Comandante di stazione, luogotenente, accusato di essersi appropriato dei buoni pasto. Il Tribunale militare ha escluso la sussistenza del delitto di peculato perché il buono pasto non rappresenta un bene in sé.
a seguente SENTENZA sul conflitto di competenza sollevato da: TRIBUNALE DI FIRENZE nei confronti di: TRIBUNALE MILITARE DI ROMA con l'ordinanza del 04/06/2018 del TRIBUNALE di FIRENZE udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA; lette/sentite le conclusioni del PG SIMONE PERELLI Il PG chiede che la Corte dichiari la competenza del Tribunale Militare di Roma. udito il difensore E' presente l'avvocato PERUZZI JACOPO FOLCO del foro di FIRENZE in difesa di: B.G. in proprio e quale sostituto processuale dell'avvocato VOCE ANTONIO del foro di FIRENZE in difesa di: B.G. per delega orale, che conclude chiedendo che sia dichiarata la competenza del Tribunale di Firenze.
Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale militare di Roma, con sentenza del 7-16 ottobre 2014, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione in ordine al reato di truffa in danno dell'Amministrazione militare (art. 234, comma 2, c. p. m. p.) così meglio e diversamente qualificato il fatto ascritto a G.B., luogotenente dei Carabinieri, comandante della Stazione CC. di F. , rispetto all'originaria imputazione di peculato militare continuato e di tentativo di peculato aggravato (artt. 215, 46, 47 n. 2, c. p. m. p.; 56 e 81 cpv c.p.), per essersi appropriato, con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, di alcuni buoni pasto, di cui aveva il possesso per ragioni di servizio, emessi dalla Serist - servizi ristorazione s.r.l. - e rilasciati a militari aventi diritto, effettivi alla Stazione; e per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad appropriarsi di altri buoni pasto senza riuscire però a fruire, come invece fatto peri altre occasioni, della somministrazione gratuita dei corrispondenti pasti.
1.1. Il Tribunale militare ha escluso la sussistenza del delitto di peculato perché il buono pasto non rappresenta un bene in sé, neanche virtualmente, e solo con la sua contraffazione si costituisce un obbligo al pagamento da parte dell'Ente pubblico, altrimenti non dovuto. L'appropriazione del buono pasto non compilato non è in sé significativa perché, al di là del valore cartaceo che è nullo, non è indicativo di alcun bene già dell'amministrazione. Solo con la compilazione si costituisce l'obbligo della ditta alla prestazione, con successiva retribuzione a carico dell'amministrazione. Qualificato quindi come truffa militare aggravata, che è reato meno grave di quello di cui all'articolo 479 cod. pen. per il quale procede il Tribunale di Firenze, la competenza spetta interamente a quest'ultimo. 1.2. Il tribunale di Firenze, all'esito dell'istruzione dibattimentale e specificamente all'udienza del 28 marzo 2018 ha preso atto dell'integrazione dell'imputazione fatta dal pubblico ministero quanto al capo originariamente alla cognizione del Tribunale militare, che ne ha comportato la riqualificazione in termini di peculato militare. Ha quindi disposto la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione del conflitto di giurisdizione. Considerato in diritto 1. Il conflitto affidato alla risoluzione di questa Corte sussiste, in quanto due giudici contemporaneamente hanno ricusato la cognizione del medesimo fatto loro deferito indicando ciascuno la competenza dell'altro, e hanno così dato luogo alla situazione prevista dall'art. 28 c.p.p. Esso, ammissibile in rito, va risolto con la dichiarazione di competenza del Tribunale militare di Rpma. 2. Il fatto, sì come descritto nell'imputazione chiarita e completata dal pubblico ministero di Firenze all'udienza del 27 marzo 2018, integra la fattispecie di peculato militare e non già quella di truffa militare, reato meno grave di quello, in rapporto di connessione, di falso ideologico in atto pubblico per il quale procede il giudice ordinario di Firenze. Dall'imputazione si rileva che i buoni pasto, poi indebitamente utilizzati, erano nel possesso dell'imputato che, nella qualità di comandante la Stazione CC., ne disponeva per assegnarli, una volta completati con l'indicazione del nominativo di pertinenza, ai vari militari che avevano titolo alla somministrazione gratuita del pasto. L'indebita spendita del buono si verificava dopo che il Comandante della Stazione CC. aveva apposto la sua sottoscrizione e il nominativo di un militare avente diritto alla prestazione ma che non aveva comunque interesse alla somministrazione, tant'è che non aveva provveduto a ritirare il buono o, ritiratolo, lo aveva poi restituito. Il completamento del buono con l'indicazione del nominativo del beneficiario e la sottoscrizione del responsabile gerarchicamente sovraordinato non si sostanziò, pertanto, in un meccanismo artificioso necessario affinché il pubblico ufficiale potesse entrare nei possesso di un valore economicamente rilevante altrimenti spettante all'Amministrazione; esso, invece, realizzò la semplice modalità di spendita di quel bene, che è un mezzo di pagamento dal valore predeterminato e che una volta attribuito al singolo beneficiario incorpora nel documento cartaceo, di per sé dal valore pressoché nullo, il diritto alla somministrazione del pasto con conseguente e automatico esborso di spesa a carico dell'Amministrazione. Si specifica nell'imputazione che i buoni pasto, poi indebitamente utilizzati dall'imputato, erano da annullare una volta che non erano stati ritirati dai militari aventi diritto o da costoro erano stati restituiti, a conferma del dato, essenziale ai fini della qualificazione della condotta contestata, che i buoni pasto erano in tal modo già pronti per essere spesi, senza necessità di alcun marchingegno che consentisse al detentore, ossia al Comandante della Stazione CC., di potersene appropriare. 3. Se si tiene presente la distinzione tra il momento di spendita indebita del buono da quello in cui l'autore ne ebbe irt possesso, non è dubbio che il fatto contestato sia da qualificare come peculato, secondo il principio di diritto per il quale "il delitto di peculato (art. 215 cod. pen. mil . pace) presuppone che il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, nel momento in cui pone in essere la condotta appropriativa, abbia già, in via esclusiva o congiuntamente ad altri, un potere materiale (possessó) o giuridico (disponibilità) sulla cosa mobile altrui, e, inoltre, che gli artifici e i raggiri o le falsità servano ad occultarlo. La truffa (art. 234 cod. pen. mil . pace), al contrario, ricorre quando la condotta fraudolenta sia predisposta al fine di consentire al soggetto agente di entrare in possesso della provvista in vista della successiva condotta appropriativa. Il discrimine tra peculato e truffa (aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 9 cod. pen.) deve essere, pertanto, individuato nella strumentalità dei comportamenti fraudolenti rispetto al conseguimento del potere materiale o giuridico sulla cosa mobile altrui, tipica della truffa e incompatibile con il peculato, nel quale gli artifici, i raggiri, le falsità tendono necessariamente ad un risultato ulteriore e diverso" - Sez. 1, n. 17320 del 11/04/2006, Pagliari, Rv. 234133 -. 4. Il conflitto negativo va dunque risolto a favore del Tribunale militare di Roma, a cui vanno trasmessi gli atti. Seguono le comunicazioni di cui all'articolo 32, comma 2, c.p.p. P.Q.M. Dichiara la giurisdizione del Tribunale militare di Roma cui dispone trasmettersi gli atti. Così ueciso in Roma, 8 gennaio 2019
25-02-2019 22:05
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