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Sentenza

Comandante di stazione dei Carabinieri accusato di simulazione d'infermità aggra...
Comandante di stazione dei Carabinieri accusato di simulazione d'infermità aggravata continuata e truffa militare pluriaggravata continuata.
Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 30-07-2019) 05-08-2019, n. 35604

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Presidente -
Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere -
Dott. DI PAOLA Sergio - rel. Consigliere -
Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -
Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.O.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 3/04/2019 della Corte militare  d'appello;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale  Militare  Dott. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
Udita l'Avv. Sabrina Apollinaro che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte  militare  d'appello, con sentenza in data 3 aprile 2019, confermava la condanna alle pene ritenute di giustizia pronunciata dal Tribunale  militare  di Napoli, in data 20 giugno 2018, nei confronti di M.O.F., in relazione ai reati di simulazione d'infermità aggravata continuata e truffa  militare  pluriaggravata continuata, con riferimento a due periodi di assenza ingiustificata dal servizio, accertati dal 27 settembre al 6 ottobre 2011 e dal 23 al 27 agosto 2012.
All'imputato, comandante della Stazione dei carabinieri di (OMISSIS), veniva addebitato inizialmente di aver fatto ricorso reiteratamente a certificazioni mediche compiacenti, o comunque non corrispondenti alle effettive condizioni fisiche, simulando l'esistenza di patologie che impedivano la presenza presso la sede di servizio, così inducendo in errore l'amministrazione di appartenenza che erogava gli emolumenti spettanti in assenza delle prestazioni di servizio.
All'esito dell'istruttoria di primo grado, venivano ritenute dimostrate due distinte vicende: la prima occorsa in occasione del matrimonio dell'imputato che, non potendo fruire del congedo per 15 giorni (per avere già richiesto nell'anno di competenza numerosi congedi per motivi di salute), otteneva una licenza straordinaria di soli cinque giorni, per poi far pervenire una certificazione medica attestante l'impossibilità di riprendere servizio rilasciata mentre l'imputato era pacificamente all'estero, certificazione ritirata - presso il medico che l'aveva predisposta - da militari della stessa Stazione incaricati del materiale ritiro. La sentenza metteva in rilievo che la pratica diretta alla richiesta del congedo era stata caratterizzata da anomalie significative, quali la falsa indicazione da parte dell'imputato della destinazione del viaggio di nozze (nelle isole Maldive, presso una località che l'imputato aveva riferito - ad espressa richiesta - essere nel territorio nazionale), considerate le procedure per il rilascio di licenze all'estero in ragione dei fattori connessi ai rischi terroristici.
La seconda vicenda riguardava l'invio di una certificazione medica attestante l'impedimento fisico dell'imputato, certificazione rilasciata nella giornata in cui l'imputato si trovava a Napoli sino alle ore serali e che era stata recapitata il giorno successivo presso il comando dei Carabinieri per giustificare l'assenza dal servizio; il sanitario che aveva redatto la certificazione aveva riferito in sede di esame che in diverse occasioni aveva rilasciato certificazioni relative a patologie sulla scorta delle sole indicazioni del M., senza visitare personalmente il paziente.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo di ricorso, vizi di motivazione per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, art. 533 c.p.p., nonchè con riferimento all'omessa risposta alle censure sollevate con l'atto di appello.
