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Sentenza

Maresciallo dei Carabinieri patteggia la pena di mesi 10 e giorni 15 di reclusio...
Maresciallo dei Carabinieri patteggia la pena di mesi 10 e giorni 15 di reclusione, per il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico di cui all’articolo 615 ter del C.P., e per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, previsto e punito dall’articolo 326 del medesimo Codice, perché: con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusivamente si introduceva, nell’interesse di altri, nel sistema informatico denominato S.D.I., in dotazione alle Forze di Polizia, sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione di Ufficiale di P.G. e con violazione delle direttive concernenti l’accesso allo S.D.I. da parte di appartenenti alle Forze dell’ordine ed all’Arma dei Carabinieri, eseguendo numerose interrogazioni, dal mese di gennaio 2011 al mese di febbraio 2012, e perché: violando i doveri inerenti alla sua funzione e comunque abusando della sua qualità, rivelava ad altri le notizie di ufficio, illecitamente acquisite attraverso le condotte di cui ai capi che precedono, e che dovevano rimanere segrete o riservate, al fine di procurare un ingiusto profitto rappresentato dall’acquisizione di informazioni diversamente non conoscibili.
REPUBBLICA ITALIANA     SENT. N. 242/17
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE 
PER LA REGIONE PIEMONTE
composta dai seguenti Magistrati:
Dott.ssa Cinthia PINOTTI                          Presidente
Dott. Tommaso PARISI                              Consigliere relatore
Dott. Walter BERRUTI                               Consigliere
ha pronunciato la seguente 
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al nr. 20128 del Registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale contro B. G., nato a M. (PZ) il .......;
Uditi, nella pubblica Udienza del 12 ottobre 2017, il relatore Consigliere Dott. Tommaso PARISI, il Pubblico Ministero, nella persona del Procuratore Regionale Dott. Giancarlo ASTEGIANO, e l'Avvocato Pier Rosario MONTEGROSSO, legale del convenuto;                                    
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della citata causa;
Ritenuto in
FATTO
Con Sentenza nr. 932 del 2015, divenuta irrevocabile, il Tribunale di Torino, Sezione GIP, applicava all'odierno convenuto, in qualità di Maresciallo capo in servizio all'epoca dei fatti presso la Stazione dei Carabinieri di B,, ai sensi dell'articolo 444 del C.P.P., la pena di mesi 10 e giorni 15 di reclusione, per il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico di cui all'articolo 615 ter del C.P., e per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio, previsto e punito dall'articolo 326 del medesimo Codice, perché: “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusivamente si introduceva, nell'interesse di altri, nel sistema informatico denominato S.D.I., in dotazione alle Forze di Polizia, sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione di Ufficiale di P.G. e con violazione delle direttive concernenti l'accesso allo S.D.I. da parte di appartenenti alle Forze dell'ordine ed all'Arma dei Carabinieri, eseguendo numerose interrogazioni”, dal mese di gennaio 2011 al mese di febbraio 2012, e perché: “violando i doveri inerenti alla sua funzione e comunque abusando della sua qualità, rivelava ad altri le notizie di ufficio, illecitamente acquisite attraverso le condotte di cui ai capi che precedono, e che dovevano rimanere segrete o riservate, al fine di procurare un ingiusto profitto rappresentato dall'acquisizione di informazioni diversamente non conoscibili”.
I predetti fatti delittuosi perpetrati dal convenuto erano emersi nell'ambito della più ampia indagine di P.G. svolta dal ROS di Torino e denominata “San Michele – Gruppo dei Crotonesi”, concernente le infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese nel territorio della Regione Piemonte, e secondo la prospettazione dell'Ufficio Requirente sono stati oggetto di numerosi articoli di stampa.
Ravvisata, in merito ai fatti in trattazione, l'esistenza di profili di responsabilità amministrativa a carico del convenuto, unitamente ad altro soggetto coinvolto nel medesimo procedimento penale che tuttavia ha scelto il rito abbreviato di cui all'articolo 130 del Codice della giustizia contabile, per il danno all'immagine cagionato con la propria condotta illecita all'Arma dei Carabinieri, la Procura Regionale ha emesso nei suoi confronti l'invito a dedurre, ai sensi dell'articolo 5, 1° comma, del D.L. 15 novembre 1993, nr. 453, convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 gennaio 1994, nr. 19. Il citato B. non presentava deduzioni scritte e non chiedeva di essere sentito personalmente.
