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Sentenza

Tenente Colonnello dell'Esercito chiede autorizzazione a svolgere una attività e...
Tenente Colonnello dell'Esercito chiede autorizzazione a svolgere una attività extraprofessionale, ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 896 del Codice dell'ordinamento militare. Il Ministero non risponde.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 18-04-2019, n. 5067
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14777 del 2018, proposto da

A.C., rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Carta e Giovanni Carta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giorgio Carta in Roma, viale Parioli n. 55;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta del 20 febbraio 2018, con la quale il ricorrente ha avanzato una richiesta di autorizzazione a svolgere una attività extraprofessionale, ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 896 del Codice dell'ordinamento militare;

nonché per l'accertamento

dell'obbligo dell'amministrazione intimata di provvedere sulla relativa istanza;

e per il risarcimento del danno

subito dal ricorrente in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2019 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo

1. L'odierno ricorrente - Tenente Colonnello dell'Esercito italiano - rappresenta di aver presentato, in data 20 febbraio 2018, una richiesta a autorizzazione a svolgere un'attività extraprofessionale, ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 896 del Codice dell'ordinamento militare.

Il 5 luglio 2018 gli venivano richieste "informazioni aggiuntive necessarie per la compiuta trattazione dell'istanza". Tali informazioni erano fornite dal ricorrente il giorno stesso.

Il 21 settembre 2018, non avendo più ricevuto alcuna notizia in ordine a tale procedimento, il ricorrente presentava istanza di accesso agli atti in relazione alla domanda suddetta.

Il 12 ottobre 2018 la Direzione Generale per il Personale Militare comunicava che l'istanza di autorizzazione per attività extraprofessionale retribuita era in trattazione, poiché, in data 14 settembre 2018, era stato chiesto il parere di merito al Gabinetto del Ministro della Difesa, in ragione delle particolari modalità/circostanze di svolgimento dell'attività extraprofessionale.

Il ricorrente insisteva nell'accedere alla documentazione relativa al procedimento avviato e, con nota del 21 novembre 2018, l'Amministrazione trasmetteva i pareri - favorevoli - delle autorità gerarchiche intervenute ed il foglio con cui il 14 settembre 2018 tale richiesta era stata al Gabinetto del Ministro per il rilascio del suddetto parere.

Dalla documentazione acquisita emergeva che, nonostante fosse già decorso il termine per la conclusione del procedimento, l'Amministrazione non aveva ancora provveduto sulla richiesta del ricorrente.

2. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha, quindi, impugnato il silenzio-rifiuto formatosi sulla sua istanza di autorizzazione a svolgere un'attività extraprofessionale. Ha chiesto, altresì, l'accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione intimata di provvedere sulla relativa istanza e il risarcimento del danno subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Questo il motivo di censura dedotto:

I. Violazione dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990 e dell'art. 1041 del D.P.R. n. 90 del 2010.

Il comportamento omissivo e dilatorio tenuto dall'Amministrazione intimata in relazione alla richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività extraprofessionale violerebbe il combinato disposto dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990 e dell'art. 1041 del D.P.R. n. 90 del 2010.

Nonostante il termine di 30 giorni per la conclusione del procedimento per il rilascio dell'autorizzazione a svolgere un'attività extraprofessionale sia ampiamente decorso, l'Amministrazione non avrebbe ancora provveduto sulla richiesta del ricorrente.

II. Domanda di accertamento del silenzio-rifiuto ai sensi dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990 e degli artt. 31 e 117 c.p.a.

Anche qualora l'amministrazione intimata dovesse eccepire in giudizio di aver già portato a compimenti alcune delle fasi previste dalla procedura, tale circostanza non farebbe, in ogni caso, venire meno l'inadempimento ormai verificatosi a seguito della scadenza del termine massimo per poter provvedere sulla richiesta del ricorrente.

III. Domanda risarcitoria ex art. 30, comma 4, del Codice del processo amministrativo. L'Amministrazione avrebbe arrecato al ricorrente un grave pregiudizio economico, non avendogli consentito di svolgere l'attività extraprofessionale per la quale aveva richiesto l'autorizzazione. Sussisterebbe, pertanto, l'evento-danno risarcibile, che consisterebbe nel grave pregiudizio arrecato al ricorrente dall'Amministrazione in conseguenza della mancata conclusione del procedimento e nel mancato rilascio della predetta autorizzazione.

