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Sentenza

Ufficiali della Marina in servizio presso l’Infermeria autonoma della Marina mil...
Ufficiali della Marina in servizio presso l’Infermeria autonoma della Marina militare accusati di avere distratto somme di denaro di cui avevano la disponibilità, attraverso ordini di pagamento di prestazioni fisioterapiche inesistenti o comunque indebite perché non autorizzate o non suscettibili di autorizzazione.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

composta dai seguenti magistrati:

Luciano calamaro Presidente
Angela silveri Consigliere
Piero FLOREANI Consigliere relatore

Daniela acanfora Consigliere

Francesca padula Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio sull'appello iscritto al n. 44523 del registro di segreteria proposto da S.D.L., rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Miraglia,

contro

la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Lazio

avverso la sentenza della Sezione 30 maggio 2012 n. 566;

Visto l'atto introduttivo del giudizio e le conclusioni del Procuratore generale rassegnate con atto del 21 settembre 2016;

Visti gli altri atti e documenti di causa;

Uditi, all'udienza pubblica del 13 ottobre 2016, il consigliere relatore Piero Floreani, l'avv. Francesco Miraglia, per l'appellante, ed il Pubblico Ministero in persona del vice procuratore generale Francesco Lombardo;

Ritenuto in

FATTO

La Sezione territoriale con la sentenza in epigrafe si è pronunciata in ordine all'azione di danno proposta in confronto di S.D.L. e di A.E., perché, nella qualità di ufficiali della Marina militare , in servizio presso l'Infermeria autonoma della Marina militare (MARINFERM), avevano distratto somme di denaro di cui avevano la disponibilità, attraverso ordini di pagamento di prestazioni fisioterapiche inesistenti o comunque indebite perché non autorizzate o non suscettibili di autorizzazione. La Sezione ha disposto la condanna dei convenuti al pagamento della somma di € 5.631,00 ciascuno, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali, nonché alle spese del giudizio pro quota.

L'appellante D.L.  ha impugnato la sentenza per i seguenti motivi:

1)           Violazione di legge e dei principi di diritto sulla prova, travisamento dei fatti, carenza d'istruttoria, motivazione carente ed incongrua con riferimento:

a)           alla distorta ricostruzione dei fatti desumibili dalle risultanze del procedimento penale militare , poiché la sentenza d'appello avrebbe smentito quanto affermato dal Tribunale militare in ordine alle irregolarità contestate ed il giudice contabile avrebbe reiterato lo stesso errore; la Corte d'appello aveva, infatti, dichiarato la prescrizione del reato di truffa;

b)           all'omesso accertamento circa l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal direttore dell'Infermeria in merito al fatto di non avere autorizzato le prestazioni pagate e sulla circostanza che dovesse essere acquisita una liberatoria del soggetto fruitore;

c)            alla contraddittorietà in ordine alla non autorizzabilità delle prestazioni riabilitative erogate, atteso che i riscontri di cui alla perizia del Tenente di vascello A.F. sarebbero smentite da altre circostanze;

d)           ad errori nel riscontro delle prove testimoniali, posto che vi sarebbe piena prova del fatto che i militari effettivamente avevano fruito delle prestazioni;

e)           ad errori nel riscontro delle richieste di prestazioni;

f)             ad errori nel riscontro della regolarità delle prestazioni;

g)           ad errori nella parte in cui addebita irregolarità nella documentazione amministrativa e fiscale;

h)           all'errata valutazione delle modalità di funzionamento di Marinferm;

i)             ad errori nella valutazione di irregolarità amministrativa;

j)             al fatto che il giudice di primo grado avrebbe, a suo avviso, errato nell'applicare i criteri per valutare la sussistenza delle prestazioni e la regolarità delle richieste, con riguardo a specifiche posizioni con riferimento alle quali vi sarebbe un addebito erroneo;

2)           violazione di legge in materia di prescrizione, laddove il giudice di primo grado avrebbe individuato nella notificazione dell'invito efficace atto interruttivo ed ancorato la sua decorrenza alla scoperta dei fatti, in assenza di occultamento doloso dei fatti.

L'appellante, estendendo il contraddittorio in confronto dell'altro convenuto in primo grado, ancorché non costituito, conclude, in riforma parziale della sentenza impugnata, per l'assoluzione nel merito; in subordine, chiede la declaratoria di intervenuta prescrizione del diritto fatto valere.

La Procura generale, con atto scritto depositato il 28 settembre 2016, ha concluso per il rigetto dell'appello. In punto di prescrizione ha osservato che la decorrenza deve essere ancorata alla scoperta dei fatti illeciti, risalente al decreto di rinvio a giudizio del 16 novembre 2007. Quanto al merito, sostiene l'infondatezza di tutti i motivi di doglianza, rilevando in particolare che le prove a disposizione sono idonee a raggiungere la dimostrazione per presunzioni dei fatti rilevanti.