Per quanto esposto in narrativa, l'Ufficio Requirente adottava consequenzialmente atto di citazione in giudizio in data 28.12.2016, con cui veniva contestato al predetto convenuto il danno all'immagine di Euro 10.000,00, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giustizia.
Il convenuto si è costituito in giudizio con comparsa depositata in data 15.06.2017, avvalendosi del ministero dell'Avvocato Pier Rosario MONTEGROSSO. Nel libello difensivo il patrocinatore, nel contestare in radice il fondamento della domanda attrice ha eccepito, in via pregiudiziale, l'inammissibilità dell'atto di citazione per mancato deposito entro il termine di 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni, la violazione dell'articolo 42 del Codice della giustizia contabile, nonché la prescrizione dell'azione poiché i fatti risalgono all'anno 2011, mentre nel merito ha dedotto la preclusione della pretesa risarcitoria per effetto dell'abrogazione dell'articolo 7 della Legge nr. 97 del 2001 ad opera del citato Codice della giustizia contabile, l'inutilizzabilità nel presente giudizio della Sentenza di patteggiamento, il difetto di prova in ordine alla stessa sussistenza ed alla quantificazione del danno all'immagine contestato dalla Procura Regionale, anche tenendo conto che la diffusione della notizia inerente alla condotta del proprio assistito ha avuto una modesta diffusione sulla stampa; in subordine, la difesa ha invocato l'applicazione del potere riduttivo. 
Nel corso del suo intervento sviluppatosi nell'ambito dell'odierna Udienza, il Procuratore Regionale, nel confermare integralmente il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio e le sue conclusioni, ha precisato, da un lato, che il proprio Ufficio ha tentato una prima notifica dell'invito a dedurre, la quale, tuttavia, non è andata a buon fine in quanto il plico non è stato consegnato nelle mani del convenuto, per cui essendo quest'ultimo militare in servizio la notifica è stata rinnovata a mente dell'articolo 146 del C.P.C. che prevede il recapito dell'atto da parte del Comandante del Corpo di appartenenza, dall'altro, che l'eccezione di cui all'articolo 42 del Codice della giustizia contabile è infondata in quanto non si riferisce alla presente fattispecie e che, infine, l'azione è stata avviata prima dell'entrata in vigore del suddetto Codice, con il corollario che nessuna influenza possono dispiegare le modifiche introdotte dal medesimo in materia di danno all'immagine.
L'Avvocato MONTEGROSSO, dopo avere richiamato tutte le deduzioni prospettate nella comparsa di risposta, ha evidenziato che la notifica effettuata nei confronti del proprio assistito in data 14.06.2016 è assolutamente regolare, che l'azione promossa dalla Procura Regionale è ampiamente prescritta, che in seguito all'entrata in vigore del Codice della giustizia contabile si è creato un vuoto normativo, di carattere preclusivo, per effetto dell'abrogazione dell'articolo 7 della Legge nr. 97 del 2001, e che la Sentenza di patteggiamento emessa nel processo penale non può assumere valenza probatoria decisiva nel presente giudizio. 
Considerato in 
DIRITTO
La domanda risarcitoria è fondata e merita integrale accoglimento.
Come si evince dall'esposizione dei fatti delineati in premessa, il giudizio sottoposto all'esame del Collegio riguarda, in sostanza, il danno all'immagine che sarebbe stato cagionato dal convenuto all'Arma dei Carabinieri, secondo la ricostruzione della Procura Regionale, in diretta connessione con la presunta condotta illecita, penalmente rilevante, posta in essere dal medesimo in qualità di militare in servizio all'epoca dei fatti presso la Stazione di B,.
In primo luogo, le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa del convenuto non si rivelano persuasive e devono essere disattese.
