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Sentenza

Ufficiali della Croce rossa impugnano ordinanza che caducava la corresponsione ...
Ufficiali della Croce rossa impugnano ordinanza che caducava la corresponsione di adeguamenti stipendiali, previa sottoscrizione di appositi atti di transazione.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4573 del 2016, proposto da:

M.M., D.G.C., D.R., F.P., B.L., rappresentati e difesi dall'avvocato Paolo Leone, domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

sul ricorso numero di registro generale 4887 del 2016, proposto da:

D.B. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Peter Ugolini, con domicilio eletto presso lo studio Peter Ugolini in Roma, via Cicerone, 28;

contro

Ente strumentale alla Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

per ambedue i ricorsi

della sentenza del TAR. Lazio - Roma: Sezione III-Quater n. 13484/2015, resa tra le parti, concernente corresponsione di adeguamenti stipendiali

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ente Strumentale Alla Croce Rossa Italiana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Sasso su delega di P. Leone, P. Ugolini e avv.to dello Stato Cesaroni;
Svolgimento del processo

1.Con l'appello in esame, i ricorrenti, tutti ufficiali del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, impugnano la sentenza 30 novembre 2015 n. 13484, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III-quater, ha respinto il loro ricorso, volto ad ottenere l'annullamento dell'ordinanza 30 giugno 2008 n. 336, con la quale il Presidente della Croce Rossa Italiana ha annullato ex tunc tre precedenti ordinanze del Commissario straordinario (nn. 1382, 1383, 1384 del 17 luglio 2003), recanti corresponsione adeguamenti stipendiali, previa sottoscrizione di appositi atti di transazione.

Le ordinanze commissariali annullate erano state emanate a seguito della precedente ordinanza commissariale 17 marzo 2003 n. 470, con la quale il Vice Commissario pro-tempore della CRI decideva "di dare esecuzione, in via straordinaria, alla promozione del personale di assistenza in servizio continuativo giudicato idoneo al grado superiore e non promosso relative al Q.A. 1994 - 1995".

L'ordinanza impugnata è stata adottata a seguito di una ispezione del Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica del Ministero dell'Economia e finanze, dalla quale emergevano irregolarità nella gestione del Corpo e, in particolare, nella gestione del trattamento economico sotto il profilo della illegittimità della prassi generalizzata di riconoscere al personale promosso il trattamento dovuto con decorrenza retroattiva, nonché l'illegittimità delle transazioni sottoscritte.

La sentenza impugnata ha preso atto di quanto risultante dalla relazione ispettiva, ed in particolare del fatto che:

- "la promozione del militare può avvenire solo laddove vi siano posti disponibili nel grado cui aspira";

- "al personale promosso a seguito dell'ordinanza commissariale 470/2003 l'anzianità assoluta nel nuovo grado è stata riconosciuta illegittimamente", alterandosi completamente l'ordine di anzianità del personale d assistenza;

- i promossi a seguito dell'ordinanza commissariale 470/2003 "hanno quindi finito per beneficiare di avanzamenti 5-6 anni prima del dovuto con grave pregiudizio a tutto il personale";

- occorre procedere "al recupero delle somme illegittimamente percepite dai militari a seguito dell'illegittimo riconoscimento del grado".

A tanto, la sentenza aggiunge che:

"il fondamento giuridico delle corresponsione ai militari delle somme arretrate deve individuarsi non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati, ma nei provvedimenti amministrativi autorizzativi delle transazioni stesse che di queste costituiscono il necessario presupposto e che possono costituire oggetto di annullamento in autotutela allorquando risultano illegittimamente emanati".

