Ufficiale dei Carabinieri avendo avuto notizia di un reato, commesso da un cittadino extracomunitario non identificato ed accompagnato presso i locali della caserma, omette di riferirne alla competente A.G., rifiutando indebitamente di redigere i verbali relativi al fermo ed alla perquisizione effettuata nei confronti dello stesso, che invece per ragioni di giustizia avrebbero dovuto essere compiuti senza ritardo
Corte dei Conti Piemonte Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 16-05-2019) 05-07-2019, n. 261
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PIEMONTE
composta dai seguenti Magistrati:
Dott.ssa Cinthia PINOTTI - Presidente
Dott. Tommaso PARISI - Consigliere relatore
Dott. Walter BERRUTI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al nr. (...) del Registro di Segreteria, promosso dal Procuratore Regionale contro C. M. L., nato a omissis il omissis;
Uditi, nella pubblica Udienza del 16 maggio 2019, il relatore Consigliere Dott. Tommaso PARISI ed il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale Dott. A.N., non rappresentato il convenuto;
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della citata causa;
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con Sentenza nr. omissis del omissis, divenuta irrevocabile il omissis, la Corte di Appello di Torino, Sezione 2^ Penale, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Torino in data 29.01.2008, a seguito di un lungo e complesso iter processuale, condannava l'odierno convenuto, in qualità di Ufficiale dell'Arma in servizio all'epoca dei fatti presso omissis nella veste di omissis, alla pena di mesi 6 e giorni 10 di reclusione, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per mesi 6, per i reati di percosse aggravate, e, per quanto maggiormente rileva nel presente giudizio ai fini della contestazione di parte pubblica, per quelli previsti e puniti dall'articolo 328 C.P., rifiuto di atti d'ufficio, e 361, comma 2, C.P., omessa denuncia di reato da parte di Ufficiale di P.G..
La Procura Regionale espone nell'atto introduttivo, quanto ai fatti illeciti sottesi alla citata condanna, come dalle predette Sentenze penali si evince che, nella notte tra il 17 ed il 18 settembre 2004, il menzionato Ufficiale, avendo avuto notizia del reato di cui all'articolo 6 della L. n. 40 del 1998, commesso da un cittadino extracomunitario non identificato ed accompagnato presso i locali della caserma, aveva omesso di riferirne alla competente A.G., ed aveva altresì indebitamente rifiutato di redigere i verbali relativi al fermo ed alla perquisizione effettuata nei confronti dello stesso, che invece per ragioni di giustizia avrebbero dovuto essere compiuti senza ritardo; il soggetto fermato era stato allontanato dalla caserma, dopo essere stato oggetto di percosse.
Ravvisata, in merito ai fatti in trattazione, l'esistenza di profili di responsabilità amministrativa a carico del convenuto, per il danno all'immagine cagionato con la propria condotta illecita all'Arma dei Carabinieri, la Procura Regionale ha emesso nei suoi confronti l'invito a dedurre, ai sensi dell'articolo 67 del Codice della giustizia contabile di cui al D.Lgs. n. 174 del 2016. Il citato C. non presentava deduzioni scritte e non chiedeva di essere sentito personalmente.
Per quanto esposto in narrativa, l'Ufficio Requirente adottava consequenzialmente atto di citazione in giudizio in data 13.12.2018, con cui veniva contestato al predetto convenuto il danno all'immagine di Euro 1.000,00, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giustizia.
Il convenuto non si è costituito in giudizio.
Nel corso del suo intervento sviluppatosi nell'ambito dell'odierna Udienza, il Procuratore Regionale, dopo aver chiesto la dichiarazione di contumacia del convenuto, ha confermato integralmente il contenuto dell'atto introduttivo del giudizio e le sue conclusioni.
Considerato in
Motivi della decisione
La domanda risarcitoria è fondata e merita accoglimento nel senso esplicitato in motivazione.