Per quanto concerne la censura concernente l'inammissibilità dell'atto di citazione per mancato deposito entro il termine di 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni, giova osservare che la prima notifica tentata dalla Procura Regionale non è andata a buon fine, nel senso che non risulta la prova che il plico contenente l'invito a dedurre sia stato realmente consegnato nelle mani del destinatario; dalla documentazione prodotta dal legale, infatti, in disparte la mancanza degli atti inerenti al deposito presso la Casa comunale di B,, a tenore dell'articolo 140 del C.P.C., ed all'invio dell'avviso con raccomandata R.R., attività comunque attestate dall'Ufficiale giudiziario incaricato in data 14.06.2016, non emerge la prova che il plico sia stato effettivamente ritirato dal convenuto, unica circostanza che avrebbe potuto indurre il Collegio a valutare l'eventuale equipollenza di siffatta acquisizione dell'invito a dedurre, a seguito del deposito presso la Casa comunale compiuta dall'Ufficiale giudiziario, con la consegna diretta a mani proprie. La necessità di garantire in ogni caso quest'ultima modalità di recapito dell'atto, laddove il destinatario sia militare in servizio, si evince chiaramente dalla lettura dell'articolo 146 del C.P.C., il quale in caso contrario prevede la notifica per il tramite del Comandante del Corpo; trattasi evidentemente di una disposizione fissata dal legislatore proprio per salvaguardare la posizione del militare in servizio, che potrebbe essere difficilmente rintracciabile presso il proprio abituale domicilio in quanto impegnato in attività di lavoro durante tutto l'arco temporale della giornata, ovvero perché comandato in servizio fuori sede o addirittura all'estero anche per lunghi periodi. In altri termini, e con maggiore ampiezza esplicativa, il Codice di rito tende sicuramente a privilegiare la notifica nei confronti del militare in servizio a mezzo del Comandante del Corpo, in modo da assicurare la piena conoscenza dell'atto recapitato nell'ottica dell'esercizio dei fondamentali diritti alla difesa da parte del destinatario, il quale potrebbe risultare oltremodo pregiudicato dalla cosiddetta notifica legale, come quella attuata attraverso la sequenza procedimentale contemplata dall'articolo 140 del C.P.C., non avendo materialmente la possibilità, in funzione della particolare tipologia del servizio svolto, di prendere tempestivamente cognizione del contenuto dell'atto notificato; tale esigenza imprescindibile giustifica la scelta tratteggiata dal legislatore, nel senso che l'unica alternativa legittima, oltre a quella contemplata dall'articolo 146 del C.P.C., che peraltro consente con certezza e sollecitudine, mediante l'attività espletata dal Comandante di Corpo, il raggiungimento dello scopo a tutela dello stesso destinatario, è la notifica a mani proprie, che evidentemente si colloca anch'essa nell'alveo delle predette garanzie che affondano le loro radici in diritti presidiati dalla Costituzione. Non essendo stato dimostrato dal convenuto che la prima notifica dell'invito a dedurre, invocata per sostenere l'inammissibilità dell'atto di citazione, è avvenuta a mani proprie, atteso che la documentazione depositata dalla difesa integra, a tutto concedere, solo il perfezionamento della notifica legale di cui al menzionato articolo 140 del C.P.C., il termine di 120 giorni per l'emissione dell'atto introduttivo del giudizio da parte della Procura Regionale deve essere ancorato alla data della seconda notifica esperita dal Comandante del Corpo, quindi il 09.09.2016, con l'effetto che il deposito dello stesso presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale, avvenuto il 03.02.2017, si appalesa assolutamente tempestivo tenendo conto del termine assegnato per la presentazione delle controdeduzioni. Parimenti da respingere è la doglianza incentrata sulla presunta violazione dell'articolo 42 del Codice della giustizia contabile, nella parte in cui prevede che il Presidente della Sezione può autorizzare, su motivata richiesta del Pubblico Ministero, la notifica a mezzo delle Forze di Polizia; l'eccezione in parola, la quale evidenzia l'assenza del provvedimento demandato al Presidente, si appalesa infondata, in quanto la suddetta disposizione, di carattere speciale, non riguarda l'odierna fattispecie, nella quale la Procura Regionale ha correttamente applicato secondo principi di carattere generale l'articolo 146 del C.P.C., che evidentemente non necessita di alcuna autorizzazione da parte dell'Organo apicale della Sezione Giurisdizionale, prevista soltanto nelle ipotesi di notifica degli atti del processo contabile al di fuori della disciplina contemplata in materia dal predetto Codice di rito. Anche l'eccezione di prescrizione non sollecita il favorevole scrutinio della Sezione, atteso che nel caso di danno all'immagine, a tenore dell'articolo 17, comma 30 ter, del D.L. nr. 78 del 2009, convertito dalla Legge nr. 102 del 2009, e successive modificazioni, il decorso del termine di prescrizione è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale, norma che non è stata abrogata o modificata dall'entrata in vigore del Codice della giustizia contabile, con il corollario che il “dies a quo” è legato al momento in cui diviene irrevocabile la Sentenza penale di condanna, che costituisce il necessario presupposto individuato dal legislatore per l'azionabilità di siffatta voce di pregiudizio erariale.             