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; illogicità della motivazione; erronea o parziale ricostruzione dei fatti; poiché laddove la sentenza afferma che la ordinanza n. 394/2012, di annullamento in autotutela dell'ordinanza n. 470/2003, non sarebbe "oggetto di impugnazione nel presente giudizio", occorre precisare che la predetta ordinanza si riferisce unicamente al personale militare della carriera dei sottufficiali, laddove tutti gli appellanti sono ufficiali (e dunque privi di interesse ad impugnarla);

b) error in iudicando, in quanto "è chiaramente apodittica la motivazione indicata nella sentenza impugnata, laddove si rifletta sul dato che, dall'opinione circa la illegittimità degli avanzamenti operati dalla CRI con i Q.A. 1994-95, non può farsi conseguire ipso iure la legittimità del recupero degli emolumenti retributivi corrisposti al personale militare in ragione dell'avanzamento in questione, specie laddove tali importi erano attribuiti ai militari a seguito della stipula di atti individuali di transazione, con la quale espressamente le parti rinunciavano a proporre, in futuro, qualunque ulteriore domanda inerente il rapporto transatto";

c) error in procedendo et in iudicando; violazione art. 112 c.p.c.; omessa valutazione delle censure sposte con il ricorso introduttivo; impugnazione del capo unico di sentenza nella parte in cui implicitamente sono rigettate le censure esposte con il primo motivo di ricorso; ciò in quanto: c1) poiché "i presupposti e la disciplina della transazione in campo pubblicistico sono gli stessi di quelli adottati dal codice civile . . . una volta stipulata la transazione, il relativo contratto è disciplinato dalle regole dettate dal codice civile e su di esso non è più possibile per l'amministrazione incidere unilateralmente con un proprio provvedimento che, ove adottato, sarà da considerare inficiato da carenza assoluta di potere; c2) non sussiste il presupposto perché l'amministrazione possa procedere all'annullamento in autotutela della delibera a contattare, con conseguente travolgimento degli atti di autonomia privata posti in essere, poiché non sussiste né assenza, né inesistenza, né invalidità di tale determinazione; c3) in ogni caso, l'amministrazione ha operato "una riconsiderazione dell'interesse pubblico sotteso alla determinazione a contrattare adottata nell'anno 2003", di modo che il potere esercitato è da definirsi come potere di revoca della delibera a suo tempo adottata, privo di effetti ex tunc, inidonei " a travolgere anche i rapporti e i diritti medio tempore consolidatisi in capo ai destinatari dell'atto", i quali ultimi, per effetto della revoca, avrebbero titolo ad un indennizzo ex art. 21-quinquies L. n. 241 del 1990, per gli effetti non ancora prodottisi.

Si è costituito in giudizio l'Ente strumentale alla Croce Rossa Italiana che, previa ricostruzione dei fatti per cui è causa, ha concluso per il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza.

All'udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

2. La sentenza del TAR per il Lazio 30 novembre 2015 n. 13484, è stata impugnata anche dai signori D.B. ed altri, come in epigrafe indicati, che hanno proposto i seguenti motivi di appello:

a1) eccezione di prescrizione, stante l'assenza di atti interruttivi della prescrizione del presunto diritto dell'amministrazione a richiedere la restituzione degli emolumenti già corrisposti;

b2) erroneità della sentenza per difetto di motivazione; ingiustizia manifesta; travisamento; illegittimità dell'atto impugnato per violazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione; eccesso di potere; ciò in quanto: b2.1) "l'ente pubblico non ha il potere di revocare in autotutela le ordinanze o delibere che abbiano autorizzato la transazione con i propri dipendenti, aventi ad oggetto il riconoscimento di determinati benefici, in quanto tali provvedimenti non hanno natura di atti amministrativi in senso proprio, ma di semplici atti negoziali di gestione del rapporto"; in effetti "con la stipula delle transazioni si è verificata una novazione della fonte di credito, con conseguente sostituzione dell'accordo transattivo alla primigenia ordinanza commissariale"; b2.2) non sussiste la indisponibilità dei diritti oggetto di transazione, né il recupero delle somme rappresenta un atto dovuto ex art. 2033 c.c.; b2.3) è del tutto carente, sia in sentenza che nell'originario provvedimento, "l'indicazione dell'interesse pubblico attuale e concreto che la stessa ordinanza dovrebbe tutelare", come pure la "motivazione e ponderazione comparativa in ordine all'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni acquisite e consolidatesi"; in definitiva, l'ordinanza n. 470/2003 "non avrebbe dovuto essere annullata in autotutela in quanto si trattava di un provvedimento straordinario ed equitativo di sanatoria di atti errati in precedenza adottati dalla CRI, perché in spregio di qualsiasi criterio di selezione tra il personale promosso";

