Maresciallo dice al Caporale che arriva in ritardo: Ti prendo a testate. Non luogo a procedere del Gup. La Cassazione annulla con rinvio.
SENTENZA sul ricorso proposto dal PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE MILITARE DI APPELLO nei confronti di: M. L. nato il .... a T. avverso la sentenza del 06/10/2016 del GUP PRESSO TRIB. MILITARE di VERONA sentita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI; sentite le conclusioni del PG LUIGI MARIA FLAMINI che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata I
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale Militare di Verona dichiarava non doversi procedere nei confronti di M. L. in ordine al reato di minaccia ad un inferiore aggravata (artt. 47, n. 4 e 196 comma 1 c.p.m.p.) perché il fatto non costituisce reato. Secondo il Giudice, i fatti erano stati accertati e, del resto, non erano contestati dalla difesa; emergeva peraltro che l'imputato, nel pronunciare le frasi minacciose nei confronti del sottoposto, intendeva rimproverarlo per essere arrivato in ritardo e aver mentito sui motivi. Nessuno dei testimoni aveva ritenuto la frase minacciosa, nel senso che, benché il Maresciallo M. avesse detto che avrebbe "preso a testate" il Caporale A., nessuno aveva immaginato che l'imputato avesse realmente intenzione di fare del male all'inferiore o che volesse intimidirlo facendogli apparire plausibile una azione violenta. In definitiva, secondo il Giudice, l'imputato aveva agito con l'intenzione di adempiere ai suoi doveri di istruttore militare; i limiti di tale dovere erano stati superati, ma ciò aveva esclusivamente rilievo disciplinare; si trattava, quindi, di eccesso colposo dell'adempimento del dovere.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte Militare d'appello, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato era sufficiente che la frase minacciosa fosse stata pronunciata con coscienza e volontà, trattandosi di delitto a dolo generico; l'ulteriore intenzione dell'agente non rilevava per la sussistenza del dolo; la decisione, ammettendo testualmente che il giusto disappunto di un superiore possa sfociare nella minaccia di un male fisico ingiusto nei confronti dell'inferiore, legittimava l'abuso del grado nei confronti dell'inferiore. In sostanza, in forza di una ormai superata "contestualizzazione militare" della condotta, era stata valorizzata in chiave favorevole l'aggressività dell'imputato. Il ricorrente, ancora, sottolinea l'impossibilità di configurare un eccesso colposo nell'adempimento del dovere che, infatti, non era stato specificato sotto quale profilo si presentasse. Il ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
3. L'imputato L. M. ha depositato memoria con la quale conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato e comporta l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. La sentenza giunge al proscioglimento dell'imputato sulla base di due motivi: la sussistenza di un eccesso colposo nell'adempimento del dovere da parte dell'imputato e l'inidoneità della frase pronunciata ad essere percepita come minaccia dalla persona offesa. 2. La prospettazione dell'eccesso colposo nell'adempimento del dovere appare certamente fuori luogo: in primo luogo perché la condotta minacciosa fu volontaria e niente affatto colposa (esattamente il P.G. ricorrente sottolinea che la sentenza non tenta nemmeno di chiarire il tipo di colpa ipotizzata); secondariamente perché il Giudice confonde l'adempimento del dovere con lo svolgimento della funzione assegnata all'agente. In effetti, la funzione di istruttore svolta dal Maresciallo M.i non rendeva ogni sua azione una condotta svolta in "adempimento del dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità": la scriminante può trovare applicazione soltanto con riferimento ad uno specifico obbligo giuridico gravante sul soggetto, mancante nel caso in esame. 3. Il secondo motivo di proscioglimento, invece, deve essere valutato alla luce dei limiti del Giudice dell'Udienza preliminare nell'analisi delle prove orali. In effetti, il Giudice ha ricavato la "non particolare carica intimidatoria" della frase pronunciata dall'imputato sulla base delle "impressioni" dei testimoni ("Alcuni dei testimoni sottolineano che il tono dell'imputato era serio e arrabbiato, nessuno tuttavia asserisce che la sua frase fosse realmente minacciosa, cioè che fosse immaginabile che l'imputato avesse realmente intenzione di fare del male fisicamente alla persona offesa o che egli volesse realmente prospettargli questa eventualità come plausibile, per intimidirlo"); inoltre, la sentenza seleziona alcune testimonianze ("la maggior parte dei testimoni riporta la circostanza - dell'avere l'inferiore mentito sulla causa del ritardo"), tralasciando quella della persona offesa. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la sentenza di non luogo a procedere è una sentenza di merito su di un aspetto processuale, in cui il giudice dell'udienza preliminare non è chiamato a valutare la fondatezza dell'accusa, bensì la capacità degli elementi posti a sostegno della richiesta di cui all'art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai sensi degli artt. 421 bis e 422 cod. proc. pen., di dimostrare la sussistenza di una "minima probabilità" che, all'esito del dibattimento, possa essere affermata la colpevolezza dell'imputato. La valutazione del giudice dei dati probatori è finalizzata a verificare l'esistenza di un livello "serio" di fondatezza delle accuse, ma restano escluse da tale sindacato quelle letture degli atti di indagine o delle prove connotate da un significato "aperto" o "alternativo", suscettibile, dunque, di diversa interpretazione da parte del giudice del dibattimento (Sez. 6, n. 17385 del 24/02/2016 - dep. 27/04/2016, P.G. e P.M. in proc. Tali e altri, Rv. 267074); il Giudice deve limitarsi a verificare se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al giudice naturale (Sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014 - dep. 12/02/2014, Pmt in proc. Luchi e altri, Rv. 258806). Infatti, il giudice non può procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell'imputato (Sez. 2, n. 48831 del 14/11/2013 - dep. 05/12/2013, Pg in proc. Maida, Rv. 25764501). Si tratta proprio dell'operazione compiuta dal G.U.P. nel caso di specie: con una selezione delle prove orali disponibili e la loro valutazione approfondita (giunta fino alle "impressioni" dei dichiaranti), senza alcuna verifica della possibilità che il giudice del dibattimento, dopo avere escusso direttamente i testimoni, potesse diversamente interpretare il complesso delle prove orali. 4. Infine, sussiste la possibilità di qualificare diversamente la condotta come ingiuria militare: ma- questa Corte ha ripetutamente affermato che deve essere annullata con rinvio la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal G.U.P. all'esito dell'udienza preliminare con riferimento all'imputazione elevata dal pubblico ministero, qualora i medesimi fatti siano diversamente qualificabili in altra ipotesi di reato per la quale sussistono i presupposti per il rinvio a giudizio, dal momento che il giudice, nell'assumere i provvedimenti conclusivi di cui all'art. 424 cod. proc. pen., può conferire al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica (Sez. 5, n. 42996 del 14/09/2016 - dep. 12/10/2016, P.M., P.C. in proc. Ciancio Sanfilippo, Rv. 268202). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio.
02-06-2017 18:15
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