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Sentenza

Violata consegna pluriaggravata....
Violata consegna pluriaggravata.
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: 
P.A.P. nato a R.C. il  avverso la sentenza del 08/11/2017 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO S'ANI; 
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore , che ha concluso chiedendoquanto segue
Il P.G. conclude per l'inammissibilità del ricorso. udito il difensore ; E' presente l'avvocato SCARPA GIUSEPPE del foro di NAPOLI in difesa di P.A.P che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, emessa in data 8 - 22 novembre 2017, la Corte militare di appello, in parziale riforma della sentenza emessa il 6 - 20 aprile 2017 dal Tribunale militare di Napoli, ha rideterminato la pena inflitta ad A.P.P. in quella di mesi due di reclusione militare, confermando nel resto. In primo grado P.o era stato ritenuto responsabile del reato previsto e punito dagli artt. 47, n. 2, 120, commi primo e secondo, cod. pen. mil . pace, 110 cod. pen., di violata consegna pluriaggravata poiché, quale Appuntato scelto dei Carabinieri in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Piraino (Me), essendo stato comandato, con ordine di servizio n. 50/8, in un servizio di pattuglia automontata insieme al Carabiniere scelto V.I., in concorso con quest'ultimo e in violazione delle consegne avute, interrompeva il predetto servizio recandosi presso la propria abitazione e ivi trattenendosi, per poi riprendere successivamente il servizio, con le aggravanti del grado rivestito e della circostanza che si trattava di un servizio armato: fatto commesso in Piraino, il 26 agosto 2014, dalle 21:30 alle 22:25. 
1.1. Per tale fatto il Tribunale militare di Napoli lo aveva condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, alla pena di mesi due, giorni venti di reclusione militare. 
1.2. La Corte militare di appello ha, in primo luogo, rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in quanto, in presenza di una prova certa, derivante anche dalla stessa ammissione dell'imputato, era irrilevante assumere ulteriori prove circa l'esatto momento della ripresa del servizio. Ha ritenuto, inoltre, emerse prove certe in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato, spiegando che non vi erano dubbi, in particolare, circa il fatto che quello svolto dai militari P. e I. fosse un servizio regolato da consegna, tale da costituire idoneo presupposto per l'applicazione dell'art. 120 cod. pen. mil . pace, in quanto nel servizio di pattuglia automontata erano presenti tutti i caratteri riconducibili alla nozione di "servizio regolato da consegna" di cui all'art. 730 d.P.R. n. 90 del 2010 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare). I giudici di appello hanno evidenziato che il comma 1 della norma citata stabilisce in proposito che "la consegna è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l'adempimento di un particolare servizio" mentre le prescrizioni regolatrici del servizio di pattuglia svolto dai militari dell'Arma dei Carabinieri erano contenute sia nel Regolamento generale dell'Arma, sia nell'ordine di servizio, sia nelle direttive che venivano impartite dai singoli comandanti per lo svolgimento in concreto del particolare servizio: e nel caso di specie tra le prescrizioni vincolanti per l'imputato era compresa quella di svolgere ininterrottamente l'attività di vigilanza e di non effettuare pause diverse da quelle di servizio; l'eventuale pausa pranzo andava fatta rientrando in caserma e, in ogni caso, per poter legittimamente interrompere il servizio occorreva darne avviso ai superiori o alla centrale operativa, in modo da permettere a chi dirigeva e coordinava l'intervento delle forze di polizia di sapere chi non era in grado di dare immediata disponibilità nel caso di richieste di soccorso, di segnalazioni di emergenza o di commissioni di illeciti, mentre poi il tempo della pausa doveva essere recuperato con un prolungamento della durata del servizio; tutto ciò nel caso di specie non era avvenuto: il tutto, nel quadro di una situazione in cui P. era stato più volte redarguito dal comandante, M.Ilo C., per fatti analoghi. E' stata, inoltre, rigettata l'istanza di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. sulla base di due elementi connotanti la gravità della violazione: in primo luogo, il fatto che la consumazione del pasto non era avvenuta lungo il percorso che i militari dovevano svolgere per effettuare il pattugliamento, ma in una struttura privata di campagna, ossia in una condizione in cui non potevano effettuare alcuna vigilanza per un periodo prolungato di tempo (35 minuti) rispetto alla finalità dichiarata; in secondo luogo, le dichiarazioni del M.Ilo C. sulla circostanza che non era la prima volta che egli aveva censurato P. per motivi analoghi, per cui l'imputato era pienamente consapevole che stava violando le prescrizioni impartite dal comandante, con conseguente rilievo dell'intensità del dolo, particolarmente elevata, indipendentemente dal fatto che non era provato che le precedenti condotte costituissero reato. Tuttavia, in accoglimento dell'ultimo motivo di appello, la pena è stata ridotta a quella di mesi due di reclusione militare, in modo da adeguarla più compiutamente al reale disvalore del fatto. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di P. chiedendone l'annullamento e adducendo tre motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., in quanto i fatti contestati all'imputato non potevano sussumersi nell'alveo dell'art. 120 cod. pen. mil . pace. In primo luogo, era compito dei giudici di merito individuare con estrema precisione la consegna ricevuta dal militare e successivamente valutarne l'eventuale violazione. La sentenza si era limitata a far riferimento alla prescrizione di svolgere ininterrottamente l'attività di vigilanza senza effettuare pause diverse da quelle di servizio, così erroneamente ritenendo che l'ordine di servizio fosse regolato da consegna, in quanto in nessuna parte del Regolamento generale dell'Arma o dell'ordine di servizio 50/8 si faceva riferimento allo svolgimento ininterrotto del servizio. Al contrario dalla lettura del predetto ordine di servizio si poteva evincere che l'imputato doveva svolgere una serie di compiti di perlustrazione, vigilanza ed altri, tutti rigorosamente rispettati, mentre da nessuna parte era stabilito per iscritto il divieto di effettuare pause. Inoltre, la sentenza impugnata, nell'attribuire valore esclusivamente al propalato del M.Ilo C., dunque riconoscendo a qualsiasi ordine discrezionale da parte dell'autorità militare il valore di consegna, aveva creato una pericolosa crepa in ordine alla determinatezza della fattispecie, in quanto lasciava lo spazio al più assoluto arbitrio da parte dei superiori. Nel caso di specie i giudici di appello non avevano effettuato alcuna valutazione in concreto del comportamento tenuto da P. al fine di stabilire se l'eventuale inadempimento del militare di alcune prescrizioni impartite fosse idoneo a pregiudicare l'integrità del bene protetto e avesse quindi carattere di offensività anche in concreto, come era richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, pure in considerazione del fatto che il luogo in cui si trovava l'imputato rientrava nelle aree di svolgimento del servizio. Non si vedeva come la presunta interruzione del servizio per esigenze di ristoro potesse incidere in qualche modo con lo svolgimento dello stesso, anche in considerazione del fatto che tale interruzione era espressamente prevista nell'ambito del servizio 18:00 - 24:00, al fine di permettere il recupero delle energie psicofisiche per meglio svolgere i compiti che lo caratterizzavano. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., in relazione all'art. 131-bis cod. pen., in quanto l'elemento utilizzato per escluderne l'applicazione, vale a dire la presunta intensità del dolo, non rientrava tra quelli previsti dalla norma ai fini della sua applicazione: i giudici di merito avrebbero dovuto far riferimento all'intensità del dolo relativa al momento di commissione del reato, non al comportamento tenuto successivamente. 2.3. Con il terzo motivo, infine, è lamentata contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Il ricorrente sostiene che la Corte di merito sia incorsa in una evidente contraddizione in quanto, da un lato, ha affermato che i 35 minuti di interruzione del servizio e la causa della medesima non assumevano valore di per sé incompatibile con la possibilità di ravvisare una particolare tenuità del fatto e, dall'altro, nel fornire una motivazione alla decisione di rigettare l'istanza di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., ha considerato che la permanenza dell'imputato all'interno dell'edificio privato per la consumazione del pasto si era protratta per un tempo sicuramente eccessivo rispetto alla finalità dichiarata, omettendo di individuare ulteriori presupposti logico-giuridici ai fini dell'affermazione della penale responsabilità di P. diversi da quelli poco prima ritenuti insufficienti per negare la particolare tenuità del fatto. Si evidenzia che la Corte, dopo aver fatto riferimento a tre diversi argomenti di valutazione, vale a dire il luogo dell'avvenuta consumazione del pasto, le modalità di interruzione