All'udienza, l'avv. Miraglia ha rilevato che la questione riguarda l'addebito riferito a quindici erogazioni, laddove soltanto otto erano risultate irregolari, di cui una alquanto dubbia. Ha ripercorso i tratti essenziali della vicenda giudiziaria penale e, allegando il precedente della I Sezione d'appello 19 giugno 2003 n. 214 in ordine alla prescrizione, ne ha chiesto la declaratoria, precisando che tutte le procedure erano state completate nell'anno 2000. Ha pertanto concluso come in atti.

Il rappresentante del Pubblico Ministero ha confermato l'atto scritto, osservando che nella ricostruzione della vicenda deve essere tenuta distinta la prescrizione medica relativa alla malattia (diagnosi) e l'autorizzazione alla cura esterna.

Considerato in

DIRITTO

L'impugnazione mira all'accertamento dell'ingiustizia della sentenza attraverso argomentazioni preordinate ad affermare l'inesistenza dei fatti illeciti retrostanti, consistiti nella distrazione di somme di denaro, di pertinenza del Ministero della Difesa- Marina , in relazione a spese non autorizzate o non autorizzabili.

In via preliminare di rito, va respinta la riproposta eccezione di prescrizione, dovendosi osservare che il suo decorso non può non essere collegato alla scoperta degli illeciti, risalente al rinvio a giudizio degli imputati – pressoché coevo all'iniziativa d'indagine della Procura contabile - per concorso in peculato militare aggravato continuato, come esattamente precisato dal giudice di primo grado. Di nessun ausilio risulta, invece, l'allegazione del precedente di questa Corte (Sez. I, 19 giugno 2003 n. 214), atteso che tale sentenza ha confermato il principio della decorrenza della prescrizione dalla conoscibilità obiettiva del danno, laddove era risultato, in particolare, che la scoperta dei fatti da parte dell'Amministrazione danneggiata era anteriore alla pendenza del procedimento penale, circostanza in questo giudizio nemmeno ipotizzata.

In realtà, l'appellante nega che nel caso in questione vi sia stato un occultamento doloso, sola e diversa ipotesi che consentirebbe il differimento del decorso della prescrizione dalla scoperta dei fatti, poiché l'addebito in questione è posto a carico del responsabile a titolo di colpa grave.

Il ragionamento non è convincente. Innanzitutto l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, in ordine alla gravissima colpa per l'estrema superficialità posta in essere dall'interessato non costituisce un'asserzione perplessa circa il titolo soggettivo di imputazione, bensì caratterizza una conclusione che individua, ‘quantomeno' nel predetto grado di colpa, il limite inferiore del relativo criterio applicato, poiché quel titolo è posto in termini non alternativi al dolo, ma quale coordinato profilo conclusivo dell'accertamento di responsabilità amministrativa. In secondo luogo, la coordinante comparativa, qualificata dall'uso dell'espressione ‘se non', è riferita soltanto all'effetto pregiudizievole delle condotte, non già alla consapevolezza del comportamento posto in essere, della cui volontarietà non è possibile dubitare. Ragione per cui, la sentenza impugnata, non escludendo il dolo, non consente di escludere nemmeno l'occultamento doloso come ipotesi di sospensione del termine prescrizionale; né, per converso, l'appellante ha fornito la prova della conoscibilità obiettiva dei fatti lesivi con riferimento ad epoca anteriore al disposto rinvio a giudizio penale.

Nel merito, la sentenza di condanna va confermata.

In punto di fatto, è incontroverso che i plurimi fatti illeciti generatori di danno erariale sono consistiti nell'irregolare ordinazione di pagamento, afferente distinte procedure amministrativo-contabili poste in essere presso il Servizio amministrativo dell'Infermeria autonoma della Marina militare di Roma (Marinferm), per prestazioni fisioterapiche esterne.

