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Sentenza

Furto militare pluriaggravato....
Furto militare pluriaggravato.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 11178 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Mandolesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Paolo Emilio n. 34;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., n.c.;
Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del legale rappresentante p.t., n.c.;

per l'esecuzione

dell'ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 3968/2018, emessa in data 27.06.2018;

e per l'annullamento,

previa sospensione,

del (nuovo) Decreto del 10.09.2018 con cui è stata confermata, nei confronti del ricorrente, la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2018 la dott.ssa Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Considerato che:

- con l'atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 5 ottobre 2018 e depositato il successivo 8 ottobre 2018, il sig. -OMISSIS- ha chiesto l'esecuzione dell'ordinanza n. 3968/2018, di accoglimento “ai fini del riesame” dell'istanza cautelare formulata con il ricorso n. 6131 del 2018 - dal predetto presentato per l'annullamento del decreto con cui, in data 6 aprile 2018, il Ministero della Difesa aveva disposto a suo carico la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” - e, nel contempo, l'annullamento del provvedimento in data 10 settembre 2018 con cui, in esecuzione dell'ordinanza de qua, l'Amministrazione ha confermato “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, in precedenza disposta;

- l'Amministrazione intimata – ancorché ritualmente evocata in giudizio – non si è costituita;

- alla camera di consiglio del 19 novembre 2018 - fissata per la trattazione della domanda cautelare - il difensore del ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla domanda di esecuzione dell'ordinanza n. 3968/2018 e, dunque, ha insistito per l'accoglimento dell'istanza di sospensione dell'esecuzione del nuovo provvedimento adottato in data 10 settembre 2018 dall'Amministrazione, oggetto di gravame;

- nel corso della medesima camera di consiglio – previo accertamento della completezza dell'istruttoria e del contraddittorio nonché sentite le parti sul punto, ai sensi dell'art. 60 c.pr.amm. – il ricorso è stato trattenuto in decisione;

Ritenuto che, in via preliminare, sussista la necessità di prendere atto della rinuncia alla domanda di esecuzione dell'ordinanza cautelare n. 3968 del 2018, con conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio in parte qua, ai sensi dell'art. 35 c.pr.amm., seppure non possano essere sottaciute le peculiarità del caso, primariamente connesse al rilievo che la domanda in trattazione riguarda un provvedimento meramente interinale, reso – peraltro - nell'ambito di un giudizio instaurato mediante la proposizione di un differente ricorso (rectius: il N. R.G. 6131/2018), la quale sarebbe stata meritevole di essere propriamente formulata in virtù del rimedio offerto dall'art. 59 c.pr.amm.;

Rilevato che – ciò detto – permane da valutare la domanda di annullamento del provvedimento in data 10 settembre 2018, meglio indicato in epigrafe;

Ritenuto che tale domanda sia fondata, atteso che:

- come si trae dalla disamina di quanto riportato nell'atto introduttivo del giudizio ma anche della documentazione agli atti, il ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento con cui l'Amministrazione – in esito al “riesame” imposto dal Tribunale con la su indicata ordinanza cautelare - ha nuovamente disposto nei confronti del predetto la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

- in particolare, il ricorrente deduce i vizi “già espressi nel precedente gravame” e, segnatamente, l'eccesso di potere sotto svariati profili, quali – tra l'altro – il travisamento dei fatti, la carenza di istruttoria e la violazione del principio di proporzionalità, ravvisando - in sintesi - una sorta di automatismo tra la condanna penale e l'adozione del provvedimento gravato e, in particolare, denunciando l'omessa valutazione da parte dell'Amministrazione delle “modalità di accadimento dei fatti contestati, soprattutto ai fini della gradualità e proporzionalità nella scelta della sanzione da irrogare”;

- orbene, le su indicate censure sono meritevoli di positivo riscontro;