del servizio e le dichiarazioni del M.Ilo C. relative a presunte contestazioni da lui stesso rivolte in passato al militare per situazioni analoghe, pur se non comprovatamente costituenti reato, ha sostenuto che era provato che C. avesse più volte richiamato in precedenza P. all'osservanza della prescrizione secondo cui il servizio non poteva essere interrotto arbitrariamente per la consumazione del pasto, ma occorreva osservare una determinata procedura. A questo punto, secondo il ricorrente, delle due l'una: o le ulteriori infrazioni erano provate, o non lo erano. Se quanto dichiarato da C., sia in relazione alla durata che in relazione alle reiterate precedenti violazioni di P., non poteva dirsi provato, non si vedeva come mai quelle stesse dichiarazioni potessero costituire elementi rilevanti: non avendo dignità di prova, esse non potevano essere considerate quali presupposti imprescindibili per qualificare l'intensità del dolo idonea a escludere la tenuità del fatto. 3. Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto le deduzioni svolte dal ricorrente erano manifestamente prive di fondamento, in quanto: la violazione della consegna integrata dall'imputato era stata chiara, essendo insito nel servizio a lui istituzionalmente affidato che lo stesso non doveva essere indebitamente interrotto, se non nell'evenienza di presupposti estranei al caso di specie; in modo parimenti fondato i giudici di merito avevano escluso la particolare tenuità del fatto compiuto da P., in relazione al complessivo atteggiarsi del contegno dell'imputato e alla rilevata intensità del dolo; in modo corretto e congruo la Corte di merito aveva considerato la frattura della continuità del servizio determinata dalla condotta dell'imputato già tale da cagionare la violazione della consegna contestata, sicché ultronea sarebbe stata ogni altra attività istruttoria. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile per tutti i profili dedotti. 
 In ordine al primo motivo, a rendere all'evidenza priva di fondamento la doglianza è la riflessione che muove dalla portata normativa della disposizione regolatrice della consegna. L'art. 730 dell'Ordinamento militare (di cui al d.P.R. n. 90 del 2010), con riferimento ai servizi regolati da consegna, dispone che la consegna è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l'adempimento di un particolare servizio. La norma stabilisce con precisione il dovere del militare comandato in servizio regolato da consegna, il quale deve essere perfettamente a conoscenza della stessa, deve osservarla scrupolosamente e farla osservare da tutti, senza potersi far sostituire nel servizio senza essere stato regolarmente autorizzato. Emerge, dunque, con evidenza che tra le prescrizioni che concorrono a fissare i connotati cogenti del servizio regolato da consegna, non vi sono solo le disposizioni scritte, come quelle dettate per fissare i compiti di perlustrazione e vigilanza assegnati al comandato, ma anche le prescrizioni generali e di carattere verbale. Nel caso in esame la Corte di merito ha correttamente considerati rilevanti quelle certamente impartite dal M.Ilo C. ai militari P. e.I. , a seguito dell'ordine n. 50/8, avente ad oggetto il servizio di pattuglia automontata. In particolare, P., che già in passato era stato redarguito per comportamenti non pienamente consoni all'inappuntabile esecuzione dello stesso servizio, era stato già reso edotto dal superiore che il servizi di pattuglia automontata non poteva essere interrotto, se non nei termini stabiliti dall'ordine stesso e dal regolamento. In tale prospettiva, i giudici di merito hanno rilevato che all'interruzione del servizio integrata dai militari si era associata l'omissione dell'adempimento del dovere avvisare la Centrale operativa circa il luogo e la durata della pausa che essi avevano deciso di fare per desinare: omissione che aveva impedito a chi dirigeva e coordinava l'intervento delle forze di polizia di sapere chi non era in grado di dare immediata disponibilità nel caso di richieste di soccorso, di segnalazione di emergenza o di commissione di illeciti. Inoltre, l'avere deciso e attuato l'interruzione del servizio al di fuori di ogni regola protocollare aveva fatto sì che la durata di essa, la quale - se programmata e consentita - avrebbe dovuto essere recuperata con un prolungamento dell'orario di servizio, non era stata affatto seguita dal corrispondentemente prolungamento. Pertanto, contrariamente alle asserzioni del ricorrente, da un lato, il servizio di pattuglia automontata è risultato rientrare fra quelli assicurati da consegna e, /I 6 dall'altro, esso è risultato specificamente disciplinato, nel suo