Preliminarmente, la Sezione, accertata la regolarità della notifica dell'atto di citazione e la mancata costituzione in giudizio del convenuto, ne dichiara la contumacia ai sensi del combinato disposto degli articoli 171, comma 3, e 291, comma 1, del C.P.C. (ex multis, Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Lazio, Sentenza nr. 408 del 2013, Sezione Giurisdizionale Veneto, Sentenze nr. 200 del 2013 e nr. 427 del 2010, Sezione Giurisdizionale Piemonte, Sentenza nr. 126 del 2013), in relazione a quanto previsto dall'articolo 46, comma 24, della L. n. 69 del 2009, nonché dell'articolo 93 del D.Lgs. n. 174 del 2016.
Come si evince dall'esposizione dei fatti delineati in premessa, il giudizio sottoposto all'esame del Collegio riguarda, in sostanza, il danno all'immagine che sarebbe stato cagionato dal convenuto all'Arma dei Carabinieri, secondo la ricostruzione della Procura Regionale, in diretta connessione con la presunta condotta illecita, penalmente rilevante, posta in essere dal medesimo in qualità di Ufficiale in servizio all'epoca dei fatti presso omissis quale omissis.
In merito alla contestazione formulata a carico del convenuto, questi Giudici ritengono assolutamente persuasiva e convincente la tesi accusatoria prospettata dal Pubblico Ministero contabile nell'atto introduttivo. In tale visuale, giova prendere l'abbrivo da una considerazione di fondo, che abbraccia in modo diretto tutto il successivo ordito motivazionale: dagli atti versati nel fascicolo processuale si evince con ragionevole certezza che l'odierno convenuto ha effettivamente posto in essere la condotta illecita, penalmente rilevante, contestata dalla Procura Regionale nell'atto di citazione. A tal proposito, si stima utile richiamare i solidi e convergenti elementi probatori allegati dall'Ufficio Requirente, ai quali il Collegio formula espresso ed integrale rinvio, con particolare riferimento alle molteplici risultanze rivenienti dal procedimento penale; del resto, non è superfluo evidenziare, quale fattore dirimente ed assorbente, che nei confronti del convenuto è stata pronunciata una Sentenza di condanna pronunciata in seguito a dibattimento, divenuta irrevocabile, in relazione alla quale l'articolo 651 del C.P.P. stabilisce che la stessa ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo di danno.
Giova evidenziare, inoltre, quale fattore ulteriore in grado di suffragare la precedente conclusione, con riferimento all'atteggiamento processuale assolutamente inerte manifestato dal nominato C., il quale non ha replicato a seguito della notifica dell'invito a dedurre e non si è costituito in giudizio, che la giurisprudenza assolutamente prevalente della Corte di legittimità, alla quale questa Sezione intende prestare completa adesione (ex multis Corte di Cassazione, III Sezione Civile, Sentenza nr. 7074 del 2006), ha più volte affermato il principio secondo cui l'articolo 167, comma 1, del Codice di Procedura Civile, imponendo al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall'attore a fondamento della sua domanda, costruisce la non contestazione non già come una scelta neutra ed indifferente, bensì come un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il Collegio giudicante. Quest'ultimo, infatti, alla luce della menzionata giurisprudenza, dovrà astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente proprio per la ragione che il contegno passivo della parte, valutato alla stregua dell'esposta regola processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti; la mancata contestazione, pertanto, a fronte di un onere esplicitamente imposto dal dettato legislativo che disciplina il rito, rappresenta, in positivo e di per sé, senza la necessità di ulteriori dimostrazioni, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto e, quindi, rende inutile provarlo, perché lo stesso si configura come non controverso (ex multis Sezione Giurisdizionale Piemonte, Sentenze nnrr. 106 del 2011, 156 del 2012 e 66 del 2018). D'altro canto, diversamente opinando, la posizione del contumace risulterebbe paradossalmente garantita in modo più intenso rispetto a quella del convenuto che decida diligentemente di costituirsi in giudizio allo scopo di rappresentare le proprie ragioni, mediante l'esercizio in concreto del fondamentale diritto alla difesa, in quanto quest'ultimo rimane comunque assoggettato alla rigida regola contemplata dal novellato articolo 115 del C.P.C., come sostituito dalla L. n. 69 del 2009, secondo la quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione, tra l'altro, "i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita", creando pertanto un palese iato tra le due figure processuali che appare difficilmente compatibile con i principi di coerenza interna del sistema, di uguaglianza e di ragionevolezza.
