Illegale detenzione di più armi comuni da sparo: una pistola Astra Patent cal. 7,65 (capo A), una pistola marca Beretta mod. 70 cal. 7,65 (capo D), una pistola marca Beretta cal. 22 (capo G), una pistola marca Browning cal. 6,35 (capo I), una pistola marca Regina cl. 6.35 (capo M) e tre fucili doppietta senza marca (capo N) nonchè del reato di detenzione illegale di due bombe SRCM modello 34 (capo B) nonchè di una cartuccia per arma da guerra Kalashnikov e di un serbatoio caricatore per moschetto automatico Beretta MAB 38 (capo P)
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-07-2019) 21-10-2019, n. 43064
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P. - Presidente -
Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -
Dott. TALERICO Palma - Consigliere -
Dott. APRILE Stefano - Consigliere -
Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.G.A.G.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/10/2018 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALIFFI FRANCESCO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. PINELLI MARIO MARIA STEFANO, che ha concluso chiedendo il rigetto.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 9 ottobre 2018 la Corte di appello di Cagliari, per quel che interessa in questa sede, ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale della stessa città aveva ritenuto D.G.G.A.M. colpevole dei reati di illegale detenzione di più armi comuni da sparo aventi ad oggetto rispettivamente: una pistola Astra Patent cal. 7,65 (capo A), una pistola marca Beretta mod. 70 cal. 7,65 (capo D), una pistola marca Beretta cal. 22 (capo G), una pistola marca Browning cal. 6,35 (capo I), una pistola marca Regina cl. 6.35 (capo M) e tre fucili doppietta senza marca (capo N) nonchè del reato di detenzione illegale di due bombe SRCM modello 34 (capo B) nonchè di una cartuccia per arma da guerra Kalashnikov e di un serbatoio caricatore per moschetto automatico Beretta MAB 38 (capo P); La Corte di appello aveva, inoltre, provveduto a rideterminare il trattamento sanzionatorio in anni due e mesi undici di reclusione eliminando le porzioni di pena correlati ai reati per i quali aveva dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione.
Secondo le conformi valutazioni dei giudici di merito, l'imputato, nel lungo periodo in cui aveva operato come vice comandante e reggente della stazione carabinieri di (OMISSIS), aveva acquisito, con varie modalità connesse al servizio espletato, e poi mantenuto fino al sequestro operato in data 6 ottobre 2011 la disponibilità delle numerose armi indicate nei capi di imputazione in assenza della prevista denuncia alla locale autorità di pubblica sicurezza, della cui necessità era pienamente consapevole in ragione della sua qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, militare dell'arma e comandante di una stazione dei carabinieri.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite dei difensori di fiducia, avv.ti Dora Magliona e Maria Cristina Ximenes, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche; la Corte territoriale non avrebbe fornito risposte adeguate alle censure formulate nell'atto di appello in ordine alla sussistenza delle fattispecie incriminatrici contestate e non avrebbe attribuito il giusto peso all'iscrizione nel registro modello 38 a nome del ricorrente di molte delle armi oggetto delle condotte illecite pur trattandosi di adempimento che implica necessariamente una denuncia - comunicazione da parte del detentore. Quanto, poi, alla classificazione rispettivamente come munizioni da guerra e parti di arma da guerra della cartuccia per Kalashnikov e del caricatore per moschetto automatico, essa non tiene conto dell'evoluzione giurisprudenziale che ha interessato il criterio della spiccata potenzialità offensiva ai fini della definizione normativa delle armi da guerra e delle munizioni destinate al loro caricamento; detta caratteristica è stata esclusa nell'ipotesi in cui siano commerciabili munizioni per arma comune da sparo dotate di una superiore capacità di offesa alla persona. Nessuna rilevanza potrebbe essere attribuita alla circostanza, valorizzata invece dai giudici di merito, che il caricatore detenuto dal D.G. possa essere utilizzato anche in pistole mitragliatrici in dotazione alle Forze dell'ordine.
