Furto militare continuato.
SENTENZA sul ricorso proposto da: L.M. nato a il avverso la sentenza del 06/02/2018 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CAPPUCCIO; udito il Pubblico Ministero, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 febbraio 2018 la Corte militare di appello ha confermato la sentenza con cui il Tribunale militare di Napoli, in data 8 novembre 2016, ha condannato M.L.i alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi e quindici giorni di reclusione militare, ritenendolo responsabile del reato di furto militare continuato. La contestazione attiene alla sottrazione, nelle date del 4 e dell'8 novembre 2011, di gasolio per riscaldamento, prelevato dai serbatoi della centrale termica del reparto di appartenenza di L. e del correo S. B.i. Premesso che B. ha reso ampia confessione in ordine ad entrambi gli episodi, la Corte militare di appello rileva, quanto alla posizione di L. ed a confutazione dei motivi di impugnazione proposti dalla sua difesa, che egli ha concorso nei reati portando fuori dalla caserma le taniche preparate da B. nella piena consapevolezza del contenuto dei recipienti, desumibile già dall'essere la consegna avvenuta all'interno della caserma e dai rapporti esistenti tra L. e B., le cui mansioni di idraulico erano perfettamente note all'odierno ricorrente il quale, dunque, non poteva in alcun modo dubitare che il combustibile proveniva dalla centrale termica cui il concorrente era addetto. Tanto, a dispetto della protesta di innocenza dell'imputato — il quale si è detto all'oscuro della provenienza illecita del combustibile — avallata dalle dichiarazioni dei testimoni escussi in dibattimento e da quelle di B., netto nell'assumere di avere approfittato della buona fede del collega. Escluso che le condotte in contestazione possano essere qualificate come incauto acquisto ex art. 712 cod. pen., la Corte nega l'applicabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., avuto riguardo alla reiterazione delle condotte illecite ed alle peculiari modalità esecutive di fatti pure aventi ad oggetto beni di modesto valore economico. 2. L. propone, con il ministero dell'avv. Pierpaolo Fischetti, ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo di ricorso, eccepisce l'inutilizzabilità delle riprese video da cui sono state estratte le immagini utilizzate per identificare il L. quale coautore dei fatti in contestazione, eseguite, in difetto della prescritta autorizzazione giudiziaria, all'interno di una caserma, sito che, ai fini considerati, dovrebbe essere assimilato al domicilio o ad altro luogo di privata dimora. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, che ha condotto ad affermare la penale responsabilità di L. pur in presenza di un quadro probatorio non idoneo a varcare la soglie dell' «oltre ogni ragionevole dubbio», specie nella parte in cui nega attendibilità alle dichiarazioni di B., ampiamente liberatorie nei confronti dell'odierno ricorrente, ed àncora la prova dell'elemento soggettivo dei reati a deduzioni frutto di pura intuizione quando non addirittura illogiche, svalutando ingiustificatamente diverse — e senz'altro plausibili — ricostruzioni alternative. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso, deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all'omessa derubricazione delle condotte accertate nella contravvenzione sanzionata dall'art. 712 cod. pen., potendo, al più, il contegno psicologico dell'imputato essere qualificato in chiave colposa. 2.4. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all'omessa applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., che non sarebbe preclusa dalla reiterazione del comportamento illecito e sarebbe, invece, imposta dal modestissimo valore economico, stimabile in poche decine di euro, del combustibile trafugato.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto. 2. Con il primo motivo, si deduce l'inutilizzabilità degli esiti delle registrazioni video effettuate da un ufficiale di polizia giudiziaria, senza previa autorizzazione giudiziale, all'interno di una caserma, luogo da ritenersi rientrante nell'ampio concetto di «domicilio» ai sensi dell'art. 14 Cost. e, quindi, assoggettato alle garanzie prevista dalla norma costituzionale, nel caso di specie non assicurate. 2.1. La doglianza è priva di pregio, atteso che la caserma, sede di servizio di L. e del correo, i quali hanno agito in costanza della prestazione lavorativa, non può essere considerata quale «domicilio» o «luogo di privata dimora», ai fini del divieto delle registrazioni attinenti a comportamenti non comunicativi, in quanto aperta all'accesso di un numero indiscriminato di persone. La giurisprudenza di legittimità ha, in argomento, precisato, sulla scia delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, che per «luogo di privata dimora» deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei (Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, Di Franco, Rv. 265703; Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563; Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942), senza che peraltro ciò implichi che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius excludendi alios rilevante ex art. 614 cod. pen. non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'art. 14 Cost. garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio. Deve, pertanto, escludersi che possa considerarsi luogo di privata dimora ogni luogo al quale è consentito l'accesso ad un numero indiscriminato di persone, salvo che nelle ore di chiusura (condizione neanche dedotta nel caso di specie), quando, cioè, in esso il titolare può compiere qualsiasi attività di indole privata. Coerenti con tale linea ricostruttiva sono le decisioni con le quali si è negata la qualità di luogo di privata dimora, tra l'altro, ad ambienti quali i locali di un istituto scolastico (Sez. 6, n. 14150 del 14/02/2019, M., Rv. 275464), la stanza di degenza di un ospedale (Sez. 6, n. 22836 del 13/05/2009, Rizzi, Rv. 244148), una agenzia di pompe funebri (Sez. 4, n. 45323 del 12/12/2002, dep. 2003, Tripodo, Rv. 226887), l'ufficio di un Sindaco (Sez. 2, n. 2873 del 21/04/1997, Viveri, Rv. 208756). 