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Sentenza

Sottufficiale della Marina accusato di forzata consegna, insubordinazione con in...
Sottufficiale della Marina accusato di forzata consegna, insubordinazione con ingiuria e disobbedienza.
Penale Sent. Sez. 1   Num. 51864  Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO
Data Udienza: 02/10/2018
SENTENZA sul ricorso proposto da S.A., nato a C. il .........avverso la sentenza del 13/12/2017 della Corte militare di appello visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti; udito il Pubblico ministero, in persona del Procuratore generale militare Maurizio Block, che ha chiesto rigettarsi il ricorso; udito, in difesa dell'imputato, l'avvocato Anna Di Loreto, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; 
RITENUTO IN FATTO
 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte militare di appello confermava la declaratoria di penale responsabilità di A.S., sottufficiale di marina, in ordine ai reati di forzata consegna (art. 140 cod. pen. mil . pace, capo A della rubrica), insubordinazione con ingiuria (art. 189 cpv. stesso codice, capo B) e disobbedienza (art. 173 stesso codice, capo C), a vario titolo aggravati. Le Corte suddetta rideterminava la pena in mesi sette di reclusione militare per i primi due reati, uniti in continuazione, previa concessione delle attenuanti generiche in rapporto di prevalenza anziché di mera equivalenza rispetto alle aggravanti contestate; ferma la pena di mesi due di reclusione militare per il terzo reato, come tale stabilita in primo grado a seguito della concessione delle attenuanti generiche equivalenti. 
2. I fatti contestati erano accaduti a bordo di Nave Martellotta, di stanza alla Spezia, ove l'imputato, sottocapo di la classe, prestava servizio con mansioni di cuoco. La forzata consegna era riferita alla condotta tenuta allorché l'imputato, nella giornata del 4 febbraio 2016, era entrato nel locale del Corpo di guardia e si era impossessato di taluni registri, sottratti e portati via, nonostante la contraria intimazione del responsabile del servizio, sottocapo di 3a classe D.L.F. , in tal modo impedendo ai militari addetti di osservare le prescrizioni di detenzione e custodia dei registri stessi e di loro utilizzazione per l'annotazione delle presenze; con l'aggravante di essere l'agente rivestito di un grado. L'insubordinazione era riferita alla condotta tenuta poco dopo, allorché l'imputato, nel corso dell'assemblea generale dell'equipaggio, dopo l'intervento del sottotenente di vascello F. B.i, ufficiale in seconda della Nave, che gli aveva ribadito l'obbligo di rispettare i doveri connessi al suo stato, offendeva il prestigio, l'onore e la dignità del predetto superiore, profferendo platealmente al suo indirizzo, a voce alta, le espressioni «ma guarda questa! Io non devo dar conto a nessuno [...] io sono un maschio e ho girato il mondo e non mi faccio comandare da una femmina»; con l'aggravante già indicata e con quella di aver commesso il fatto alla presenza di più di due militari. La disobbedienza, aggravata dal grado rivestito, era riferita alla antecedente condotta del 16 aprile 2015, allorché l'imputato, dopo essersi presentato al Corpo di guardia per uscire dalla Base, e dopo che gli era stato rappresentato che il suo permesso non era valido, trasgrediva l'ordine, attinente al servizio e alla disciplina, di non allontanarsi e di attendere l'arrivo del sottotenente di vascello B.i; ordine impartito telefonicamente da tale ufficiale, tramite il sottocapo di 3a classe L.F. . L'imputato, infatti, abbandonava senza autorizzazione il locale del Corpo di guardia e la Base. 
3. La Corte di merito - disatteso il motivo di gravame, che lamentava la mancata audizione in primo grado del teste E.P., comandante di Nave Martellotta, e la mancata acquisizione di documentazione sollecitata dalla difesa - riteneva integrati, alla pari del primo giudice, sulla base delle deposizioni testimoniali e delle stesse dichiarazioni dell'imputato, tutti i reati contestati, nei loro elementi oggettivo e soggettivo, che i motivi ulteriori di gravame erano intesi a confutare. La stessa Corte negava, altresì, la particolare tenuità dei fatti in contestazione, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. Era unicamente accolto, nei termini sopra evidenziati, il motivo finale, in ordine al giudizio di valenza delle circostanze. 