Per quanto riguarda il crinale attinente all'elemento soggettivo, la sussistenza del dolo si manifesta pacifica ed inoppugnabile in funzione della commissione, tra l'altro, di un reato tipico contro la Pubblica Amministrazione, previsto e punito dall'articolo 328 del C.P., accertato con la suddetta pronuncia.
Acclarata la piena responsabilità del convenuto in ordine ai fatti penalmente rilevanti sopra esposti, con riferimento, tra l'altro, all'articolo 328 C.P., reato tipico contro la P.A. che costituisce il necessario presupposto di cui all'articolo 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78 del 2009, il Collegio osserva che, secondo i più recenti indirizzi della giurisprudenza contabile, il concretizzarsi del danno all'immagine è legato alla lesione di quegli interessi "apatrimoniali" correlati alla funzione pubblica esercitata e che traggono la loro tutela ed il loro immanente presidio nell'articolo 97 della Costituzione, in diretta connessione con l'articolo 2 della citata fonte primaria; da questo punto di vista, anzi, ben può affermarsi che la specificazione del generale dovere che tutti i cittadini hanno di essere "fedeli alla Repubblica e di osservarne le Leggi" in quello proprio, dei soli dipendenti pubblici e, di riflesso, anche degli agenti pubblici, di "adempiere le pubbliche funzioni con disciplina ed onore", ex articolo 54 della Costituzione, in larga parte è teleologicamente orientata alla tutela dell'immagine e del prestigio della Pubblica Amministrazione. La consolidata costruzione contabilistica del danno all'immagine dell'Amministrazione, inoltre, risulta direttamente connessa al parametro normativo dell'imparzialità dell'attività amministrativa tutelato dal prefato articolo 97 della Carta, trattandosi di una declinazione, sul versante ordinamentale, del principio di uguaglianza scolpito dall'articolo 3 della Costituzione; l'imparzialità rappresenta, infatti, un primario valore giuridico, posto a presidio della stessa credibilità delle strutture pubbliche, atteso che in assenza della fiducia dei cittadini le stesse non sarebbero in grado di conseguire in maniera adeguata, come loro precipuo dovere, gli obiettivi prefissati dal legislatore. D'altra parte, è agevole rilevare che la figura del danno all'immagine con riferimento all'Ente pubblico è stata consacrata in modo espresso anche in alcune disposizioni normative, come l'articolo 3, comma 1, della L. n. 97 del 2001 e, più di recente, l'articolo 7, comma 2, lettera e) della L. n. 15 del 2009, l'articolo 55 quinquies del D.Lgs. n. 165 del 2001, inserito dall'articolo 69 del D.Lgs. n. 150 del 2009, l'articolo 1, comma 12, della L. n. 190 del 2012, l'articolo 46 del D.Lgs. n. 33 del 2013 e, da ultimo, il comma 3 quater dell'articolo 55 quater del suddetto D.Lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n. 116 del 2016.
Secondo la nota Sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte, 23 aprile 2003, nr. 10/QM, il citato danno all'immagine si presenta quale danno evento, il quale si sostanzia non già in una "deminutio patrimonii" bensì nella violazione di diritti costituzionalmente garantiti intestati all'Amministrazione nel suo complesso, ed ha natura di danno esistenziale, riconducibile, alla luce dei più recenti indirizzi della Corte di legittimità e della Consulta (Cassazione, III Sezione Civile, Sentenze nnrr. 8827 e 8828 del 2003, II Sezione Civile, Sentenza nr. 9861 del 2007, Corte Costituzionale, Sentenza nr. 233 del 2003), nell'alveo del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del Codice Civile, che inibisce il potere-dovere dell'Ente pubblico di adoperarsi, nei modi e nelle procedure previsti dalla Legge, per assumere la veste e la sostanza di una struttura sana, trasparente, imparziale, efficiente, corretta e rispettosa delle missioni di cui è attributaria.