Passando quindi al merito della contestazione formulata a carico del convenuto, questi Giudici ritengono assolutamente persuasiva e convincente la tesi accusatoria prospettata dal Pubblico Ministero contabile nell'atto introduttivo. In tale visuale, giova prendere l'abbrivo da una considerazione di fondo, che abbraccia in modo diretto tutto il successivo ordito motivazionale: dagli atti versati nel fascicolo processuale si evince con ragionevole certezza che l'odierno convenuto ha effettivamente posto in essere la condotta illecita, penalmente rilevante, contestata dalla Procura Regionale nell'atto di citazione. A tal proposito, si stima utile richiamare i solidi e convergenti elementi probatori allegati dall'Ufficio Requirente, ai quali il Collegio formula espresso ed integrale rinvio, con particolare riferimento alle molteplici risultanze rivenienti dal procedimento penale; del resto, non è superfluo evidenziare, quale fattore dirimente ed assorbente, diversamente da quanto opinato dalla difesa del nominato B. nella comparsa di costituzione, che nei confronti del convenuto è stata pronunciata una Sentenza di “patteggiamento”, divenuta irrevocabile, in relazione alla quale la giurisprudenza assolutamente maggioritaria della Corte dei Conti, in linea con l'orientamento consolidato della Corte di Cassazione, ha costantemente affermato negli ultimi tempi il canone secondo cui alle suddette pronunce, rese ai sensi dell'articolo 444 del C.P.P., deve essere attribuito l'effetto di provare, nel processo contabile, l'illiceità dei fatti e la colpevolezza del presunto responsabile, che, di conseguenza, sarà tenuto a fornire gli elementi probatori necessari a discolparsi (ex multis Corte di Cassazione, SS.UU. Civili, Sentenza nr. 5756 del 2012, Corte dei Conti, I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenze nr. 187 del 2003, nr. 149 del 2004, nr. 68 e nr. 109 del 2006, nr. 18 e nr. 809 del 2012, nr. 253 del 2014, II Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 269 del 2010, Sezione Giurisdizionale d'Appello Sicilia, Sentenza nr. 103 del 2010, Sezione Giurisdizionale Umbria, Sentenza nr. 76 del 2008, Sezione Giurisdizionale Piemonte, Sentenza nr. 176 del 2011, Sezione Giurisdizionale Sicilia, Sentenza nr. 317 del 2014); sul punto, appare estremamente eloquente la massima delle Sentenze della Corte di legittimità, V Sezione civile, nr. 19251 del 2005 e III Sezione civile, nr. 10847 del 2007 e nr. 6668 del 2011, dove il Collegio ha evidenziato che la Sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce indiscutibile elemento di prova per il Giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il Giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione, con il corollario che siffatto riconoscimento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato dal Giudice per sostenere la colpevolezza, in altro giudizio, del soggetto nei confronti del quale la Sentenza di “patteggiamento” è stata pronunciata, anche in assenza di ulteriori riscontri “aliunde”, laddove la parte convenuta non sia stata in grado di dedurre elementi univoci ed inoppugnabili a propria discolpa.
In tale prospettiva, l'ulteriore censura sollevata dal patrocinatore, il quale ha dedotto che in seguito all'ingresso nell'ordinamento del Codice della giustizia contabile si è generato un vuoto normativo, di carattere preclusivo, per effetto dell'abrogazione dell'articolo 7 della Legge nr. 97 del 2001, si rivela inconferente; al riguardo, a prescindere dalla considerazione secondo cui la normativa in tema di danno all'immagine riveniente dal predetto Codice non è applicabile alla presente fattispecie, essendo i fatti materiali contestati dalla Procura Regionale risalenti ad un periodo di gran lunga antecedente alla sua entrata in vigore, in ogni caso la suddetta fonte primaria non ha affatto creato il vuoto normativo paventato dalla difesa, poiché il menzionato articolo 7 è stato sostituito dalle disposizioni di cui all'articolo 51, comma 7, del Codice stesso, con una formulazione peraltro assolutamente più ampia della precedente, legata ai soli reati tipici contro la Pubblica Amministrazione fissata dal D.L. nr. 78 del 2009, convertito dalla Legge nr. 102 del 2009, e successive modificazioni, tra cui rientra comunque pacificamente quello per il quale l'odierno convenuto è stato condannato in sede penale.    
Per quanto riguarda il crinale attinente all'elemento soggettivo, la sussistenza del dolo si manifesta pacifica ed inoppugnabile in funzione della commissione, tra l'altro, di un reato tipico contro la Pubblica Amministrazione, previsto e punito dall'articolo 326 del C.P., accertato con la suddetta pronuncia. 