2.2. La censura difensiva, oltre che, come visto, infondata, è altresì priva del prescritto connotato di decisività, giacché le riprese di cui si discute documentano una attività che lo stesso imputato ha, in dibattimento, ammesso di avere compiuto, discutendosi, piuttosto, della sua consapevolezza in ordine alla provenienza illecita delle taniche da lui prelevate e caricate sulla propria autovettura. 3. Il secondo motivo è inammissibile perché tende alla rivalutazione, non consentita nella sede di legittimità, di emergenze probatorie che i giudici di merito hanno interpretato attraverso un percorso immune da contraddittorietà o manifesta illogicità. La Corte militare di appello ha, invero, condiviso in toto la ricostruzione operata dal primo giudice, incentrata sull'inattendibilità della versione difensiva, sebbene accreditata dalle concordi dichiarazioni di B.e L., che vuole il secondo ignaro della matrice furtiva delle taniche che, in due distinte occasioni, egli ha prelevato e portato seco su impulso ed in accordo con il commilitone, che, in entrambi i casi, aveva occultato i contenitori all'interno di un sacco di plastica nera per la spazzatura e lo aveva posizionato nel sottoscala ove, successivamente, L. se ne era appropriato. I giudici di merito hanno, in proposito, ritenuto, seguendo un iter argomentativo che si sottrae alle censure avanzate con il ricorso, che la consapevolezza, in capo all'odierno ricorrente, delle mansioni espletate da B. in seno all'unità di appartenenza e, soprattutto, le anomale e caute modalità della consegna delle taniche, volte ad occultarne il prelievo, concorrono ad attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sua responsabilità concorsuale, apparendo priva di significativa plausibilità la lettura alternativa che vede l'ignaro imputato ricevere, all'interno dei locali dell'area militare, carburante di proprietà del collega, che lo aveva portato dalla zona di origine ed intendeva testarne l'utilizzabilità quale carburante da autotrazione approfittando della disponibilità di L., come lui proprietario di un veicolo alimentato a gasolio. 4. Le conclusioni raggiunte dalla Corte di militare di appello in ordine alla consapevolezza, da parte di M.L., della provenienza del gasolio contenuto nelle taniche dai serbatoi dell'amministrazione ed alla causalità dell'apporto da lui fornito in relazione alla consumazione del furto e, quindi, alla lesione del bene giuridico offeso rendono inammissibile, per manifesta infondatezza, il terzo motivo di ricorso, incentrato sul diverso ed inconciliabile presupposto che, perfezionatosi il reato per effetto dell'iniziativa illecita del solo B., l'odierno ricorrente sarebbe intervenuto in un momento distinto e successivo, ricevendo il bene di matrice furtiva con atteggiamento psicologico connotato, al più, da colpa, e, pertanto, giustificante la qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 712 cod. pen.. Assunto, questo, che, è bene ribadire, trova insormontabile ostacolo nell'iscrizione del contributo di L. nell'ambito delle condotte finalizzate alla commissione di un reato che, prima del suo intervento, non si era ancora perfezionato. 5. In ordine, infine, al quarto ed ultimo motivo, vertente sul diniego di applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., la Corte militare di appello pone l'accento, da un canto, sulla reiterazione delle condotte furtive e, dall'altro, sulla obiettiva gravità del fatto, inconciliabile con la particolare tenuità richiesta dalla norma invocata. La prima notazione non è, a ben vedere, decisiva, atteso, in fatto, che L. si è reso autore di due sole condotte furtive e, in diritto, che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito (sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591) che «Ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame».
Il precedente rilievo non giova, nondimeno, alla causa del ricorrente, giacché l'omessa applicazione, da parte del giudice di merito, della causa di esclusione della punibilità si palesa conforme all'insegnamento, pure proveniente dal massimo organo nomofilattico (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), secondo cui «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo». I giudici militari, invero, sebbene posti al cospetto di una condotta che, come ricordato dal ricorrente, ha avuto ad oggetto beni dal modesto valore economico, hanno, tuttavia, mostrato di apprezzarne le modalità oltremodo insidiose all'atto di irrogare una sanzione — la cui misura non è stata oggetto di ricorso per cassazione — anche per questa ragione largamente superiore al minimo edittale di due mesi di reclusione militare, previsto dall'art. 230, primo comma, cod., pen. mil. pace (applicabile in forza dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulle contestate aggravanti), ciò che attesta univocamente l'irriducibilità della vicenda alle ipotesi di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen.. 6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di L. al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 07/03/2019.
19-07-2019 17:04
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