Definizione che appare, peraltro, attualmente confermata da espressi canoni normativi, ed ulteriormente valorizzata dall'obbligo per le Pubbliche Amministrazioni, fissato dal legislatore con la L. n. 150 del 2000 sulla cosiddetta comunicazione istituzionale, di impegnarsi affinché il valore di un'Amministrazione che presenti tutti i caratteri in precedenza illustrati si riverberi effettivamente all'esterno, al fine di rappresentare un'immagine positiva e specchiata dell'Ente pubblico nei confronti della collettività.
Ciò che costituisce un dovere per l'Amministrazione, nel senso di definire una propria corretta immagine istituzionale, non può che configurare, di riflesso, un diritto del quale non può non garantirsi l'integrità, o in altri termini un interesse ad essa appartenente economicamente valutabile, protetto dall'ordinamento ai sensi del prefato articolo 2 della Costituzione (ex multis Cassazione, III Sezione Civile, Sentenza nr. 2367 del 2000, nr. 12929 del 2007, nr. 3672 del 2010 e nr. 4542 del 2012, Consiglio di Stato, Sezione V, Decisioni nr. 491 del 2008 e nr. 2070 del 2009) e dell'articolo 10 del Codice Civile, disposizione ritenuta applicabile anche alle persone giuridiche, e, dunque, meritevole di tutela, anche di tipo patrimoniale.
E quando sia accertato che la lesione di siffatto interesse è stata perpetrata, dalla sponda interna, da un soggetto legato all'Amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, lo schema applicabile rimane quello della responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti, notoriamente connotato da piena autonomia rispetto al giudizio penale e civile; la collocazione del danno all'immagine come sopra definito, rimane, quindi, interna alla sfera del danno patrimoniale, nei termini di cui alle Sentenze delle SS.UU. della Corte di Cassazione nn.rr. 5668 del 1997, 744 del 1999, 98 del 2000, 10730 del 2003, 4582 del 2006 e 5756 del 2012, ed alla suddetta Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 10/QM/2003, e cioè classificabile "apatrimoniale" solo perché non cagionato ad un bene materiale, ma patrimoniale nel senso di essere arrecato ad un interesse giuridicamente rilevante e suscettibile di valutazione economica. Ad avviso della Sezione il menzionato assunto in ordine alla classificazione, di natura descrittiva, di tale voce di pregiudizio patito dall'Ente pubblico quale danno esistenziale rientrante a pieno titolo nella categoria del danno non patrimoniale di cui all'articolo 2059 del Codice Civile, in funzione della violazione dei canoni esplicitati dagli articoli 2, 54 e 97 della Carta, risulta ulteriormente avvalorato dalle note pronunce delle SS.UU. della Corte di Cassazione nr. 26972 del 2008 e nr. 18356 del 2009, in cui la Corte di legittimità, con una visione prospettica diversa rispetto ai molteplici indirizzi che si erano affermati in passato sullo specifico punto, ha chiarito che la suddetta tipologia di nocumento, la quale certamente non rappresenta una sottocategoria del danno non patrimoniale connotata dal carattere dell'atipicità, è risarcibile solo entro il ristretto limite segnato dall'ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno, con il corollario che, se non si riscontra la lesione di diritti inviolabili della persona garantiti dalla Costituzione, non può riconoscersi la tutela risarcitoria; nell'ipotesi del danno all'immagine oggetto della presente controversia ricorre indubbiamente la descritta condizione, alla luce della puntuale ricostruzione giurisprudenziale in precedenza delineata che trova il proprio diretto fondamento nei citati articoli della Costituzione. In definitiva, il danno all'immagine dell'Ente pubblico può essere certamente ricondotto nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale di cui all'articolo 2059 del Codice Civile, trattandosi di pregiudizio conseguente alla lesione di fondamentali valori inerenti alla persona, anche giuridica, quali il diritto alla reputazione, al nome, all'immagine, al prestigio, che rappresentano diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata espressamente dalla Costituzione.