4. Ricorre per cassazione l'imputato S., mediante atto sottoscritto dal difensore di fiducia, depositato presso la cancelleria del giudice a quo il 27 febbraio 2018, giorno successivo a quello di scadenza del termine d'impugnazione. In calce al ricorso il depositante attesta di non aver potuto rispettare il termine «causa blocco viabilità in Roma per neve» nel giorno di scadenza. 
5. Il ricorso è affidato a sei motivi. 
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. - la mancata assunzione di prova decisiva e il vizio di motivazione. Il Tribunale militare di Verona aveva regolarmente ammesso l'esame testimoniale di P., salvo poi revocarlo, con decisione immotivata, e in realtà determinata da una malintesa esigenza di celerità, per la sola circostanza della sua mancata comparizione in due successive udienze. La testimonianza P. era invero determinante, trattandosi del soggetto che aveva inoltrato la denuncia alla Procura militare della Repubblica; che aveva incontrato l'imputato subito prima dell'assemblea pomeridiana; che poteva dunque riferire circostanze essenziali per cogliere, soprattutto in relazione al reato di insubordinazione, l'inesistente offensività della condotta. Si era così determinato un vitio in procedendo, vanamente denunciato già dinanzi al Tribunale militare e poi in sede di gravame, che aveva recato significativo pregiudizio al diritto di difesa; pregiudizio derivante, altresì, dall'omessa acquisizione in primo grado della documentazione richiesta, su cui il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi e la Corte aveva argomentato in maniera assertiva. 
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza dell'art. 140 cod. pen. mil. pace e il vizio di motivazione, in rapporto al reato di forzata consegna. Di quest'ultimo mancherebbe il richiesto elemento oggettivo, in quanto L.F. non si era opposto al prelevamento dei registri (tant'è che era stato disciplinarmente sanzionato), e non esisteva pertanto alcuna volontà del militare esercitante la consegna che l'imputato potesse aver contrastato. Mancherebbe in ogni caso il richiesto dolo, avendo S. agito al solo scopo di sottoporre i registri - che presentavano incongruenze, poi verificate anche dai Carabinieri, che egli, da buon militare, voleva denunciare - al comandante. Esisteva peraltro una prassi, che facoltizzava il temporaneo trasferimento dei registri dal Corpo di guardia alla palazzina del comandante, in virtù della quale doveva escludersi che l'imputato avesse consapevolezza dell'antigiuridicità del proprio comportamento. 
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza degli artt. 187, secondo comma, e 47 nn. 2) e 4), cod. pen. mil . pace, nonché il vizio di motivazione, in rapporto al contestato reato di insubordinazione con ingiuria. La Corte di merito non avrebbe tenuto in adeguato conto lo stato emotivo dell'imputato, a seguito delle forti e reiterate pressioni esercitate su di lui dal comandante per indurlo a desistere dalle sue contestazioni e denunce (anche su questo, si insiste, sarebbe stato necessario sentire l'Ufficiale). Stato emotivo acuito, da un lato, dalla convinzione di stare nel giusto, e dall'altro dal fatto di essersi venuto a trovare, in assemblea, di fronte a un processo sommario inscenato a suo carico, nel quale veniva denigrato, mortificato e ripetutamente attaccato per aver diligentemente denunciato un illecito. Nelle parole in tale contesto pronunciate non vi era alcuna «valenza» illecita, come dimostrato dalla reazione tardiva del comandante (che solo a distanza di mesi si sarebbe rivolto alla Procura della Repubblica) e dalla mancata costituzione di parte civile della presunta persona offesa. In particolare, l'imputato non aveva mai affermato di non voler essere comandato da una donna, non aveva mai inteso disconoscere il rapporto gerarchico e si era limitato a reagire ad aggressioni verbali del suo superiore. La condotta, inurbana forse ma non penalmente illecita, era priva di qualsivoglia offensività e doveva iscriversi in seno al diritto di critica, riconosciuto anche al militare. Mancava comunque il dolo, per le circostanze concrete in cui si erano verificati i fatti, quali desumibili dalle deposizioni, e per il descritto stato d'animo.