concreto svolgimento, dal Regolamento generale dell'Arma, dall'ordine di servizio e dalle direttive impartite dal comandante, senza l'emersione di alcun margine di arbitrio o di indeterminatezza nella configurazione della fattispecie, dovendo, al riguardo, rammentarsi che ai fini della configurabilità del reato di violata consegna tutte le disposizioni di carattere generale, specialmente quando la loro osservanza venga in rilievo per la corretta esecuzione di un ordine specifico, formano parte integrante della consegna impartita, indipendentemente dalla circostanza di un loro specifico e diretto richiamo nell'ordine particolare (Sez. 1, n. 5371 del 19/01/2000, Rudes, Rv. 216218 - 01), così come le norme comportamentali del personale di servizio di pattuglia rivestono carattere integrativo delle consegne particolari, in quanto anch'esse sono prescrittive del comportamento da osservare nell'espletamento del servizio (Sez. 1, n. 19862 del 28/04/2009, Martines, Rv. 243783 - 01). E', per il resto, assodato che, secondo l'interpretazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2000 (la quale ha in tal senso dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità dell'art. 120 cod. pen. mil. pace), la consegna deve essere precisa, nel senso che deve determinare interamente e tassativamente il comportamento del militare di servizio, e che occorreva avere di mira il bene giuridico effettivamente protetto, che è la funzionalità della prestazione, non anche la disciplina militare, con il conseguente riconoscimento dell'operatività del principio di offensività, sia nella formulazione legislativa della norma, che persegue l'efficienza dell'attività attraverso la tassatività delle prescrizioni impartite nella consegna, sia nell'applicazione concreta della fattispecie normativa da parte del giudice, al quale spetta valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nei singoli casi, finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato. Posto quanto precede, è però altrettanto ceto che, nel caso di specie, la Corte militare di appello, ha, con analisi adeguata e coerente, sottolineato che la violazione della consegna non si è limitata all'infrazione di singole prescrizioni strumentali, ma ha avuto ad oggetto lo stesso servizio continuativo di pattuglia automontata, interrotto per un tempo tale che, anche per il motivo del tutto personale e privato che l'aveva determinata, da distogliere sotto il profilo funzionale e partecipativo il militare imputato e il suo commilitone dalla doverosa attuazione del servizio comandato: situazione che, per come congruamente analizzata, ha contemplato l'applicazione in modo corretto della norma penale di cui all'art. 120 cit. al fatto contestato, con riguardo sia alla sua offensività materiale (interruzione dell'attività di pattuglia automontata oggetto della consegna), sia all'oggettività giuridica (seria compromissione del corretto espletamento del servizio), senza trascurarne l'elemento psicologico integrato dal dolo generico, ovvero dalla consapevole volontà di non rispettare la consegna ricevuta. In questa prospettiva, la Corte di merito ha fatto retta applicazione del principio di diritto secondo cui, per la configurabilità del reato di violata consegna previsto dall'art. 120 cod. pen. mil . pace, è sufficiente la violazione delle prescrizioni della consegna, la cui tassatività ne esige l'osservanza incondizionata, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza di tale violazione, trattandosi di reato di pericolo presunto (Sez. 1, n. 23316 del 15/05/2015, Cherubini, Rv. 263820 - 01; Sez. 1, n. 19760 del 01/04/2008, Manunza, Rv. 240281 - 01). 3. Per quanto concerne il secondo motivo, non può non prendersi atto del - congruo e logicamente lineare - discorso giustificativo esposto dai giudici di merito che hanno fondato la reiezione della chiesta applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. sull'analisi della concreta consistenza antigiuridica della fattispecie delittuosa integrata dal ricorrente, con l'evidenziazione delle modalità della condotta, in relazione al luogo scelto per la sua commissione (i militari si erano recati in una proprietà di Puntillo sita in una struttura di campagna, ove già si trovava la compagna dell'imputato, per consumare un pasto, in posto del tutto estraneo al percorso stabilito per il servizio di pattuglia) e alla durata della violazione (reputata eccessiva per la stessa finalità dichiarata). Nella prospettiva indicata dai giudici di appello si è annesso significato anche al fatto - emerso con nettezza dalla testimonianza del superiore del militare imputato - che già in precedenza P. era stato ripetutamente