Sullo specifico versante, cade opportuno sottolineare che la giurisprudenza prevalente di questa Corte (ex multis Sezioni Riunite, Sentenza nr. 1/QM/2011, I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenze nr. 251 del 2006, nr. 209 del 2008, nr. 193 del 2011 e nr. 18 del 2012, Sezione Giurisdizionale Lombardia, Sentenza nr. 681 del 2006, Sezione Giurisdizionale Veneto, Sentenza nr. 927 del 2006, Sezione Giurisdizionale Lazio, Sentenza nr. 373 del 2007), dalla quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, ha precisato che il danno all'immagine non si identifica o si verifica soltanto quando, per ripristinarlo, l'Amministrazione pubblica sostiene delle spese, sul rilievo che siffatto tipo di pregiudizio si configura e si concreta anche nel caso in cui la rottura di quella aspettativa di legalità, imparzialità e correttezza che il cittadino e gli appartenenti all'Ente pubblico si attendono dall'apparato, viene spezzata da illecito comportamento dei suoi agenti. L'essenza ed il nucleo centrale di detto danno, di conseguenza, non si palesano solo in stretta relazione alla sussistenza di una spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, in quanto la risarcibilità di un simile pregiudizio non può rapportarsi, per la sua intrinseca lesione, come sopra esposto, al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell'Ente, ma deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l'apprezzamento del Giudice, ai sensi dell'articolo 1226 del Codice Civile. Deve ritenersi, infatti, che il danno all'immagine dell'Amministrazione e gli esborsi sostenuti per il ripristino della stessa si pongano su piani ben distinti, raffigurandosi, il primo, quale lesione di un bene tutelato in via diretta ed immediata dall'ordinamento giuridico, e venendo in evidenza, i secondi, sul mero piano probatorio, soltanto come uno dei mezzi di prova utilizzabili dall'Ufficio Requirente a sostegno della domanda di risarcimento. In tale ottica, d'altra parte, laddove si richiedesse ai fini della configurabilità di tale tipo di pregiudizio la prova della spesa effettiva sopportata dall'Ente pubblico, si perverrebbe alla situazione paradossale per cui l'Amministrazione sprovvista di adeguati fondi in bilancio da utilizzare nell'assunzione di idonee iniziative volte al ripristino del bene immagine, non potrebbe conseguire il risarcimento del nocumento sofferto, non essendo in condizione di offrire la prova degli esborsi sostenuti; in ogni caso, quale ulteriore elemento dirimente, un eventuale costo suppletivo potrebbe essere sostenuto dall'Ente danneggiato soltanto dopo l'introito del risarcimento del pregiudizio patito, e non certo prima del pagamento della somma, correlata alla lesione del diritto all'immagine dell'Amministrazione, da parte del convenuto condannato.
Con tali necessarie premesse ermeneutiche, occorre verificare se nella presente fattispecie concreta al vaglio del Collegio si sia prodotto un danno all'immagine come in precedenza descritto, e, quindi, se sussista o meno una lesione nei confronti dell'Ente pubblico riconducibile al comportamento illecito del convenuto, nonché quantificare tale pregiudizio, anche in via equitativa.
