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Sentenza

Il procedimento disciplinare si identifica in relazione alla specifica contestaz...
Il procedimento disciplinare si identifica in relazione alla specifica contestazione degli addebiti formalmente rivolta al militare inquisito. E' a tale atto introduttivo che occorre avere riguardo, per stabilire la legittimità di un nuovo procedimento disciplinare, il quale sarà correttamente instaurato se diretto a contestare nuovi e diversi addebiti rispetto a quelli iniziali, mentre non possono prendersi in considerazione gli elementi probatori nuovi del medesimo comportamento a suo tempo contestato.
T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 28/02/2019, n. 230
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 302 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Angelini, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto, 27;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria in Torino, via Arsenale, 21;
per l'annullamento
della determinazione del -OMISSIS-del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il -OMISSIS-, con la quale è stata disposta a carico del ricorrente, a decorrere dal -OMISSIS-, ai soli fini giuridici, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari;
di ogni ulteriore atto presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale, tra cui la determinazione del -OMISSIS- del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, con la quale il ricorrente è stato sospeso dal servizio, gli atti dell'inchiesta formale, nonché il verbale della seduta della Commissione di disciplina in data -OMISSIS-;
e per la condanna del Ministero della Difesa al risarcimento del danno;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 23 gennaio 2019 il dott. Savio Picone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Il ricorrente -OMISSIS-, -OMISSIS-, nell'estate del 2006 era in servizio presso la -OMISSIS-.
Con provvedimento del -OMISSIS-, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri dispose nei suoi confronti la sospensione dal servizio, ai sensi dell'art. 4 della L. n. 97 del 2001, a seguito dell'intervenuta condanna ad un anno e sette mesi di reclusione per il reato di peculato aggravato (sentenza del Tribunale -OMISSIS- del 6 aprile del 2009).
La condanna è stata confermata con sentenza della Corte d'Appello -OMISSIS- dell'-OMISSIS-.
La Corte di Cassazione, con sentenza del -OMISSIS-, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la pronuncia d'appello.
Per i fatti contestati, il Capo di Stato Maggiore della Legione Carabinieri -OMISSIS-ha deferito il ricorrente al giudizio della Commissione di disciplina la quale, nella seduta del -OMISSIS-, lo ha giudicato "non meritevole di conservare il grado".
Ne è scaturito il provvedimento del -OMISSIS-, con il quale è stata inflitta la "perdita di grado a seguito di rimozione per motivi disciplinari" al ricorrente, che ne chiede qui l'annullamento deducendo la violazione del principio del ne bis in idem, la violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990 e l'eccesso di potere per difetto d'istruttoria e travisamento dei fatti, la violazione del principio di proporzionalità.
Si è costituito il Ministero della Difesa, chiedendo il rigetto dell'impugnativa.
Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2019 la causa è passata in decisione.
Con il primo motivo, il ricorrente afferma che l'adozione della sanzione disciplinare di stato nei suoi riguardi violerebbe il principio del ne bis in idem, per la coincidenza della motivazione di tale misura con quella di una sanzione di corpo precedentemente irrogata.
In contrario, è sufficiente rilevare che la sanzione di corpo fu comminata, nel 2006, per una violazione autonoma e non coincidente rispetto a quella in esame, ossia per la mancata redazione, da parte del ricorrente, del verbale susseguente al sequestro -OMISSIS-.
Secondo un principio generale, il procedimento disciplinare si identifica in relazione alla specifica contestazione degli addebiti formalmente rivolta al militare inquisito. E' a tale atto introduttivo che occorre avere riguardo, per stabilire la legittimità di un nuovo procedimento disciplinare, il quale sarà correttamente instaurato se diretto a contestare nuovi e diversi addebiti rispetto a quelli iniziali, mentre non possono prendersi in considerazione gli elementi probatori nuovi del medesimo comportamento a suo tempo contestato (cfr. Cons. Stato sez. IV, 18 maggio 2004 n. 6403).
Nella specie, il procedimento disciplinare è stato avviato nei confronti del ricorrente dopo il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'Appello -OMISSIS-.
Nel 2006 allo stesso ricorrente era stato contestato, nell'ambito di un diverso procedimento disciplinare, di avere trattenuto presso di sé una quantità di -OMISSIS- risultata differente, per peso e confezionamento, rispetto a quella originariamente sequestrata, senza dare notizia ai superiori ed all'autorità giudiziaria, per oltre un mese, e senza avere provveduto alla redazione degli atti da inoltrare alla Prefettura per l'avvio del procedimento amministrativo nei riguardi dei detentori ai quali lo stupefacente era stato sequestrato.