Acclarata la piena responsabilità del convenuto in ordine ai fatti penalmente rilevanti sopra esposti, e tenuto conto che il presupposto della Sentenza irrevocabile di condanna di cui al D.L. nr. 78 del 2009 risulta integrato anche dalla pronuncia definitiva di patteggiamento (ex multis I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 809 del 2012, III Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 305 del 2010), il Collegio osserva che, secondo i più recenti indirizzi della giurisprudenza contabile, il concretizzarsi del danno all'immagine è legato alla lesione di quegli interessi “apatrimoniali” correlati alla funzione pubblica esercitata e che traggono la loro tutela ed il loro immanente presidio nell'articolo 97 della Costituzione, in diretta connessione con l'articolo 2 della citata fonte primaria; da questo punto di vista, anzi, ben può affermarsi che la specificazione del generale dovere che tutti i cittadini hanno di essere “fedeli alla Repubblica e di osservarne le Leggi” in quello proprio, dei soli dipendenti pubblici e, di riflesso, anche degli agenti pubblici, di “adempiere le pubbliche funzioni con disciplina ed onore”, ex articolo 54 della Costituzione, in larga parte è teleologicamente orientata alla tutela dell'immagine e del prestigio della Pubblica Amministrazione. La consolidata costruzione contabilistica del danno all'immagine dell'Amministrazione, inoltre, risulta direttamente connessa al parametro normativo dell'imparzialità dell'attività amministrativa tutelato dal prefato articolo 97 della Carta, trattandosi di una declinazione, sul versante ordinamentale, del principio di uguaglianza scolpito dall'articolo 3 della Costituzione; l'imparzialità rappresenta, infatti, un primario valore giuridico, posto a presidio della stessa credibilità delle strutture pubbliche, atteso che in assenza della fiducia dei cittadini le stesse non sarebbero in grado di conseguire in maniera adeguata, come loro precipuo dovere, gli obiettivi prefissati dal legislatore. D'altra parte, è agevole rilevare che la figura del danno all'immagine con riferimento all'Ente pubblico è stata consacrata in modo espresso anche in alcune disposizioni normative, come l'articolo 3, comma 1, della Legge nr. 97 del 2001 e, più di recente, l'articolo 7, comma 2, lettera e) della Legge nr. 15 del 2009, l'articolo 55 quinquies del Decreto Legislativo nr. 165 del 2001, inserito dall'articolo 69 del Decreto Legislativo nr. 150 del 2009, l'articolo 1, comma 12, della Legge nr. 190 del 2012 e l'articolo 46 del Decreto Legislativo nr. 33 del 2013. 
Secondo la nota Sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, 23 aprile 2003, nr. 10/QM, il citato danno all'immagine si presenta quale danno evento, il quale si sostanzia non già in una “deminutio patrimonii” bensì nella violazione di diritti costituzionalmente garantiti intestati all'Amministrazione nel suo complesso, ed ha natura di danno esistenziale, riconducibile, alla luce dei più recenti indirizzi della Corte di legittimità e della Consulta (Cassazione, III Sezione Civile, Sentenze nnrr. 8827 e 8828 del 2003, II Sezione Civile, Sentenza nr. 9861 del 2007, Corte Costituzionale, Sentenza nr. 233 del 2003), nell'alveo del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice Civile, che inibisce il potere-dovere dell'Ente pubblico di adoperarsi, nei modi e nelle procedure previsti dalla Legge, per assumere la veste e la sostanza di una struttura sana, trasparente, imparziale, efficiente, corretta e rispettosa delle missioni di cui è attributaria.
Definizione che appare, peraltro, attualmente confermata da espressi canoni normativi, ed ulteriormente valorizzata dall'obbligo per le Pubbliche Amministrazioni, fissato dal legislatore con la Legge nr. 150 del 2000 sulla cosiddetta comunicazione istituzionale, di impegnarsi affinché il valore di un'Amministrazione che presenti tutti i caratteri in precedenza illustrati si riverberi effettivamente all'esterno, al fine di rappresentare un'immagine positiva e specchiata dell'Ente pubblico nei confronti della collettività.