2.2. Con il secondo motivo denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza; la Corte di appello, allineandosi alla decisione assunta in primo grado, ha fondato il giudizio di responsabilità a carico dell'imputato anche sulla relazione redatta dai carabinieri A. e P. in data 14.10.2011; detto atto, tuttavia, sarebbe inutilizzabile perchè documenta un'attività tecnica irripetibile non effettuata secondo la procedura prevista dall'art. 360 c.p.p. Nè a tale inutilizzabilità potrebbe porsi rimedio valorizzando le dichiarazioni testimoniali rese dall'appuntato A. in merito all'avvenuta distruzione delle bombe perchè esse non forniscono alcuna informazione sulla integrità ed efficienza degli ordigni distrutti e sulla loro potenzialità offensiva atteso che l'attività è stata eseguita con l'impiego di cariche esplosive esterne.
Le dichiarazioni rese dall' A. sono inattendibili sia per la sua scarsissima competenza in materia sia per gli- errori in cui è incorso nella collocazione cronologica delle operazioni di distruzione degli ordigni; rimane, pertanto il dubbio che l'esecuzione in contraddittorio dell'esperimento tecnico avrebbe consentito di accertare la reale natura degli ordigni senza incorrere negli errori di valutazione così come avvenuto in sede di classificazione di altri reperti sequestrati al D.G.: il caso delle micce risultate avariate in esito all'esame condotto dal consulente della difesa.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Giova, in premessa, rammentare e ribadire il condivisibile principio di diritto secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 5191 del 29.3.2000, Rv. 216473; Sez. 5, n. 119333 del 27.1.2005, Rv. 231708). Per quel che interessa in questa sede, un motivo di ricorso è specifico in relazione alla prospettazione del vizio di motivazione e di travisamento dei fatti, se contiene la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un'evidenza - pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante - di per sè dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez. 1, n. 54281 del 5/7/2017, Tallarico, Rv. 272492 - 01).
Va, infine, sottolineato che nel giudizio di legittimità resta esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
La Corte di Cassazione, dunque, non può essere chiamata ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli elementi probatori, a fortiori attraverso una sollecitazione "frammentata", spettando ad essa unicamente il controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 9/10/2012, P.M. in proc. Aprovitola, Rv. 253774; Sez. 2, n. 7380 dell'11/1/2007, Messina e altri, Rv. 235716).
3. Esaminata sotto quest'angolo visuale, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, in quanto, scevra da evidenti incongruenze o interne contraddizioni, ha fornito puntuale riposta alle doglianze, anche a quelle vertenti sulle questioni giuridiche riproposte in questa sede come motivi di ricorso.
3.1. Il primo motivo è generico: il ricorrente si è, invero, limitato a sviluppare, oltretutto con approccio essenzialmente assertivo-confutativo, rilievi di mero fatto o aspecifici in ordine alla ricostruzione e valutazione delle emergenze processuali I giudici territoriali hanno, infatti, chiarito, peraltro uniformandosi a principi giuridici consolidati, che non ricorreva la particolare ipotesi di esenzione di cui al T.U.L.P.S., art. 38, comma 2, lett. c), e che nessuno dei titoli di cui il D.G. ha documentato la titolarità erano equiparabili alla denuncia di detenzione, compreso l'inserimento dei dati nel registro custodito presso la Stazione Carabinieri, tenuto conto della natura e delle caratteristiche delle armi oggetto delle condotte contestate. Invero, la norma di cui all'art. 38 cit. T.U.L.P.S. impone a chiunque abbia la disponibilità di un'arma e delle relative munizioni a qualunque titolo, quindi anche in via temporanea e per conto di terzi, a prescindere dall'appartenenza in forza di un diritto reale o personale di godimento, di farne denuncia all'autorità di polizia, onde consentirle di avere precisa cognizione della presenza di armi, del luogo di conservazione e dell'identità del detentore nell'ambito territoriale di competenza. I medesimi principi, dettati dalla "ratio" perseguita dalla previsione normativa, funzionale ad assicurare la costante possibilità di controllo ed