Dopo aver riprodotto testualmente il contenuto della motivazione (pagg. 314 del ricorso) il ricorrente censura l'uso del canone probatorio indiziario osservando che il contenuto delle prove testimoniali poste a fondamento della decisione di condanna sarebbe stato travisato "in punto di fatto" quanto all'episodio del ritiro del certificato medico, concernente il periodo di assenza dell'imputato dal 27 settembre al 6 ottobre 2011; dai verbali di prova non risultava che tutti i testi escussi avessero riferito espressamente del ritiro di un certificato medico commissionato dall'imputato al sanitario indicato nella contestazione. Aggiunge il ricorrente che la Corte d'appello non aveva considerato l'assenza di prova circa contatti telefonici tra l'imputato e il sanitario (elemento necessario per ipotizzare che il certificato fosse stato richiesto nell'interesse del M.); erroneamente la sentenza aveva affermato che in ipotesi di viaggio all'estero di dipendenti militari la relativa domanda di congedo dovesse essere presentata entro un termine perentorio; risultava irrilevante la falsa indicazione fornita dall'imputato in ordine alla collocazione geografica della destinazione del viaggio di nozze ove si sarebbe recato; evidente la difformità nei criteri di valutazione della prova testimoniale; erronea l'interpretazione della normativa regolamentare sulla fruizione di riposi compensativi, così come rilevante era l'omessa considerazione della documentazione processuale che attestava un complotto ordito ai danni del M., elemento che doveva imporre l'assoluzione dell'imputato atteso il ragionevole dubbio che i fatti accertati fossero parte di un più ampio disegno criminoso in danno del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione, in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, con riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato per l'episodio relativo al periodo 23-27 agosto 2012. La sentenza aveva erroneamente escluso la verosimiglianza dell'ipotesi difensiva che la certificazione rilasciata al M. fosse stata richiesta, in tarda ora, nella stessa giornata in cui risultava redatto il certificato; il sanitario che lo aveva rilasciato, escusso quale teste, si era limitato a riferire di non ricordare i dettagli della vicenda e non aveva, quindi, escluso tale possibilità; infine, la decisione aveva omesso di considerare la prova documentale dell'esistenza di un contatto telefonico cellulare tra l'imputato e il sanitario nella serata di quel giorno.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. D), in riferimento alla prova testimoniale e documentale richiesta sia davanti al Tribunale, che in grado di appello, senza alcuna statuizione sul punto.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B), in relazione all'art. 129 c.p.p., attesa l'intervenuta estinzione dei reati per prescrizione in riferimento al certificato medico rilasciato il 23 agosto 2012.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. B), in relazione all'art. 131 bis c.p., considerata l'omessa pronuncia di proscioglimento per tenuità del fatto, richiesta all'udienza del 3 aprile 2019, a fronte di percezioni di emolumenti non superiori ad Euro 600.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Quanto al primo motivo di ricorso, va osservato innanzitutto che, in relazione al denunciato travisamento della prova testimoniale riguardante le circostanze del ritiro della certificazione medica, il ricorso mira in realtà, come denuncia la formula utilizzata dal ricorrente (evocando il travisamento "in punto di fatto" delle prove assunte) a valutare diversamente il contenuto delle prove testimoniali.
Le testimonianze dei militari R., C., E. e P. erano state considerate e valutate dalla sentenza di primo grado (pag. 13) e da quella impugnata (pagg. 13-14), mettendo in evidenza come la lettura coordinata delle prove indicate dal ricorrente, e la loro valutazione logica, convergevano nella dimostrazione del dato, incontestabile, dell'attivazione da parte del M. dei suoi sottoposti per recarsi presso lo studio di un medico (poi risultato il sanitario che aveva redatto il certificato medico in suo favore) per il ritiro di documentazione; la circostanza che alcuni di essi non avessero contezza della natura del documento e del suo contenuto (circostanza che non vien negata dalla sentenza impugnata) non elide il dato storico che conferma la tesi di accusa.
Per ciò che concerne, poi, le ulteriori censure sollevate dal ricorrente, in parte esse riguardano aspetti non decisivi (l'assenza di prova di contatti telefonici tra l'imputato e il sanitario; le previsioni regolamentari sui viaggi all'estero dei militari; il rilevo della falsa indicazione della destinazione del viaggio da intraprendere), in parte risultano del tutto generiche nella denuncia dei lamentati vizi (sui criteri di valutazione della prova e sulla mancata considerazione della documentazione processuale relativa ad un complotto in danno del imputato) a fronte di una motivazione che ha messo in rilievo il dato centrale del rilascio di una certificazione medica in favore dell'imputato, mentre questi si trovava fuori dall'Italia, senza alcuna possibilità di verifica delle condizioni di salute, coniugato con la disponibilità di un periodo di congedo inferiore a quello necessario per la programmata permanenza all'estero.