Relativamente all'aspetto dell' "an" di una grave lesione all'immagine ed al prestigio dell'Arma dei Carabinieri, la Sezione condivide pienamente le argomentazioni dedotte dalla Procura Regionale, che si è appellata ai noti criteri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte dei Conti, ponendo l'accento sulla condotta assolutamente censurabile del suddetto Ufficiale che ha agito con dolo per motivazioni apparentemente incomprensibili, venendo meno intenzionalmente ai propri doveri deontologici e professionali; sul presupposto che il danno all'immagine appartiene, alla luce dell'approdo della menzionata Decisione delle Sezioni Riunite, alla categoria concettuale del danno evento, con il corollario che, ove comprovato, ottiene protezione automatica dall'ordinamento, di per sé, a prescindere dalle spese sostenute dall'Ente danneggiato, e comunque, anche se siffatto danno esistenziale venisse configurato quale danno conseguenza, la sussistenza degli effetti pregiudizievoli sull'Amministrazione può essere dimostrata, in base all'attuale orientamento della Suprema Corte (Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza nr. 6572 del 2006, Cassazione, III Sezione Civile, Sentenza nr. 13546 del 2006), a mezzo di presunzioni, appare chiaro al Collegio che nella fattispecie in esame, che vede coinvolto un Ufficiale in servizio all'epoca dei fatti presso omissis, ovvero nell'ambito di una struttura pubblica essenziale sul territorio, la cui immagine non soltanto esterna ma anche interna dovrebbe apparire particolarmente trasparente, imparziale, sana e cristallina in funzione degli alti compiti istituzionali demandati alla medesima dall'ordinamento giuridico, tra cui la salvaguardia della legalità e della sicurezza dei singoli cittadini a beneficio dell'intera collettività, la condotta illecita del convenuto ha certamente causato un'aggressione ed una menomazione diretta del suddetto interesse dell'Amministrazione, fonte di danno risarcibile secondo un rapporto di assoluta ed esclusiva necessarietà. Al riguardo, non è superfluo rammentare, sul versante dei parametri sociali, l'indubbio sconcerto ed il naturale senso di mortificazione che, a seguito dell'instaurazione del procedimento penale, la vicenda in questione ha originato nei colleghi del convenuto, impegnati quotidianamente, con sacrificio ed abnegazione, nello svolgimento dei complessi servizi assicurati dall'Arma dei Carabinieri a presidio e tutela della comunità di cittadini residente nell'area di riferimento, spesso mettendo a rischio la stessa incolumità personale, con il pieno rispetto delle normative e delle procedure.
D'altra parte, anche sul piano della prova per presunzioni che accede al giudizio prognostico, nell'ipotesi in cui si attribuisse al prefato danno esistenziale non già la natura di danno evento, bensì quella di danno conseguenza, secondo i più recenti orientamenti della Suprema Corte, è possibile pervenire, in funzione delle articolate argomentazioni prospettate dalla Procura Regionale nell'atto di citazione, all'affermazione della descritta inferenza, alla stregua di un canone di ragionevole probabilità in merito alla presenza di rilevanti effetti dannosi correlati alla richiamata lesione dell'immagine dell'Amministrazione, con riferimento alla delicatezza ed alla rilevanza della funzione svolta dai militari appartenenti all'Arma dei Carabinieri sul territorio, alla gravità della condotta posta in essere dal convenuto, che essendo un tutore della legalità ha infranto le elementari regole di procedura, di correttezza e di tutela dell'interesse pubblico per motivazioni oscure ed indecifrabili, omettendo di compilare gli atti di P.G., facendo oggetto di percosse il soggetto fermato ed astenendosi dall'invio della segnalazione di reato alla competente A.G., ai riflessi critici originati nell'ambito delle intuibili considerazioni negative dei colleghi, superiori e subordinati, venuti a conoscenza della vicenda, all'elemento soggettivo intenzionale, al ruolo ricoperto quale omissis ed alla connessione degli accadimenti che hanno contrassegnato la vicenda in rassegna.