apprensione delle armi denunciate, conservano validità anche nei riguardi di quanti abbiano acquisito detti dispositivi a titolo derivativo per effetto di un atto del precedente titolare, imponendo anche a costoro l'obbligo della denuncia, sebbene l'arma fosse stata già denunciata dal dante causa, insorgendo l'obbligo personale sin dal momento della materiale e concreta disponibilità dei beni. In tal senso si è espresso il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 1, n. 8051 del 24/6/1982, Matera, Rv. 155110; Sez. 1, n. 11595 del 30/5/1986, Squillacioti, Rv. 174084; Sez. 1, n. 6587 del 24/1989, Mignone, Rv. 181207; Sez. 6 n. 22413 del 13/5/2008, Messina, Rv. 240360) ed indicazioni analoghe si traggono anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenza n. 166/1982). Da tali autorevoli indicazioni interpretative discende che anche nella vicenda in esame ricorrevano le medesime esigenze di ordine pubblico che pretendono, da parte dell'autorità di polizia, la chiara, costante ed immediata conoscenza, oltre che del luogo di detenzione, della persona del detentore dell'arma, informazioni che possono trarsi in modo affidabile solo dalla personale denunzia dell'interessato che si assume ogni responsabilità sulle dichiarazioni rese. D'altra parte, nessuna emergenza processuale aveva consentito di riscontare la tesi difensiva secondo cui le denunce di detenzione delle armi, pur regolarmente prestate dall'imputato, non erano state reperite a causa di eventi accidentali quali incendio o smarrimento.
La classificazione della cartuccia per fucile kalashnikov come munizione da guerra è stata compiuta in piena conformità al costante orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale ai fini della configurabilità del reato di detenzione di munizioni da guerra è necessario accertare il tipo di arma alla quale le stesse possono essere destinate nonchè quali siano le loro caratteristiche di potenzialità offensiva, non essendo invece sufficiente la sola indicazione del calibro; non è comunque necessario che esse siano atte all'impiego, dovendosi prescindere dalla loro efficienza e considerare sufficiente la loro originaria destinazione (Sez. 1, n. 52170 del 29/10/2014, SpadaroTracuzzi, Rv. 261602; Sez. 1, n. 35106 del 31/05/2011, Fanale, Rv. 250788).
Parimenti il caricatore per moschetto automatico Beretta (meglio noto con l'acronimo M.A.B. mod. 38) è stato qualificato come parte di arma da guerra sia per le particolari modalità di funzionamento, che lo rendono dotato di spiccata potenzialità offensiva (in particolare la predisposizione non solo per lo sparo singolo ma anche per quello multiplo a raffica in via automatica),sia perchè, di fatto, fa parte del materiale di armamento e oggetto di produzione specifica per eserciti ed ha quindi una destinazione specifica adusi militari; (cfr. Sez. 1, n. 25203 del 5/04/2019, e Sez. 1 n. 48841 del 31/01/2013, entrambe non massimate).
3.2. Il secondo motivo relativo alla qualificazione come armi da guerra delle due bombe SRCM modello 34, è manifestamente infondato.
Legittimamente è stata posta a fondamento della valutazione della spiccata potenzialità degli ordigni la testimonianza resa dall'app. A., ossia del militare che aveva assistito alle operazioni di distruzione resasi urgente e necessaria per l'estrema pericolosità della loro detenzione; quindi non per ragioni processuali ma per ragioni di sicurezza e di tutela dell'incolumità pubblica.
Il testimone, per di più in perfetta sintonia con il contenuto del verbale di sequestro, tranquillamente utilizzabile sotto questo profilo, si è limitato a riferire il fatto storico della deflagrazione, che costituisce oggettiva conferma della efficienza e potenzialità lesiva di entrambi gli ordigni, senza fare alcun riferimento al prospettato uso di cariche esplosive esterne.
Peraltro il quadro accusatorio ha ricevuto, come si legge nelle sentenze, ulteriore conferma nell'inverosimiglianza delle affermazioni rese sul punto dall'imputato, il quale, pur competente ed esperto di armi ed esplosivi e dunque perfettamente in grado di accorgersi che gli ordigni erano carichi ed inesplosi, si sarebbe rivolto per avere rassicurazioni sulla inefficienza al collega Ca..
4. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019
20-11-2019 23:29
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