L'iter argomentativo della Sezione territoriale si snoda attraverso la considerazione dell'esito del giudizio penale e perviene al convincimento che gli elementi compongano un quadro probatorio grave e concordante in ordine alla commissione dei fatti illeciti da parte del convenuto, caratterizzato, principalmente, dalle irregolarità commesse, dalle dichiarazioni negative da parte del direttore dell'Infermeria in ordine al rilascio delle autorizzazioni, dal disconoscimento della sottoscrizione dei documenti autorizzativi, dalla mancanza delle dichiarazioni liberatorie da parte dei pazienti e dall'inusuale sistematica prassi di effettuare i pagamenti delle fatture in contanti con riferimento a prestazioni di importo elevato, non assistiti dal rilascio di apposita quietanza. Non è stato possibile chiarire con certezza se le prestazioni fisioterapiche fossero state, in tutto o in parte, effettivamente rese in favore degli interessati, ancorché sia stato dato atto dal giudice penale che i militari avevano confermato di essersi sottoposti alle cure prescritte; ma tale circostanza ha indotto la Corte militare d'appello (cfr. sentenza 19 marzo 2010 n. 8) a considerare che le falsità poste in essere nel procedimento non fossero in realtà preordinate ad occultare illecite appropriazioni di denaro, bensì costituissero parte degli artifizi e dei raggiri posti in essere per procurare un profitto ingiusto con danno per l'Amministrazione militare , in relazione ai quali la condotta fraudolenta era stata predisposta al fine di consentire all'agente di entrare in possesso della provvista in virtù di una successiva condotta appropriativa. La Corte d'appello militare ha pertanto derubricato il reato da peculato a truffa militare aggravata continuata.

Per quanto la predetta sentenza resa nel giudizio penale abbia dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, da essa è possibile trarre elementi di convincimento coerenti con le prove a disposizione e che hanno consentito l'adeguata sussunzione degli illeciti sotto la previsione del delitto di truffa aggravata, elementi apprezzati dalla Sezione territoriale, la quale ne ha condiviso il percorso argomentativo, rilevando la sussistenza di irregolarità amministrative sotto il profilo sia dell'inidoneità della documentazione prescritta, sia dell'illegittimità degli ordini di pagamento, emessi dal convenuto e non autorizzati dal direttore della struttura sanitaria.

In relazione agli aspetti di incertezza, rilevati dall'interessato anche con l'atto d'appello, va precisato che il giudice di primo grado ne ha tenuto debito conto in sede di quantificazione del danno erariale, poiché ha escluso che la relativa determinazione potesse comprendere quelle prestazioni, inizialmente incluse nella contestazione, le quali, ancorché irregolari, erano assistite dalla richiesta del responsabile sanitario e dalla conferma del paziente in ordine all'effettiva fruizione. Non hanno pertanto pregio le argomentazioni dell'appellante inclini a trarre argomento, dalla parziale esclusione del danno, per sostenere l'inattendibilità dell'ipotesi di responsabilità e della condanna.

Né è sostenibile il principale argomento a sostegno dell'appello, secondo il quale dalla derubricazione del reato di peculato in truffa militare , sarebbe possibile evincere la prova dell'inesistenza dei fatti costitutivi, per non essere stata provata la truffa in tutta la sua estensione, ivi compresa la falsità delle sottoscrizioni attribuite al Capitano di vascello T. e l'inidoneità delle valutazioni peritali rese dal Tenente di vascello F.

Per quanto riguarda, in particolare, la genuinità delle sottoscrizioni dell'ufficiale autorizzante, va osservato che il CV T. è stato ritenuto estraneo agli stessi fatti e vittima di altrui artifizi e raggiri poiché erano state apposte sue firme apocrife su diversi atti autorizzativi delle cure fisioterapiche; ragione per cui, gli atti medesimi non possono essere qui addotti a sostegno dell'errore commesso dal giudice di primo grado e per valutarne l'incidenza, atteso che la non riferibilità delle sottoscrizioni a quell'ufficiale ha formato oggetto di specifico accertamento del giudice penale (cfr. Trib.mil.Roma 15 luglio 2008 n. 18).

In realtà le deduzioni dell'appellante non sono idonee a provare i fatti impeditivi della pretesa risarcitoria fatta valere e fondata, per le ragioni sopra esposte, su elementi gravi, precisi e concordanti in ordine alla commissione, da parte dell'ufficiale D.L., di un'attività illecita generatrice di danno erariale a titolo di dolo, la quale, ancorché non direttamente corrispondente a fatti di peculato, è consistita in fatti di truffa in danno dell'Amministrazione militare connotati da irregolarità amministrative ed indebiti vantaggi.

La sentenza impugnata deve, in definitiva, essere confermata e l'appellante condannato al pagamento delle spese del giudizio nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello, rigetta l'appello e conferma la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Lazio 30 maggio 2012 n. 566.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate nell'importo di € 96,00 (NOVANTASEI/00).

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 ottobre 2016.

L'ESTENSORE                                                      IL PRESIDENTE

f.to Piero Floreani                                       f.to Luciano Calamaro

 

Depositata in Segreteria il 30 MAR. 2017

Il Dirigente

Sabina Rago

f.to Sabina Rago

 

 


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    LAZIO
    SENTENZA N. 566/2012


NOTA: Da intendersi riferiti ai testi attualmente vigenti

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Avv. Antonino Sugamele

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