- al riguardo, appare opportuno ricordare che:

a) già con il provvedimento M_D GMIL REG2018 0230937 del 6 aprile 2018, il Ministero della Difesa aveva disposto a carico del ricorrente – “carabiniere in f.v.” - “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, “preso atto dellerisultanze della Commissione di Disciplina”, espresse in esito all'inchiesta formale avviata a seguito dell'intervenuta emissione della “sentenza n. 68 del 7 novembre 2017, divenuta irrevocabile dall'8 dicembre 2017 …., con la quale il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale Militare di Roma applicava nei confronti del sopracitato militare, ai sensi dell'art. 444 del Codice di Procedura Penale, la pena sospesa di mesi 9 (nove) di reclusione militare, in ordine” al reato di “furto militare pluriaggravato”;

b) il menzionato provvedimento – gravato con il ricorso n. 6131/2018 - è stato sospeso “ai fini del riesame” con l'ordinanza n. 3968/2018, sulla base della motivazione “che il ricorso appare assistito dal fumus boni iuris prescritto dalla legge, tenuto conto – in particolare – delle peculiarità che connotano la vicenda contestata e, in stretta correlazione ad essa, di quanto lamentato dall'interessato in ordine alla violazione del principio di proporzionalità, tanto più ove si valuti la motivazione posta a supporto della decisione adottata”;

c) l'Amministrazione è tornata, dunque, a determinarsi, procedendo all'adozione del provvedimento indicato in epigrafe, in cui è dato testualmente leggere che il -OMISSIS- “ha posto in essere un reato il cui disvalore risulta di immediata percezione”, “all'epoca dei fatti prestava servizio da tre anni e si trovava in ferma volontaria”, e, dunque, il “suo comportamento ha: leso i principi di moralità e di rettitudine che devono sempre caratterizzare il comportamento di un militare, specie se appartenente all'Arma dei Carabinieri; compromesso irrimediabilmente quella relazione fiduciaria che deve necessariamente permanere tra Amministrazione e dipendente”;

- tutto ciò detto, sussistono validi elementi per ravvisare i vizi in precedenza indicati, tenuto conto che:

a) il provvedimento impugnato è stato inequivocabilmente adottato in esito ad una rinnovata valutazione da parte dell'Amministrazione dei fatti addebitabili al ricorrente nonché della situazione in cui versa quest'ultimo, anche sotto il profilo della posizione dallo stesso rivestita (“carabiniere in f.v.”);

b) tale rinnovata valutazione si rivela, peraltro, non esaustiva e, comunque, non strettamente aderente alle peculiarità che connotano la vicenda in trattazione;

c) seppure sia noto che – a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001 – la sentenza di patteggiamento sia stata parificata ad una sentenza di condanna, è, altresì, pacificamente riconosciuto che l'emissione di una tale sentenza non esime l'Amministrazione dal procedere ad un'accurata disamina dei fatti contestati e, in particolare, della condotta dell'interessato, tenuto conto che – come più volte affermato in giurisprudenza – la sentenza di patteggiamento non riveste “efficacia vincolante” e, conseguentemente, impone accertamenti istruttori autonomi e accurati, i quali debbono investire non solo i fatti addebitati al dipendente ma anche l'incidenza effettiva e concreta di quest'ultimi sul rapporto con l'Amministrazione, il che – peraltro – giustifica l'inoperatività del termine perentorio previsto dall'art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990 per la conclusione del procedimento disciplinare (Cass. Civ., Sezione Lavoro, 21 gennaio 2015, n. 1024; C.d.S., Sez. V, 27 marzo 2017, n. 1368; C.d.S, Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 85; TAR Campania, Salerno, 26 maggio 2015, n. 1148; TAR Lazio, Sez. II, 8 gennaio 2015, n. 146);

c) in altri termini, risulta ormai pacificamente ammesso che il patteggiamento non è da solo sufficiente per affermare la responsabilità dell'incolpato ma - in ogni caso - consente all'Amministrazione di “fare legittimo riferimento alla condanna patteggiata per ritenere accertati, in sede disciplinare, i fatti emersi nel corso del procedimento penale che appaiano fondatamente ascrivibili al dipendente, in base ad un ragionevole apprezzamento delle altre risultanze del procedimento” (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 733; TAR Lazio, Sez. I bis, 14 marzo 2015, n. 4195);