In tale ottica, si stima utile evidenziare che al fine di appurare l'avvenuta lesione all'immagine dell'Ente pubblico, non risulta essenziale la presenza del cosiddetto "clamor fori", essendo sufficiente l'indubbio e concreto risvolto interno all'Amministrazione, come è stato efficacemente lumeggiato, con dovizia di argomentazioni e riflessioni gravide di precise conseguenze, dalla Corte di legittimità nella citata Sentenza della III Sezione Civile nr. 12929 del 2007, che è meritevole di considerazione tanto quanto quello esterno inerente allo sgomento avvertito dall'opinione pubblica nell'apprendere i gravi fatti illeciti realizzati dall'agente pubblico; nella presente fattispecie la Procura Regionale non ha depositato articoli di stampa nei quali sono illustrati i fatti illeciti in precedenza tratteggiati, ma siffatta circostanza può incidere esclusivamente sulla misura della liquidazione del pregiudizio e non certo sulla sua sussistenza ontologica nell'ottica delle delineate coordinate ermeneutiche.
Per quanto concerne, infine, la delibazione afferente alla quantificazione del prefato danno all'immagine, la Sezione non reputa completamente persuasive e convincenti, alla luce dei descritti parametri tratteggiati dalla giurisprudenza, ormai del tutto consolidati e maggioritari, le conclusioni cui è pervenuta la Procura Regionale, che ha contestato nell'atto di citazione l'importo di Euro 1.000,00, tenendo conto che essendo stato liquidato il nocumento in via equitativa, questi Giudici, secondo la prevalente giurisprudenza interna, ricorrendone le condizioni possono discostarsi anche per eccesso rispetto alla contestazione formulata dall'Ufficio Requirente, alla quale pertanto non sono vincolati; nella presente fattispecie, infatti, pur tenendo conto della giovane età del citato C. all'epoca dei fatti, dell'assenza del "clamor fori" e del lunghissimo arco temporale ormai trascorso dal lontano 2004, evenienze correttamente evidenziate dal Pubblico Ministero contabile, occorre tuttavia valorizzare e considerare adeguatamente, nello stesso tempo, due circostanze essenziali e sintomatiche, oltre ai menzionati riflessi interni all'Arma danneggiata, che non sono sfuggite all'attenzione del Collegio, quali il grado rivestito di Ufficiale, peraltro già con alcuni anni di esperienza di comando alle spalle, e la posizione specifica di omissis, quindi una figura all'interno del Reparto di indubbio spessore e di continuo riferimento nello svolgimento dell'attività di servizio, soprattutto per i propri collaboratori, che in ogni circostanza avrebbe dovuto essere di esempio e di guida per i militari subordinati, ispirando i medesimi al rigoroso rispetto delle norme giuridiche, delle procedure istituzionali, del senso del dovere e della deontologia professionale con un comportamento irreprensibile, autorevole e formativo.
Ne deriva che il danno all'immagine cagionato dal convenuto all'Arma dei Carabinieri per i fatti sopra indicati viene liquidato dalla Sezione, in via equitativa, alla luce dei parametri giuridici sopra lumeggiati, e di tutti gli specifici elementi di fatto che connotano la presente fattispecie, nella loro irripetibile unicità, in Euro 2.000,00.
Per tutto quanto precede, il Collegio condanna al pagamento in favore dell'Arma dei Carabinieri, a titolo di danno all'immagine, M. L. C. per l'importo di Euro 2.000,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali calcolati dalla pubblicazione della Sentenza sino al soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del convenuto e vanno liquidate come al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando,
CONDANNA
al pagamento in favore dell'Arma dei Carabinieri, a titolo di danno all'immagine, M. L. C. per l'importo di Euro 2.000,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali calcolati dalla pubblicazione della Sentenza sino al soddisfo.
Le spese di giudizio, computate dalla Segreteria in Euro 326,95 (TRECENTOVENTISEI/95), seguono la soccombenza del convenuto e devono essere liquidate a favore dell'erario dello Stato.
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l'annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Così deciso in Torino, nella Camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 con l'intervento dei Magistrati.
Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2019.
03-08-2019 17:48
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