c1) violazione art. 21-nonies L. n. 241 del 1990, art. 1, co. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311; artt. 3, 36 e 97 Cost.; in quanto il provvedimento assunto in autotutela è stato emanato senza il rispetto del principio del cd. termine ragionevole, e, comunque, oltre tre anni dopo l'acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo annullato;

d1) difetto di istruttoria; poiché il provvedimento impugnato fa riferimento solo a una nota del Ministero della sanità, "ma non risultano in atti i pareri, pur richiamati nell'ordinanza, degli altri organi interessati".

Si è costituito anche in questo giudizio l'Ente strumentale per la Croce ossa Italiana, che ha concluso per il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza.

Con ordinanza 29 luglio 2016 n. 3189, questa Sezione ha rigettato la domanda di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata.

All'udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

3. Preliminarmente, occorre procedere alla riunione dei due ricorsi in appello, ai sensi dell'art. 96, co. 1, Cpa, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza.

4.1. Gli appelli sono infondati e devono essere, pertanto, respinti, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

4.2. Giova premettere, in punto di fatto, che con ordinanza commissariale n. 470 del 17 marzo 2003, fu disposta una serie di promozioni di grado del personale militare di assistenza della Croce Rossa Italiana, con decorrenza retroattiva dal 1994, con susseguente disposizione di pagamento delle competenze e degli arretrati connessi alle promozioni (come da successive ordinanze nn. 1382, 1383 e 1384 del 17 luglio 2003).

Tuttavia a seguito dell'ispezione del competente Servizio Ispettivo di Finanza Pubblica, delle raccomandazioni formulate dal Ragioniere Generale dello Stato e delle successive osservazioni del Ministero dell'Economia e Finanze, è stata disposto l'annullamento della citata ordinanza n. 470/2003 e di tutte le conseguenti promozioni del personale di assistenza effettuate in forza di essa, in quanto, in sostanza, le predette promozioni di grado risultavano disposte in assenza di posti in organico, in contrasto con quanto disposto dal R.D. 10 febbraio 1936, n. 484, in cui all'art. 89 si prevede che "non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici dei singoli gradi".

Il Commissario Straordinario della C.R.I. ha pertanto adottato l'ordinanza n. 394 del 2012, con cui ha annullato la precedente ordinanza n. 470/2003, e conseguentemente le promozioni del personale di assistenza del Corpo Militare della C.R.I. effettuate in forza di essa; contestualmente si è proceduto a reinquadrare giuridicamente il personale militare in questione, operando anche un reinquadramento economico con ricalcolo delle somme da ripetere per effetto delle illegittime promozioni attribuite.

5. Tanto richiamato in punto di fatto, occorre evidenziare che questa Sezione ha già avuto più volte modo di affrontare le questioni oggetto del presente giudizio, pervenendo a conclusioni che si intendono ribadite e ritrascritte nella presente sede.

5.1. Questa Sezione ha innanzi tutto evidenziato (Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2015 n. 750) che è consolidato in giurisprudenza il principio per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della p.a., a norma dell'art. 2946 c.c.., è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 1993, nr. 294; Corte Conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, nr. 782).

Più specificamente, l'azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.

Nel caso di specie, l'erogazione delle somme è avvenuta in esecuzione dell'ordinanza n. 470/2003, con la quale era stato disposto l'inquadramento nelle rispettive posizioni superiori, ai fini sia giuridici che economici, di militari che all'esito delle procedure di avanzamento a suo tempo espletate erano risultati semplicemente idonei ma non promossi. E poiché l'ordinanza che ha annullato l'erogazione delle somme è stata emanata nel 2012, l'attività di ripetizione è certamente tempestiva rispetto al termine decennale previsto dall'art. 2946 cod. civ.