d) in sintesi, la condanna penale c.d. patteggiata ben si presta ad essere intesa come un dato essenzialmente di “partenza” per l'operato dell'Amministrazione nel senso che – comunque - impone a quest'ultima un'autonoma e compiuta valutazione dei fatti, in coerenza con le risultanze del procedimento penale, le quali assumono così rilevanza non solo ai fini della configurazione dell'illecito contestato ma anche in relazione alla gravità della condotta dell'incolpato, senza, ancora, trascurare la valenza degli indicati elementi anche in ordine alla sindacabilità del c.d. “gradualismo sanzionatorio”, corollario del più ampio e generale “principio di proporzionalità” (cfr. C.d.S., Sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302);

e) tutto ciò detto, il provvedimento impugnato si rivela in distonia con i principi enunciati, tenuto conto che l'Amministrazione ha disposto la sanzione massima adottabile nei confronti del ricorrente, ossia la “perdita del grado”, basandosi – in definitiva – sulla constatazione della compromissione irrimediabile del rapporto fiduciario tra la stessa e il dipendente, determinata dal comportamento di quest'ultimo, e, dunque, la decisione in tale modo adottata dimostra non solo la carenza di una compiuta istruttoria ma anche la violazione del “principio di proporzionalità”, e ciò proprio in ragione dei contenuti della sentenza di patteggiamento (che - seppure prodotta nel giudizio instaurato con il ricorso n. 6131/2017 – è di sicura rilevanza anche in questo giudizio), atteso che, in essa, l'offesa è definita di “modesta entità” e - ancora più importante - la “vicenda in giudizio” è riconosciuta di “carattere episodico”, tanto da esprimere “una prognosi favorevole circa la non futura commissione di altri reati da parte dell'imputato”, con l'ulteriore precisazione che – a fronte di tali affermazioni del giudice penale – non risultino essere stati addotti o, meglio, presi in considerazione dall'Amministrazione elementi e/o circostanze atti a svilire il valore e la portata delle stesse;

d) a conferma della conclusione a cui si è pervenuti depone - del resto – l'orientamento assunto dalla Sezione in relazione a casi similari, secondo cui “nell'irrogazione della sanzione massima, l'Amministrazione deve specificamente ed adeguatamente valutare non tanto l'astratta natura della condotta ascritta al dipendente, quanto la sua obiettiva gravità, nel senso dell'incidenza che ha avuto nel contesto sociale e quanto essa sia sintomatica di una propensione a violare le regole di condotta anche alla luce della complessiva personalità e la condotta precedente e successiva del dipendente” (sent. 28 aprile 2017, n. 5027). Orbene, non vi è chi non veda come, nell'ipotesi in trattazione, non siano in alcun modo ravvisabili elementi utili a comprovare che tale valutazione sia stata effettuata;

Ritenuto, in conclusione, che tanto sia sufficiente per l'accoglimento della domanda di annullamento, con assorbimento delle ulteriori censure formulate, fatto – comunque – salvo il potere dell'Amministrazione di rideterminarsi in relazione alla vicenda in trattazione, tenendo conto delle considerazioni svolte nella presente sentenza;

Ritenuto, peraltro, che – in ragione delle peculiarità della vicenda in esame – le spese di giudizio debbano essere liquidate a favore del ricorrente in € 500,00, oltre agli accessori di legge;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 11178/2018, come in epigrafe proposto:

- dichiara estinto per rinuncia il giudizio nella parte in cui trae origine dalla proposizione dell'azione di esecuzione dell'ordinanza n. 3968/2018;

- accoglie la domanda di annullamento e, per l'effetto, annulla il provvedimento del Ministero della Difesa del 10 settembre 2018, meglio indicato in epigrafe;

- condanna l'Amministrazione intimata al pagamento dello spese di giudizio, così come liquidate in motivazione;

- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2018 con l'intervento dei Magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Antonella Mangia, Consigliere, Estensore

Rosa Perna, Consigliere

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Antonella Mangia		Concetta Anastasi
Avv. Antonino Sugamele

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