Per tali condotte, il ricorrente venne sanzionato dal -OMISSIS-con due giorni di consegna, decorrenti dal -OMISSIS-, con la seguente testuale motivazione: "per negligenza: non depositava con la dovuta tempestività -OMISSIS-, da lui precedentemente sequestrata, presso il locale reparto a ciò preposto; non redigeva la prescritta segnalazione amministrativa da inoltrare alla competente Prefettura nei confronti dei detentori -OMISSIS- sequestrato".
Alla luce di quanto esposto, il successivo provvedimento disciplinare è stato legittimamente adottato in relazione alla più grave condotta accertata nel giudizio penale: secondo quanto statuito nella sentenza di condanna, il ricorrente si appropriò di quattro ovuli contenenti eroina da sequestro, dopo averli aperti, riconfezionati ed indebitamente trattenuti nel proprio ufficio (per la dettagliata ricostruzione dei fatti, si veda pag. 14-ss della motivazione della sentenza del Tribunale -OMISSIS- - doc. 1).
Non vi è stata, pertanto, alcuna duplicazione della sanzione disciplinare.
Quanto alle restanti censure, il Collegio osserva che gli addebiti di responsabilità sono stati oggetto di adeguata istruttoria in sede amministrativa, nei passaggi dell'inchiesta formale, del deferimento alla Commissione di disciplina, della determinazione ministeriale conclusiva.
L'attività di accertamento disciplinare è stata svolta, sotto il profilo sia formale che sostanziale, nel rispetto delle garanzie del contraddittorio, poiché l'incolpato ha avuto ampio modo di esporre oralmente e per iscritto le proprie difese.
I motivi di addebito, formulati per relationem attraverso il richiamo della sentenza di condanna, risultano chiari e rispondenti ai fatti.
L'istruttoria si è basata sull'oggettività dei fatti ed ha evidenziato chiaramente la responsabilità dell'incolpato in ordine all'addebito disciplinare.
Come è noto, ai sensi dell'art. 653 cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna esplica efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con conseguente preclusione di ogni correlativo potere di differente valutazione della rilevanza penale del fatto in questione in sede disciplinare, mentre la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati, in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare e, dunque, in ordine al rapporto tra l'infrazione e il fatto, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile al di fuori delle ipotesi di manifesta illogicità, irragionevolezza e sproporzione (Cons. Stato, sez. VI, 8 agosto 2014 n. 4237).
L'Amministrazione è, dunque, chiamata a stabilire se una determinata condotta, sicuramente tenuta dall'imputato e certamente costituente illecito penale, sia meritevole di sanzione sotto il profilo disciplinare. Nel caso di specie, l'interessato è incorso in una sanzione disciplinare di stato, dopo lo svolgimento di un'appropriata attività istruttoria, che ha evidenziato la sua responsabilità e la gravità oggettiva dei fatti. Quest'ultima, come si è detto, attiene al merito della discrezionalità amministrativa, non censurabile in sede di giudizio di legittimità, salve le ipotesi di travisamento dei fatti o di manifesta irragionevolezza che, nel caso di specie, non si ravvisano.
Secondo il giudizio espresso dal Ministero, il ricorrente ha posto in essere un comportamento di notevole gravità, proprio in ragione del ruolo rivestito e delle delicate funzioni a lui devolute. A nulla è valsa la circostanza che, nell'ultima valutazione utile, egli sia stato giudicato in modo positivo. Il Ministero ha condiviso le conclusioni della Commissione di disciplina, nel senso che la condotta accertata nel giudizio penale ha leso i principi di moralità e di rettitudine che devono sempre caratterizzare il comportamento di un appartenente -OMISSIS-ed ha compromesso irrimediabilmente la relazione fiduciaria che deve permanere tra Amministrazione e dipendente.
Neppure sussiste l'affermata sproporzione tra addebito e sanzione, soltanto a considerare l'appartenenza del ricorrente -OMISSIS-e l'impegno istituzionalmente richiesto in compiti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi.
La motivazione del provvedimento impugnato risulta pienamente esaustiva, mediante il richiamo degli atti dell'inchiesta formale e del verbale della Commissione di disciplina.
In conclusione, il ricorso è infondato.
E' conseguentemente respinta la domanda di risarcimento del danno.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero della Difesa, nella misura di Euro 1.000,00 (oltre accessori di legge se dovuti).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Savio Picone, Consigliere, Estensore
Rosanna Perilli, Referendario
Avv. Antonino Sugamele

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