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Sentenza

Dirigente della Polizia di Frontiera infligge la sanzione disciplinare del richi...
Dirigente della Polizia di Frontiera infligge la sanzione disciplinare del richiamo scritto ad un poliziotto poiché durante un’esercitazione, allorquando il direttore di tiro ha dato disposizioni di indossare i dispositivi di protezione individuale, non faceva notare al predetto istruttore di non potere ottemperare all’ordine ricevuto in quanto la sua postazione di tiro non era dotata degli occhiali protettivi.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio  (Sezione Prima Ter) sentenza nr. 3744/2020

Pubblicato il 31/03/2020

N. 03744/2020 REG.PROV.COLL.

N. 13368/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13368 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Norberto Ventolini, Matteo Mormino, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia

del provvedimento emesso dall'Ufficio di Polizia di frontiera di Fiumicino, prot. 4157/2016 del 21 luglio 2016, con il quale veniva inflitta la sanzione disciplinare del richiamo scritto per aver tenuto un comportamento negligente durante un'esercitazione di tiro,

nonché

per il risarcimento del danno patito in conseguenza all'incidente verificatosi nel corso dell'esercitazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L'odierno ricorrente ha impugnato, dinanzi a questo Tribunale, il provvedimento con cui, in data 21 luglio 2016, il dirigente della V Zona Polizia di Frontiera aveva lui inflitto la sanzione disciplinare del richiamo scritto “poiché durante un'esercitazione, allorquando il direttore di tiro ha dato disposizioni di indossare i dispositivi di protezione individuale, non faceva notare al predetto istruttore di non potere ottemperare all'ordine ricevuto in quanto la sua postazione di tiro non era dotata degli occhiali protettivi”, chiedendo, in uno con l'annullamento del provvedimento disciplinare, il risarcimento del danno subito in conseguenza al malfunzionamento dell'arma e all'assenza degli occhiali protettivi nel corso dell'esercitazione.

I fatti risalgono al 30 settembre 2015 quando, l'Ispettore Capo -OMISSIS-, in servizio presso l'Ufficio di Polizia di Frontiera di Civitavecchia, veniva comandato presso la Direzione di Fiumicino per espletare un corso di aggiornamento professionale.

Più in particolare, era in programma un'esercitazione pratica al poligono di tiro con l'arma lunga Beretta mod. M.12, preceduta da una lezione tecnico-teorica da parte degli Istruttori di tiro.

Durante la predetta esercitazione il ricorrente, a causa dell'assenza sulla linea di tiro degli occhiali di protezione e, ciò nonostante, della partecipazione al tiro senza dispositivi protettivi e dell'esplosione di un proiettile all'interno dell'arma utilizzata, subiva-OMISSIS-, come da accertamenti medici in atti.

2. Nel corso del giudizio, la resistente amministrazione ha depositato in atti il provvedimento emesso in data 27 marzo 2017 con cui il competente dirigente ha annullato in sede di autotutela la gravata sanzione disciplinare.

2.1. Pertanto, con sentenza non definitiva n. 4511 del 24 aprile 2018, questa Sezione ha dichiarato, con riguardo alla domanda annullatoria, l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese relative a tale parte della lite; mentre, con riguardo alla domanda di risarcimento del danno biologico patito dal ricorrente in conseguenza al medesimo fatto, alla luce del principio di diritto affermato dall'Ad.Pl. 22 febbraio 2018, n. 1, circa il divieto di cumulo tra equo indennizzo per causa di servizio e risarcimento del danno, è stata disposta istruttoria al fine di appurare l'eventuale proposizione da parte del ricorrente dell'istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità causata dall'evento esplosivo occorso e del relativo equo indennizzo.

2.2. All'esito delle richieste istruttorie contenute nella suddetta sentenza e nella successiva ordinanza n. 11195/2018, l'amministrazione ha depositato in giudizio:

a) il decreto ministeriale n. 1300 del 20.9.2018 con il quale è stata riconosciuta all'ispettore superiore Converso Alessandro la dipendenza da causa di servizio per “-OMISSIS-”;

b) il decreto ministeriale n. 3354 del 25.9.2018 con il quale è stato disposto di non liquidare alcuna somma a titolo di equo indennizzo in quanto il ricorrente risulta essere già beneficiario di equo indennizzo di Tab. B di 8^categoria per altra infermità già riconosciuta.