2.2. In relazione alle questioni sollevate con il secondo motivo di ricorso, va rilevato che le censure formulate sono anch'esse generiche nella misura in cui non si confrontano con gli argomenti e le motivazioni di entrambe le sentenze di merito. Così, dalla lettura della decisione del Tribunale  militare di primo grado risulta che la certificazione rilasciata il 23 agosto 2012 era "senza diagnosi e prognosi di 5 giorni (integrato in udienza dalla difesa con uno avente diagnosi di crisi ipertensiva con cefalee)" (pag. 22 della sentenza); che il controllo dei tabulati telefonici evidenziava due contatti telefonici alle 17,38 e alle 19,16 del 23 agosto 2012, mentre l'imputato si trovava tra Capri (ove aveva soggiornato sino al mattino) e Napoli, diretti a raggiungere il sanitario che avrebbe rilasciato la certificazione. La sentenza impugnata ha, poi, messo in rilievo il contenuto della deposizione del professionista (che, nella qualità di medico di base, per un periodo di circa un anno aveva prescritto in una sola occasione un farmaco al M., suo assistito: pag. 7 della sentenza) del tutto vaga e imprecisa sulle circostanze del rilascio della certificazione, conclusa con un'implicita amissione di superficialità della propria condotta, per aver redatto certificati medici anche senza visitare il paziente. Rispetto a tale quadro indiziario, preciso - per le indicazioni temporali e geografiche -, grave - per la qualità dei soggetti interessati alla vicenda, per l'anomalia della redazione di un certificato medico senza aver sottoposto a visita il paziente, tanto da rilasciarlo privo di indicazione quanto alla diagnosi -, e concordante quanto agli elementi raccolti nella direzione della precostituzione dell'apparente stato di malattia, la tesi alternativa proposta dall'imputato (che aveva sostenuto di essersi recato nella serata del 3 agosto 2012 presso l'abitazione del sanitario per essere visitato) appare non solo scarsamente verosimile, ma altresì non supportata da elementi di prova di riscontro e smentita, logicamente, dal professionista che - ove effettivamente accaduta una tale circostanza, per la singolarità di una visita non presso lo studio, ma presso la propria abitazione avrebbe ragionevolmente conservato un ricordo al riguardo.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, è manifestamente infondato: il ricorrente nel dedurre il motivo non offre le necessarie indicazioni sulla decisività delle prove che lamenta non essere state assunte; inoltre, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità sul punto, la mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 20, sicchè il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui (come accaduto nel procedimento in oggetto, alla stregua dell'illustrazione dello svolgimento processuale contenuto nella sentenza impugnata a pag. 9) il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24-11-2016, dep. 2017, Fiaschetti, Rv. 269270; sez. 1, n. 18149 del 11-11-2015, dep. 2016, Korkaj, Rv. 266882; Sez. 2 n. 9763 del 6/02/2013, Muraca, Rv. 254974; Sez. 2, n. 841 del 18/12/2012, dep. 2013, Barbero, Rv. 254052).
2.4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato: quanto al delitto commesso attraverso la produzione del certificato medico del 23 agosto 2012, tenuto conto degli atti interruttivi rappresentati dalle sentenze di primo e secondo grado, oltre che del periodo di sospensione del corso della prescrizione conseguente alla richiesta di differimento dell'udienza, per concomitante impegno professionale, dell'8 ottobre 2015 (rinviata al 14 gennaio 2016), periodo pari a giorni 60, il termine massimo di prescrizione maturerà il 20 aprile 2020.
2.5. Il quinto motivo di ricorso è anch'esso proposto per motivo non consentito.
Nell'atto di appello, non risulta proposto quale motivo di impugnazione la violazione dell'art. 131 bis c.p.; solo nel corso dell'udienza davanti alla Corte d'appello, la difesa aveva depositato una memoria difensiva, chiedendo peraltro il proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 bis c.p.p. (come riportato nell'esposizione contenuta nella sentenza impugnata: pag. 11 della sentenza), istituto sconosciuto.
Rispetto a tale condizione obiettiva l'omesso esame del motivo, peraltro prospettato in modo assolutamente generico (solo nel corso dell'udienza in grado di appello), non comporta la necessità dell'invocata riforma della sentenza, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte secondo il quale "in tema di impugnazioni, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte" (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263980; nonchè Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314; Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, D'Alessandro, Rv. 254280).
3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019
Avv. Antonino Sugamele

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