Ciò che costituisce un dovere per l'Amministrazione, nel senso di definire una propria corretta immagine istituzionale, non può che configurare, di riflesso, un diritto del quale non può non garantirsi l'integrità, o in altri termini un interesse ad essa appartenente economicamente valutabile, protetto dall'ordinamento ai sensi del prefato articolo 2 della Costituzione (ex multis Cassazione, III Sezione Civile, Sentenza nr. 2367 del 2000, nr. 12929 del 2007, nr. 3672 del 2010 e nr. 4542 del 2012, Consiglio di Stato, Sezione V, Decisioni nr. 491 del 2008 e nr. 2070 del 2009) e dell'articolo 10 del Codice Civile, disposizione ritenuta applicabile anche alle persone giuridiche, e, dunque, meritevole di tutela, anche di tipo patrimoniale.
E quando sia accertato che la lesione di siffatto interesse è stata perpetrata, dalla sponda interna, da un soggetto legato all'Amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, lo schema applicabile rimane quello della responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti, notoriamente connotato da piena autonomia rispetto al giudizio penale e civile; la collocazione del danno all'immagine come sopra definito, rimane, quindi, interna alla sfera del danno patrimoniale, nei termini di cui alle Sentenze delle SS.UU. della Corte di Cassazione nn.rr. 5668 del 1997, 744 del 1999, 98 del 2000, 10730 del 2003, 4582 del 2006 e 5756 del 2012, ed alla suddetta Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 10/QM/2003, e cioè classificabile “apatrimoniale” solo perché non cagionato ad un bene materiale, ma patrimoniale nel senso di essere arrecato ad un interesse giuridicamente rilevante e suscettibile di valutazione economica. Ad avviso della Sezione il menzionato assunto in ordine alla classificazione, di natura descrittiva, di tale voce di pregiudizio patito dall'Ente pubblico quale danno esistenziale rientrante a pieno titolo nella categoria del danno non patrimoniale di cui all'articolo 2059 del Codice Civile, in funzione della violazione dei canoni esplicitati dagli articoli 2, 54 e 97 della Carta, risulta ulteriormente avvalorato dalle note pronunce delle SS.UU. della Corte di Cassazione nr. 26972 del 2008 e nr. 18356 del 2009, in cui la Corte di legittimità, con una visione prospettica diversa rispetto ai molteplici indirizzi che si erano affermati in passato sullo specifico punto, ha chiarito che la suddetta tipologia di nocumento, la quale certamente non rappresenta una sottocategoria del danno non patrimoniale connotata dal carattere dell'atipicità, è risarcibile solo entro il ristretto limite segnato dall'ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno, con il corollario che, se non si riscontra la lesione di diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione, non può riconoscersi la tutela risarcitoria; nell'ipotesi del danno all'immagine oggetto della presente controversia ricorre indubbiamente la descritta condizione, alla luce della puntuale ricostruzione giurisprudenziale in precedenza delineata che trova il proprio diretto fondamento nei citati articoli della Costituzione. In definitiva, il danno all'immagine dell'Ente pubblico può essere certamente ricondotto nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale di cui all'articolo 2059 del Codice Civile, trattandosi di pregiudizio conseguente alla lesione di fondamentali valori inerenti alla persona, anche giuridica, quali il diritto alla reputazione, al nome, all'immagine, al prestigio, che rappresentano diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata espressamente dalla Costituzione. 
Sullo specifico versante, cade opportuno sottolineare che la giurisprudenza prevalente di questa Corte (ex multis Sezioni Riunite, Sentenza nr. 1/QM/2011, I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenze nr. 251 del 2006, nr. 209 del 2008, nr. 193 del 2011 e nr. 18 del 2012, Sezione Giurisdizionale Lombardia, Sentenza nr. 681 del 2006, Sezione Giurisdizionale Veneto, Sentenza nr. 927 del 2006, Sezione Giurisdizionale Lazio, Sentenza nr. 373 del 2007), dalla quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, ha precisato che il danno all'immagine non si identifica o si verifica soltanto quando, per ripristinarlo, l'Amministrazione pubblica sostiene delle spese, sul rilievo che siffatto tipo di pregiudizio si configura e si concreta anche nel caso in cui la rottura di quella aspettativa di legalità, imparzialità e correttezza che il cittadino e gli appartenenti all'Ente pubblico si attendono dall'apparato, viene spezzata da illecito comportamento dei suoi agenti. L'essenza ed il nucleo centrale di detto danno, di conseguenza, non si palesano solo in stretta relazione