5.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza degli artt. 173, e 47 n. 2), cod. pen. mil. pace, nonché il vizio di motivazione, in rapporto al contestato reato di disobbedienza. Pur al di là di talune non rilevanti imprecisioni contenute nelle sentenze di merito, i relativi giudici - punto viceversa centrale - non avrebbero considerato che quello proveniente dal sottotenente B. non era un vero ordine, ma un invito, o esortazione, che, come tale, era stata da L.F. riportata all'imputato. In ogni caso in tal senso esso era stato da quest'ultimo percepito. L'errore sul punto escludeva il dolo. Entrambi i testimoni (B.  e L. F.), tra loro in più parti in contraddizione, non sarebbero stati comunque adeguatamente vagliati nella loro attendibilità. 
5.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza dell'art. 131-bis cod. pen., nonché il vizio di motivazione, in ordine all'omessa pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Tale carattere, non escluso dal mero concorso di reati in continuazione, palesemente ricorreva in ordine a tutti i fatti addebitati, e la contraria motivazione della sentenza impugnata viene additata come inappagante. 
5.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - l'inosservanza degli artt. 62-bis, 69 e 133 cod. pen., nonché il vizio di motivazione, in ordine alla determinazione della pena relativa al reato di disobbedienza, giacché illogicamente il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche non era stato a tale imputazione esteso. 6. All'udienza pubblica odierna la difesa dell'imputato ha insistito per la restituzione nel termine per la proposizione del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 175, comma 1, cod. proc. pen., prospettando le condizioni meteorologiche del 26 febbraio 2018 come causa di forza maggiore impeditiva del tempestivo esercizio del diritto di impugnazione. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. L'istanza di restituzione nel termine, da considerare già implicita nell'attestazione apposta in calce al ricorso per cassazione tardivamente depositato, e quindi in sé tempestiva, deve essere accolta. Costituisce fatto notorio - tale da dispensare la parte interessata dall'onere, altrimenti sussistente, di provare il verificarsi del fatto ostativo al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione (da ultimo, Sez. 1, Sentenza n. 44568 del 09/12/2010, Perini, Rv. 249281) - che la città di Roma, sede dell'Ufficio giudiziario di presentazione dell'atto, fu interessata, il 26 febbraio 2018, data di scadenza del termine, da avverse condizioni meteorologiche, inclusa una precipitazione nevosa che fece scattare i dispositivi di protezione civile e impedì l'ordinaria circolazione dei veicoli e delle persone. L'insorgenza improvvisa dell'evento rende, sotto altro aspetto, ragione del mancato tempestivo ricorso a modalità alternative di impugnazione, quali quelle previste dagli artt. 582, comma 2, e 583, cod. proc. pen. In tale situazione il Collegio effettivamente ravvisa una causa di forza maggiore, impeditiva del diritto di impugnazione nel termine e suscettibile di giustificarne la restituzione a norma dell'art. 175, comma 1, del codice di rito. 
2. Il ricorso può dunque essere scrutinato nel merito, a partire dal suo primo motivo, da giudicare infondato. Il vizio di omessa assunzione di prova decisiva, con esso dedotto, costituisce error in procedendo e ricorre, come dalla giurisprudenza di legittimità più volte affermato (ex pluribus, Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817; Sez. 6, n. 37173 del 11/06/2008, Ianniello, Rv. 241009; Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230589; Sez. 6, n. 31419 del 02/04/2004, Santarelli, Rv. 229259; Sez. 6, n. 35122 del 24/06/2003, Sangalli, Rv. 226326), allorché l'omessa assunzione riguardi un dato istruttorio tale da incidere in modo significativo sulla valutazione complessiva dei fatti e, di conseguenza, sul procedimento decisionale seguito dal giudice, in modo che, confrontato il dato medesimo con le argomentazioni addotte a sostegno della statuizione, esso risulti determinante per un esito diverso del processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione. Nel caso di specie la deposizione P. non attiene direttamente, in tutta evidenza, ai fatti di cui in imputazione, cui il comandante non assistette, ma ad antefatti e posfatti, i quali potevano semmai risultare utili all'esatto inquadramento dei motivi dell'azione - non rilevanti, comunque, ai fini dell'affermazione di responsabilità, a fronte di fattispecie di reato a dolo generico - ma certamente non connotarsi nel segno della decisività nei termini illustrati. Quanto alla documentazione, la cui acquisizione sarebbe stata omessa, il ricorso è sul punto del tutto generico, e non mette la Corte di cassazione in condizione di svolgere alcun effettivo apprezzamento sul punto. Tali ragioni appaiono assorbenti rispetto ad ogni altra considerazione, saldandosi con gli ulteriori rilievi della Corte militare di appello, che ineccepibilmente argomenta sulla superfluità dei mezzi istruttori anche sotto il concorrente aspetto della conseguente non necessità di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. 