Rilevato, dunque, che il ricorrente non ha ricevuto alcuna somma a titolo di equo indennizzo per l'evento traumatico verificatosi nel corso dell'esercitazione di tiro per cui è causa, il collegio ha disposto, all'esito della pubblica udienza del 26 febbraio 2019, una verificazione volta all'accertamento del danno patito dal ricorrente con riferimento all'entità della menomazione fisica complessiva derivante dall'evento traumatico per cui è causa, con valutazione in termini di percentuale di incidenza sulla integrità psico-fisica dell'interessato e conseguente quantificazione del danno biologico subito, da determinarsi sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.

2.3. In data 30 luglio 2019 è stata depositata in atti la relazione finale redatta dalla commissione medica nominata dal Policlinico militare di Roma, incaricato della sopra detta verificazione, con la quale è stato accertato un danno biologico nella misura dell'11%.

3. Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2019 la causa è passata, infine, in decisione.

DIRITTO

1. La domanda risarcitoria è fondata.

2. Occorre, preliminarmente, procedere a una corretta qualificazione della domanda risarcitoria proposta, che sebbene qualificata dalla parte ricorrente in termini di responsabilità aquiliana, deve invece essere ricondotta, più propriamente, entro l'alveo della responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, quando la domanda risarcitoria risulti espressamente fondata sulla lamentata inosservanza, da parte del datore di lavoro, degli obblighi inerenti il rapporto di impiego la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., ha natura contrattuale, con conseguente prescrizione decennale. Si può, invece, ipotizzare una configurazione aquiliana dell'actio risarcitoria solo se il lavoratore abbia chiesto in modo generico il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale (sul punto, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. Un. n. 99 del 2001, n. 2004 n. 1248; Cass civ. n. 17547 del 2010; n. 21397 del 2014; Cons. Stato sez. VI, n. 4738 del 2008).

Nella fattispecie, risulta inequivocabile dalla causa petendi e dal petitum, l'esercizio dell'azione contrattuale ex art. 2087 c.c., avendo il ricorrente dedotto la imputabilità dell'evento dannoso alla condotta della amministrazione, ovvero nel non aver provveduto a fornire, durante l'esercitazione di tiro, i presidi di protezione né a verificare la loro presenza sulla linea di tiro né a sospendere l'esercitazione in mancanza degli stessi.

2.1. Indiscussa è, peraltro, in giurisprudenza, l'applicabilità dell'art. 2087 c.c. al rapporto di lavoro pubblico e al personale militare (ex multis Cons. St., IV, n. 3104 del 2018; IV, 30-10-2018, n. 6166).

2.2. Posta la riconducibilità della fattispecie in esame entro la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., giova altresì rammentare come secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza civile, “la responsabilità dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, senza tuttavia essere circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, posto che essa è sanzionata anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, per l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore medesimo nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (Cass. 3 agosto 2012, n. 13956; Cass. 5 agosto 2013, n. 18626; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25151; Cass. 5 luglio 2018, n. 17668).

Si comprende allora come l'obbligo di prevenzione posto dall'art. 2087 c.c., imponga al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all'esperienza e alla tecnica. Peraltro, dalla norma in esame non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l'evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (Cass. 12 luglio 2004, n. 12863; Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass. 19 ottobre 2018, n. 26495)” (così, Cass. civ. Sez. lavoro, 23-05-2019, n. 14066).

Alla luce dei sopra esposti principi, nessun dubbio può sussistere in ordine alla riconducibilità del danno occorso al ricorrente, nella specie una -OMISSIS-derivante dal malfunzionamento dell'arma durante l'esercitazione di tiro, alla violazione da parte dell'amministrazione delle regole poste per l'addestramento al tiro del personale della Polizia di Stato, dalla Circolare del Ministero dell'Interno 9 ottobre 2006, prot. 500/A/NTB.6/12363.

La su citata circolare dispone infatti espressamente all'art. 2, lettera n. “Dispositivi di protezione” che “durante le esercitazioni a fuoco, fatte salve specifiche esigenze previste dai programmi di addestramento specialistici, è obbligatorio l'uso dei dispositivi di protezione individuale prescritti dal regolamento del poligono (cuffie, occhiali da tiro, ecc.)”.