alla sussistenza di una spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, in quanto la risarcibilità di un simile pregiudizio non può rapportarsi, per la sua intrinseca lesione, come sopra esposto, al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell'Ente, ma deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l'apprezzamento del Giudice, ai sensi dell'articolo 1226 del Codice Civile. Deve ritenersi, infatti, che il danno all'immagine dell'Amministrazione e gli esborsi sostenuti per il ripristino della stessa si pongano su piani ben distinti, raffigurandosi, il primo, quale lesione di un bene tutelato in via diretta ed immediata dall'ordinamento giuridico, e venendo in evidenza, i secondi, sul mero piano probatorio, soltanto come uno dei mezzi di prova utilizzabili dall'Ufficio Requirente a sostegno della domanda di risarcimento. In tale ottica, d'altra parte, laddove si richiedesse ai fini della configurabilità di tale tipo di pregiudizio la prova della spesa effettiva sopportata dall'Ente pubblico, si perverrebbe alla situazione paradossale per cui l'Amministrazione sprovvista di adeguati fondi in bilancio da utilizzare nell'assunzione di idonee iniziative volte al ripristino del bene immagine, non potrebbe conseguire il risarcimento del nocumento sofferto, non essendo in condizione di offrire la prova degli esborsi sostenuti; in ogni caso, quale ulteriore elemento dirimente, un eventuale costo suppletivo potrebbe essere sostenuto dall'Ente danneggiato soltanto dopo l'introito del risarcimento del pregiudizio patito, e non certo prima del pagamento della somma, correlata alla lesione del diritto all'immagine dell'Amministrazione, da parte del convenuto condannato.  
Con tali necessarie premesse ermeneutiche, occorre verificare se nella presente fattispecie concreta al vaglio del Collegio si sia prodotto un danno all'immagine come in precedenza descritto, e, quindi, se sussista o meno una lesione nei confronti dell'Ente pubblico riconducibile al comportamento illecito del convenuto, nonché quantificare tale pregiudizio, anche in via equitativa.
Relativamente all'aspetto dell' “an” di una grave lesione all'immagine ed al prestigio dell'Arma dei Carabinieri, la Sezione condivide pienamente le argomentazioni dedotte dalla Procura Regionale, che si è appellata ai noti criteri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte dei Conti, ponendo l'accento sulla condotta assolutamente censurabile del suddetto militare che ha agito con dolo per motivazioni di natura privata ed egoistica, venendo meno intenzionalmente ai propri doveri deontologici e professionali; sul presupposto che il danno all'immagine appartiene, alla luce dell'approdo della menzionata Decisione delle Sezioni Riunite, alla categoria concettuale del danno evento, con il corollario che, ove comprovato, ottiene protezione automatica dall'ordinamento, di per sé, a prescindere dalle spese sostenute dall'Ente danneggiato, e comunque, anche se siffatto danno esistenziale venisse configurato quale danno conseguenza, la sussistenza degli effetti pregiudizievoli sull'Amministrazione può essere dimostrata, in base all'attuale orientamento della Suprema Corte (Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza nr. 6572 del 2006, Cassazione, III Sezione Civile, Sentenza nr. 13546 del 2006), a mezzo di presunzioni, appare chiaro al Collegio che nella fattispecie in esame, che vede coinvolto un militare in servizio all'epoca dei fatti presso la Stazione Carabinieri di B,, ovvero nell'ambito di una struttura pubblica essenziale sul territorio, la cui immagine non soltanto esterna ma anche interna dovrebbe apparire particolarmente trasparente, imparziale, sana e cristallina in funzione degli alti compiti istituzionali demandati alla medesima dall'ordinamento giuridico, tra cui la salvaguardia della legalità e della sicurezza dei singoli cittadini a beneficio dell'intera collettività, la condotta illecita del convenuto ha certamente causato un'aggressione ed una menomazione diretta del suddetto interesse dell'Amministrazione, fonte di danno risarcibile secondo un rapporto di assoluta ed esclusiva necessarietà. Al riguardo, non è superfluo rammentare, sul versante dei parametri sociali, l'indubbio sconcerto ed il naturale senso di mortificazione che, a seguito dell'instaurazione del procedimento penale, la vicenda in questione ha originato nei colleghi del convenuto, impegnati quotidianamente, con sacrificio ed abnegazione, nello svolgimento dei complessi servizi assicurati dall'Arma dei Carabinieri a presidio e tutela della comunità di cittadini residente nell'area di riferimento, spesso mettendo a rischio la stessa incolumità personale. 