3. Il secondo motivo di ricorso, che s'incentra sull'esistenza degli elementi costitutivi del reato di forzata consegna di cui al capo A), non è fondato. L'elemento materiale di tale reato militare è costituito da una «consegna», intesa come complesso di ordini e disposizioni inerenti un determinato compito, assegnata ad un militare, nonché dalla «forzatura» che di tale consegna è autore un altro militare (Sez. 1, n. 7288 del 12/03/1985, Serra, Rv. 170167). A tal fine occorre che il militare, incaricato della consegna, sia nel suo esercizio, o manifesti la volontà di esercitarla, e l'agente, con una condotta di coercizione fisica o morale, o anche con la sorpresa, l'artificio, l'inganno, e ogni altro atto che renda possibile la violazione della consegna (Sez. 1, n. 3737 del 13/12/1991, dep. 1992, Rv. 189933), si frapponga e lo impedisca. Nel caso di specie la consegna era ravvisabile nelle indicazioni e istruzioni inerenti la custodia dei registri, e il loro conforme utilizzo, e la Corte di merito ha motivatamente riscontrato che La Faci si era opposto al prelevamento, che avrebbe contraddetto entrambe le prescrizioni. L'impossessamento dei medesimi, da parte dell'imputato, invito domino, integra il reato. Né risulta incongruenza logica con il fatto che La Faci sia stato comunque disciplinarmente sanzionato, avendo la Corte di merito convenientemente spiegato che tale sanzione fu irrogata non già per non avere egli esercitato la consegna, ossia per non essersi opposto all'azione altrui, ma per non esservisi opposto efficacemente, ossia per non essere riuscito ad impedire, come evidentemente ritenuto possibile nelle circostanze date, l'asportazione dei registri. Quanto al dolo, è sufficiente la coscienza e volontà di forzare la consegna, ed è irrilevante il fine perseguito, a meno che ricorra la scriminante dell'esercizio del diritto codificata dall'art. 51 cod. pen. L'esistenza sul punto di una prassi facoltizzante costituisce tuttavia una mera asserzione difensiva, contrastante con l'espresso rifiuto opposto nella specie dal militare addetto al corpo di guardia. Né può evidentemente scusare l'errore sull'antigiuridicità della condotta, non altrimenti connotato dall'imprescindibile elemento della non evitabilità. 