5.2. Con riferimento alla violazione dei principi in tema di autotutela e, in particolare, dell'art. 21.nonies L. n. 241 del 1990, si è affermato (Cons. Stato, sez. IV, n. 750/2015 cit.) che è consolidato l'indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l'esercizio del diritto-dovere dell'Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale ed in tali ipotesi l'interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione. Infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l'oggetto del recupero produce di per sé un danno all'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all'Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, nr. 2902; id., 28 ottobre 2013, nr. 5173).

Inoltre, l'affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all'esercizio del potere-dovere di recupero: l'Amministrazione non è tenuta a fornire un'ulteriore motivazione sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, nr. 4519; id., sez. V, 30 settembre 2013, nr. 4849).

Infine, alla luce di quanto ora esposto, risulta recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell'affidamento maturato in capo agli interessati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, nr. 4429; id., 31 maggio 2013, nr. 2986; id., 10 dicembre 2012, nr. 11548).

5.2.1. A quanto ora richiamato, occorre aggiungere che non risulta applicabile al caso di specie quanto previsto dall'art. 1, co. 136, L. n. 311 del 2004, sia in quanto l'attività di recupero di somme indebitamente corrisposte risulta doverosa e priva di valenza provvedimentale; sia in quanto detta disposizione non risulta applicabile al caso di specie, dove il rapporto di lavoro del personale (ed il caso specificamente in esame) non risulta regolato contrattualmente, trattandosi di personale in regime di diritto pubblico.

5.3. Con riferimento al mancato rispetto della disciplina civilistica in tema di transazione, questo Consiglio di Stato in sede consultiva (parere 4 novembre 2016 n. 2301) ha affermato:

"E' stato, d'altra parte, opportunamente rilevato come il fondamento giuridico della corresponsione ai militari delle somme arretrate deve individuarsi non già nei singoli atti di transazione stipulati con gli interessati, ma nei provvedimenti amministrativi autorizzativi delle transazioni stesse che di queste ne costituiscono il necessario presupposto e che possono costituire oggetto di annullamento in autotutela allorquando risultino illegittimamente emanate.. . . In definitiva . . . in presenza di norme imperative che fissano con certezza i criteri per l'indicazione sulla decorrenza economica in caso di promozione (artt. 131, 159 e 168 del R.D. n. 484 del 1936) e che stabiliscono il principio da seguire nel dar corso agli avanzamenti (art. 89 stesso R.D.), l'Amministrazione mai avrebbe potuto porre in pagamento somme relative a periodi antecedenti la data di emissione del decreto (per gli Ufficiali) o del brevetto (per i Sottufficiali) di promozione, né procedere ad avanzamenti di grado in assenza di posti disponibili in organico".

Alle considerazioni innanzi riportate, occorre ulteriormente aggiungere:

- quanto alla disciplina civilistica del contratto di transazione, lo stesso può avere ad oggetto solo diritti dei quali le parti abbiano la capacità di disporre (art. 1966 c.c.), e tali non possono essere considerate le posizioni giuridiche della pubblica amministrazione conformate da norme imperative;

- più in generale, la Pubblica Amministrazione può sempre agire unilateralmente sull'accordo (anche a contenuto patrimoniale) stipulato con un privato, collegato ad un provvedimento amministrativo o sottoscritto in sostituzione di questo, tutte le volte in cui lo richiedano esigenze di interesse pubblico, per la cura del quale essa conserva sempre posizioni di supremazia (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017 n. 2256 e ulteriore giurisprudenza ivi richiamata).

6. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui esposte e richiamate, gli appelli devono essere respinti, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Stante la particolare natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),

definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da M.M. ed altri (n. 4573/2016 r.g.) e da B.D. ed altri (n. 4887/2016 r.g.), come in epigrafe indicati:

a) riunisce gli appelli;

b) li respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata;

c) compensa tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 13 luglio 2017.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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