D'altra parte, anche sul piano della prova per presunzioni che accede al giudizio prognostico, nell'ipotesi in cui si attribuisse al prefato danno esistenziale non già la natura di danno evento, bensì quella di danno conseguenza, secondo i più recenti orientamenti della Suprema Corte, è possibile pervenire, in funzione delle articolate argomentazioni prospettate dalla Procura Regionale nell'atto di citazione, all'affermazione della descritta inferenza, alla stregua di un canone di ragionevole probabilità in merito alla presenza di rilevanti effetti dannosi correlati alla richiamata lesione dell'immagine dell'Amministrazione, con riferimento alla delicatezza della funzione svolta dai militari appartenenti all'Arma dei Carabinieri sul territorio, alla gravità della condotta posta in essere dal convenuto, che essendo un tutore della legalità ha infranto le elementari regole di correttezza e di tutela dell'interesse pubblico per motivazioni di natura esclusivamente privata, rivelando indebitamente a terzi notizie d'ufficio che dovevano rimanere segrete e riservate, ai riflessi critici originati nell'ambito delle intuibili considerazioni dei colleghi venuti a conoscenza della vicenda, all'elemento soggettivo intenzionale, al vantaggio personale perseguito ed alla connessione degli accadimenti che hanno contrassegnato la vicenda in rassegna.
In tale ottica, si stima utile evidenziare che al fine di appurare l'avvenuta lesione all'immagine dell'Ente pubblico, pur non essendo essenziale la presenza del cosiddetto “clamor fori”, essendo sufficiente l'indubbio e concreto risvolto interno all'Amministrazione, come è stato efficacemente lumeggiato, con dovizia di argomentazioni e riflessioni gravide di precise conseguenze, dalla Corte di legittimità nella citata Sentenza della III Sezione Civile nr. 12929 del 2007, che è meritevole di considerazione tanto quanto quello esterno inerente allo sgomento avvertito dall'opinione pubblica nell'apprendere i gravi fatti illeciti realizzati dall'agente pubblico, peraltro appartenente alle Forze di Polizia, nella presente fattispecie la Procura Regionale ha comunque depositato diversi articoli di stampa nei quali sono illustrati i fatti illeciti in precedenza tratteggiati.
Per quanto concerne, infine, la delibazione afferente alla quantificazione del prefato danno all'immagine, la Sezione reputa sicuramente persuasive e convincenti, alla luce dei descritti parametri tratteggiati dalla giurisprudenza, ormai del tutto consolidati e maggioritari, le conclusioni cui è pervenuta la Procura Regionale, che ha contestato nell'atto di citazione l'importo di Euro 10.000,00; nella specifica fattispecie, infatti, occorre valorizzare adeguatamente due circostanze essenziali e sintomatiche, oltre al menzionato “clamor fori” ed ai riflessi interni all'Arma danneggiata, che non sono sfuggite all'attenzione del Collegio, quali la posizione di appartenente alle Forze di Polizia rivestita dal convenuto ed il grave reato commesso dal medesimo, aggravato dal particolare contesto ambientale nell'ambito del quale è stato disvelato.
Ne deriva che il danno all'immagine cagionato dal convenuto all'Arma dei Carabinieri per i fatti sopra indicati viene liquidato dalla Sezione, in via equitativa, alla luce dei parametri giuridici sopra lumeggiati, e degli elementi di fatto che connotano la presente fattispecie, nella loro irripetibile unicità, in Euro 10.000,00.
Per tutto quanto precede, il Collegio condanna al pagamento in favore dell'Arma dei Carabinieri, a titolo di danno all'immagine, G. B. per l'importo di Euro 10.000,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali calcolati dalla pubblicazione della Sentenza sino al soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del convenuto e vanno liquidate come al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando,
CONDANNA
al pagamento in favore dell'Arma dei Carabinieri, a titolo di danno all'immagine, G. B. per l'importo di Euro 10.000,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali calcolati dalla pubblicazione della Sentenza sino al soddisfo.
Le spese di giudizio, computate dalla Segreteria in Euro 344,35 (TRECENTOQUARANTAQUATTRO/35), seguono la soccombenza del convenuto e devono essere liquidate a favore dell'erario dello Stato.
Così deciso in Torino, nella Camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2017 con l'intervento dei Magistrati:
Cinthia Pinotti, Presidente
Tommaso Parisi, Consigliere Estensore
Walter Berruti, Consigliere.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
 
 Il Giudice Estensore                                   Il Presidente
F.to Tommaso PARISI                             F.to Cinthia PINOTTI 
 
Depositata in Segreteria il 20 Dicembre 2017
 
                                       Il Direttore della Segreteria
                                             F.to Antonio CINQUE
Avv. Antonino Sugamele

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