4. Non è fondato il terzo motivo, teso a confutare l'esistenza degli elementi costitutivi del reato di insubordinazione con ingiuria di cui al capo B). Come esattamente rilevato dalla Corte di merito, il contenuto delle frasi pronunciate dall'imputato all'indirizzo del superiore non era stato sostanzialmente messo in dubbio dal primo, se non (marginalmente) per l'aspetto che, al proclamato rifiuto di farsi comandare, non avrebbe l'imputato aggiunto l'ulteriore riferimento di «genere», non legandosi il rifiuto al fatto che il superiore fosse una donna. Altrettanto correttamente la stessa Corte ha osservato che, quand'anche fosse stato così, elisa cioè la componente «sessista» della singola espressione verbale, permarrebbe il senso complessivo delle affermazioni di S., non riconducibili al legittimo esercizio del diritto di critica e ineccepibilmente ritenute idonee, nel contesto del generale disconoscimento dell'autorità del superiore, a lederne l'onore e il prestigio, e pertanto ad integrare il contestato reato. Nel reato militare di insubordinazione con ingiuria, infatti, integra l'offesa penalmente rilevante ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore, nonché l'uso di un tono arrogante, perché contrari alle esigenze della disciplina militare, che esige che il soggetto di grado più elevato debba essere tutelato non solo nell'espressione della sua personalità umana, ma anche nell'ascendente morale di cui ha bisogno per l'efficace esercizio della funzione di comando (Sez. 1, n. 3971 del 28/11/2013, dep. 2014, De Chiara, Rv. 259013). Quanto ai residui profili nel motivo dedotti, in sede di merito sono state inappuntabilmente escluse situazioni che potessero elidere l'antigiuridicità della condotta, non essendo emersa alcuna reazione difensiva necessitata da una condotta illecita del superiore, ovvero elidere l'imputabilità e la punibilità, su cui notoriamente non influisce (art. 90 cod. pen.) il mero stato emotivo. Palesemente privi di rilievo, ai fini in discorso, sono infine i tempi di proposizione della richiesta di punizione da parte del comandante, risultata comunque tempestiva, o il fatto che l'ufficiale Bruschi si sia o meno costituito parte civile nel processo. 5. Infondato è il quarto motivo, articolato a confutazione del ritenuto reato di disobbedienza di cui al capo C). Dalla sentenza impugnata - le cui argomentazioni sul punto non risultano efficacemente contestate, essendo del tutto generica la deduzione di contrasto tra le deposizioni testimoniali, e di mancato vaglio dell'attendibilità dei deponenti - si ricava come L.F.  avesse verbalmente comunicato all'imputato di rimanere nel posto di guardia, perché così disposto in quel momento per telefono dal superiore gerarchico, essendo insorti problemi in ordine alla licenza; e che, ciò nonostante, Sapio si fosse allontanato. Priva di base giuridica appare allora la deduzione ulteriore, secondo cui la disposizione non avrebbe dovuto intendersi come ordine in senso formale, posto che questo non richiede formule sacramentali (Sez. 1, n. 3007 del 23/12/1987, dep. 1988, Indice, Rv. 177825), essendo sufficiente che la manifestazione di volontà del superiore, attinente al servizio o alla disciplina, non lasci alcun margine di libertà al comportamento del militare di grado subordinato, vincolato all'obbligo di obbedienza. Né rileverebbe il fraintendimento sul punto da parte dell'imputato, che sarebbe errore sul precetto (e non sul fatto), irrilevante ai sensi dell'art. 5 cod. pen. 
6. Manifestamente infondato è il quinto motivo. L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinato dall'art. 131-bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015, è invero applicabile ai reati militari, come da questa Corte riconosciuto (Sez. 1, n. 30694 del 05/06/2017, Corda, Rv. 270845), ma il giudice di merito, con accertamento sul punto coerentemente e logicamente motivato e perciò insuscettibile di censura in questa sede di legittimità, ha ritenuto di doverne escludere l'applicazione in ragione della ripetizione dei comportamenti e della loro significativa offensività. 7. Fondato appare il sesto, e ultimo, motivo. La Corte di merito ha lasciato inalterata rispetto al primo grado la pena inflitta, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti, per il reato di disobbedienza. Sotto tale aspetto la decisione è censurabile. Non vi era alcuna ragione logica o giuridica per cui il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, operato dalla medesima Corte in accoglimento di apposito motivo di gravame, non dovesse a tale reato essere esteso. 8. In questa sola parte la sentenza impugnata deve essere annullata. Al vizio rilevato può rimediare direttamente questa Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, ai sensi dell'art. 620 lett. I) cod. proc. pen., mediante la diminuzione di un terzo della pena riferita al reato di disobbedienza; misura di riduzione già applicata, in secondo grado, ai reati residui, cui le attenuanti generiche prevalenti erano state già riferite. L'annullamento deve essere pertanto pronunciato senza rinvio e la pena inflitta per il reato di disobbedienza (capo C) deve essere per l'effetto rideterminata in quella di un mese e dieci giorni di reclusione militare. Nel resto il ricorso deve essere respinto.
 P.Q.M. Previa restituzione nel termine per impugnare, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta per il reato di cui al capo C), che ridetermina, in virtù della già riconosciuta prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, in un mese e dieci giorni di reclusione militare. Rigetta nel 
resto il ricorso. 
Così deciso il 02/10/2018 
Il Consigliere estensore 
Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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