazione alla corruzione, anche i reati di calunnia, di atti persecutori e di falsificazione del contenuto di comunicazioni telefoniche commessi in danno, in particolare, di G.V., al fine di farla licenziare da una società a lui riferibile e di indurla ad abortire o a rinunciare a far riconoscere da lui il figlio di cui era in attesa; per questi ulteriori reati il Tribunale del riesame ha sostituito alla misura degli arresti domiciliari, applicata dal G.i.p., quella dell'obbligo di dimora nel comune di Milano, con contestuale applicazione del divieto temporaneo di ricoprire uffici direttivi all'interno di due società per la durata di dodici mesi. Il medesimo G.i.p., peraltro, in data 29 settembre 2016, aveva già sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella poi disposta dal Tribunale in sede di riesame per tutti i reati per cui si procede, ivi compreso quello di cui all'art. 322 c.p.. Il reato di istigazione alla corruzione è stato contestato all'indagato per aver offerto al maresciallo dei Carabinieri C.S. l'utilità non dovuta del prolungamento del suo soggiorno presso il residence "(OMISSIS)" sito in (OMISSIS), al fine di indurlo a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio e precisamente a svolgere indagini circa la presenza nel medesimo residence di G.V. e di alte due persone a lei vicine.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, nella parte in cui ha annullato il provvedimento applicativo della misura degli arresti domiciliari per il reato di istigazione alla corruzione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, formulando due motivi, sviluppati congiuntamente, con i quali si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 322 c.p., comma 2, e art. 273 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla esclusione dei gravi indizi di colpevolezza.
Si premette che il provvedimento impugnato ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, osservando che: a) il maresciallo si sarebbe offerto di sua iniziativa di indagare; b) l'offerta era consistita non in indagini propriamente dette, ma nel "dare un'occhiata in giro"; c) nessuna utilità che non fosse stata già concessa dai gestori del villaggio turistico era stata offerta dal B. al maresciallo; d) in ogni caso, non costituiva utilità l'agevolazione nell'uso di una camera di appoggio prima della partenza. Si deduce, in contrario, che: a) è irrilevante se l'iniziativa di "indagare" sia stata presa dal maresciallo, anche perchè questi è stato "stimolato" dall'informazione ricevuta dal B., il quale si è mostrato non pago di quanto già appreso aliunde; b) l'attività svolta dal militare  era propriamente una "indagine non consentita", sia perchè ogni accertamento in ordine ai rapporti tra il B., la G. e le persone vicine alla G. era stato avocato dall'organo gerarchicamente superiore, e, quindi, le verifiche da eseguire interferivano con investigazioni ancora in corso, gestite da altri ufficiali di polizia giudiziaria, sia perchè il carabiniere risulta aver fornito in più occasioni notizie coperte da segreto investigativo al B.; c) l'utilità, consistita nell'offerta di intervenire "per qualunque necessità" connessa al prolungamento del soggiorno del maresciallo nel villaggio turistico, costituisce utilità giuridicamente apprezzabile, anche perchè inserita in "un quadro di scambio reciproco di favori" tra il  militare e l'indagato.
3. Il ricorso espone censure diverse da quelle consentite in sede di legittimità.
Le valutazioni del Tribunale, che hanno escluso, in fatto, la sussistenza tanto di una richiesta avente ad oggetto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, o anche solo di atti di ufficio, quanto di una "utilità" da offrire o promettere a tal fine, sono sicuramente corrette. L'ordinanza impugnata, infatti, ha riportato dettagliatamente il contenuto della conversazione intercettata indicata dal Pubblico ministero a sostegno delle sue richieste ed ha poi operato in modo analitico l'individuazione del significato della stessa, ricorrendo a criteri immuni da vizi logici o giuridici. Alla luce di tali profili, le censure esposte dal ricorrente, quindi, si presentano, in sostanza, come la richiesta di una lettura alternativa dei fatti in contestazione, non consentita in sede di legittimità.
4. Alla proposizione di censure diverse da quelle consentite segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Tuttavia, trattandosi di parte pubblica ricorrente, in considerazione di quanto previsto dall'art. 616 c.p.p., non si dispone condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Motivazione semplificata.
Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2017
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2017.
Avv. Antonino Sugamele

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