redarguito per comportamenti similari, verificatisi in circostanze definite "innumerevoli", certamente censurabili sul piano della retta esecuzione delle disposizioni impartite al militare, sebbene non tali da poter essere considerati con adeguata certezza quali ulteriori fatti di reato, di guisa che, con valutazione né illogica né contraddittoria, la Corte militare di appello ha osservato che, quando ha commesso il reato oggetto di processo, Puntillo, proprio per i numerosi richiami ricevuti, era perfettamente consapevole del fatto che stava violando le prescrizioni fissate dal comandante per l'espletamento del servizio e, ciononostante, le ha patentemente infrante con dolo di intensità particolarmente elevata. Anche in relazione al complesso delle circostanze che ha caratterizzato la condotta dolosa di Puntillo, la valutazione di essa conclusivamente data dalla Corte militare di appello si è risolta, pertanto, in un giudizio di maggiore gravità della stessa, concretizzatasi con modalità e con dolo che - sulla base di una ponderazione congrua e coerente - sono stati ritenuti estranei alla sfera della particolare tenuità. Va, in tal senso, richiamato e riaffermato il principio di diritto, già evidenziato dal più autorevole consesso di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 - 01), all'esito di un'analisi che - diversamente dall'opinione espressa dall'imputato - ha ritenuto pertinente anche l'indagine sull'elemento soggettivo e, dunque, sull'intensità del dolo, valorizzando il collegamento esplicitamente fissato dalla disposizione di cui all'art. 131-bis, primo comma, con l'art. 133, primo comma, cod. pen., indagine d'altronde implicata dalla stessa esigenza di valutazione delle modalità della condotta. A fronte di questi rilievi la doglianza complessivamente svolta dal ricorrente, che critica il discorso giustificativo della sentenza di appello traendone conclusioni collidenti, si appalesa, per un verso, generica e, per altro verso, manifestamente infondata. 4. Infine, il terzo motivo appare - all'evidenza - carente di specificità e congruenza, quindi inammissibile, lì dove prospetta l'alternativa fra sussistenza o meno di altrettanti reati (si suppone di violata consegna) con riferimento alle circostanze antecedenti in cui, secondo la testimonianza del superiore C., l'imputato aveva dato luogo a comportamenti similari, caratterizzati da infrazioni rispetto alla retta esecuzione del servizio sempre per pause non regolamentari, destinate alla consumazione dei pasti. Secondo il ricorrente, il fatto che non fossero stati contestati altri reati avrebbe dovuto precludere ogni valutazione in senso negativo del comportamento pregresso del militare. Tale argomento è ictu ocu/i privo di forza persuasiva: la constatazione che, per tali circostanze antecedenti, non si fosse stabilito se le corrispondenti contestazioni a P. da parte del M.Ilo C. potessero essere considerate afferenti a reato non impediva, anzi imponeva, al superiore di riferirne in sede giudiziale, siccome si trattava di dati comunque utili ai fini della considerazione della violazione in esame. Né - se questa fosse la finalità con cui l'argomento è stato agitato dal ricorrente - il fatto che il testimone Cannetti ne abbia doverosamente riferito, nel quadro di una deposizione ritenuta dai giudici di merito dotata, anche per la qualità del testimone, di adeguata attendibilità intrinseca, giustificherebbe, per ciò solo, la formulazione di fondate perplessità sulla veridicità del racconto del superiore e, quindi, sugli accadimenti da lui riportati. Per il resto, esclusa la diversa interpretazione in questa sede delle risultanze di fatto, si è già evidenziata la chiara correttezza della prospettiva assunta dalla Corte di merito nell'annettere valore al substrato costituito dalla condotta antecedente ai fini dell'individuazione dell'intensità del dolo nutrito dal reo nella circostanza qui giudicata, anche e soprattutto per gli effetti scaturenti in tema di apprezzamento dei parametri rilevanti ex art. 131-bis cod. pen. 5. Tutti i motivi si sono, pertanto, rivelati tali da imporre la declaratoria di inammissibilità del complessivo ricorso. A questa pronuncia consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e — per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) — di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in rapporto alle questioni dedotte, si reputa equo fissare in euro 2.000,00. 
P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle 
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende. 
Così deciso il 12 luglio 2018
Avv. Antonino Sugamele

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