Tale pregiudizio sarebbe senz'altro qualificabile come ingiusto, in quanto la condotta dell'Amministrazione avrebbe violato le previsioni di cui all'art. 2 della L. n. 241 del 1990 e dell'art. 1041 del D.P.R. n. 90 del 2010.

3. In data 15 marzo 2019 si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa con apposita memoria volta a contestare la fondatezza del ricorso.

4. Alla camera di consiglio del 5 aprile 2019 la causa veniva discussa e trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato, limitatamente alla domanda sul silenzio.

1.1 L'art. 2, comma 1, primo periodo, della L. n. 241 del 1990 stabilisce il principio per cui, ove il procedimento amministrativo consegua obbligatoriamente ad una istanza di parte ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso.

L'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso sussiste anche qualora la pubblica amministrazione non intenda accogliere l'istanza del privato (art. 10-bis della L. n. 241 del 1990).

Nel caso di specie, contemplando gli artt. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e 896 del Codice dell'ordinamento militare un avvio del procedimento ad istanza di parte, sussisteva in capo alla pubblica amministrazione l'obbligo giuridico di provvedere. Difatti, come la giurisprudenza ha reiteratamente affermato, la P.A. ha sempre l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, positivo o negativo, che dia puntuale contezza delle relative ragioni, in ossequio ai principi di affidamento, legittima aspettativa, trasparenza, partecipazione, correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III, 2 febbraio 2010, n. 1397).

Nel caso concreto, dalla documentazione agli atti risulta che il Ministero della Difesa ha omesso di concludere il procedimento.

1.2 In particolare, l'art. 2041 del D.P.R. n. 90 del 2010, recante i termini di conclusione dei "Procedimenti di competenza della Direzione Generale per il Personale Militare", stabilisce al comma 1, lett. s), n. 3, che il procedimento concernente la "autorizzazione allo svolgimento di attività extraprofessionali" deve essere concluso nel termine di "30 giorni".

Nel caso di specie, tale termine è ampiamente decorso.

1.3 In base all'art. 2, comma 1, secondo periodo, della L. n. 241 del 1990, il dovere di pronunciarsi sussiste anche laddove la domanda sia, per ipotesi, manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata. Il legislatore, pertanto, ha voluto imporre all'Amministrazione, senza alcuna eccezione, l'obbligo di provvedere sulle istanze dei privati, indipendentemente dal loro grado di ricevibilità, ammissibilità, procedibilità o fondatezza.

Per consolidato orientamento interpretativo (T.A.R. Lazio, Sez. II, 5 giugno 2017, n. 6597; Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2010, n. 3487), l'obbligo giuridico di provvedere è infatti rinvenibile anche al di là di una espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un'istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento, ovvero tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'amministrazione.

1.4 In conclusione, l'Amministrazione intimata ha violato l'obbligo di provvedere in merito all'istanza in esame.

A ciò si aggiunga che i pareri rilasciati dalle autorità gerarchiche intervenute erano di segno favorevole.

1.5 La domanda sul silenzio va, quindi, accolta, sussistendone tutti i presupposti, dichiarando l'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione intimata e ordinando alla stessa di provvedere sull'istanza del ricorrente, impregiudicata restando la risposta sulle questioni sottostanti, entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza.

2. Va, invece, respinta per difetto di prova la domanda di risarcimento del danno.

Difatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 2-bis della L. n. 241 del 1990 le Pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; peraltro l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)" (Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1584; Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638).

3. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

- accoglie il ricorso in epigrafe, limitatamente alla domanda sul silenzio, e, per l'effetto, ordina all'intimato Ministero della Difesa di provvedere sull'istanza trasmessa dal ricorrente il 20 febbraio 2018 entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notifica della presente sentenza;

- respinge la domanda risarcitoria;

- compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Rosa Perna, Consigliere, Estensore

Roberto Vitanza, Primo Referendario
Avv. Antonino Sugamele

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