Il medesimo articolo, alla lettera h. “Direttore di tiro” precisa, altresì, che lo stesso “è il responsabile dell'organizzazione e del regolare svolgimento delle esercitazioni di tiro nonché delle operazioni connesse allo sgombero e alla bonifica del poligono. Osserva e fa osservare tutte le prescrizioni contenute nel regolamento d'uso del poligono, nonché le eventuali, ulteriori disposizioni adottate dal responsabile dell'Ufficio o Reparto che ha in gestione il poligono, con particolare riferimento agli aspetti concernenti la sicurezza relativa all'attività di tiro. E' l'unico titolato ad impartire gli ordinativi di tiro. Cura, attraverso gli istruttori di tiro a sua disposizione, l'attuazione delle esercitazioni sulla scorta delle indicazioni e degli obiettivi forniti dai responsabili degli Uffici e/o Reparti di appartenenza del personale in addestramento.”

Alla successiva lett. i. è stabilito, ancora, che l'Istruttore di tiro è, a sua volta, “un operatore della Polizia di Stato che abbia superato l'apposito corso di qualificazione, organizzato dalla Direzione Centrale per gli Istituti di Istruzione. L'Istruttore di tiro può essere incaricato di tenere lezioni e condurre esercitazioni in bianco in materia di armi e tiro. A tal fine deve conoscere le prestazioni e sapere impiegare tutte le attrezzature didattiche acquisite dall'Amministrazione per agevolare l'attività di insegnamento della specifica materia. Collabora, inoltre, con il Direttore di tiro nell'attuazione delle esercitazioni a fuoco, permanendo sulla linea di tiro - per periodi di tempo non superiori a quelli stabiliti dalle vigenti disposizioni sanitarie - con il compito di correggere gli errori evidenti nell'esecuzione delle tecniche di tiro, vigilare sul rigoroso rispetto delle norme relative al maneggio delle armi, intervenire in occasione di eventuali "malfunzionamenti" delle stesse, per ripristinarne l'efficienza o porle in condizioni di sicurezza.”

Dunque, nell'ambito delle esercitazioni di tiro, sulla base delle norme interne della Polizia di Stato, i soggetti responsabili a vigilare sull'osservanza delle prescrizione dettate per la sicurezza relativa all'attività di tiro, sono appunto, il direttore e l'istruttore di tiro: il primo, unico soggetto titolato a impartire gli ordini di tiro e a curare, unitamente con l'istruttore, l'osservanza del rigoroso rispetto delle norme relative al maneggio delle armi e alla vigilanza sulle condizioni di sicurezza, tra le quali, figura espressamente l'uso obbligatorio dei dispositivi di sicurezza.

2.3. Posta, nel caso di specie, la responsabilità datoriale ai sensi dell'art. 2087 c.c. in quanto fondata sulla violazione di specifiche norme poste a protezione degli operatori di polizia nell'ambito dell'addestramento al tiro, non resta che valutare se sia ravvisabile, nella medesima fattispecie, il concorso di colpa del danneggiato che, nonostante l'assenza dei dispositivi protettivi, ha maneggiato l'arma prendendo comunque parte all'esercitazione.

L'inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione non è infatti in sé incompatibile con l'esistenza di un comportamento del lavoratore qualificabile come colposo, in quanto di ciò non vi è traccia negli artt. 2087 e 1227 c.c., né in alcuna altra norma dell'ordinamento.

Tuttavia, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “sull'assetto del possibile concorso di colpa interferisce la portata pervasiva dell'obbligo datoriale di protezione, radicato in principi cardine dell'ordinamento (art. 32 Cost., sulla tutela della salute; art. 2, sulla preminenza della persona umana rispetto ad ogni altro valore) e la rilevanza della colpa è destinata a declinarsi secondo l'assetto giuridico dello specifico settore di rischio coinvolto.

All'interno di un quadro di fondo secondo cui chi organizza e pone in essere un'attività rischiosa, è tenuto a predisporre quanto necessario per evitare pregiudizi a terzi (art. 2050 c.c.), l'ambito lavoristico è infatti connotato, per un verso, dal fatto che esso comporta lo svolgimento di attività personale sotto la direzione e/o nel contesto di un'organizzazione altrui e, per altro verso, da un intenso coinvolgimento nel rischio della salute dei lavoratori.

I poteri direzionali determinano la soggezione agli ordini impartiti (art. 2104 c.c., comma 2) e la predisposizione organizzativa, come anche la destinazione dell'organizzazione ad un fine produttivo espressione di un interesse proprio del datore di lavoro, impongono, nella menzionata logica di preminenza della persona, che i presidi di sicurezza risalgano alla responsabilità primaria datoriale: art. 2087 c.c.; art. 31 della c.d. Carta di Nizza, ove si prevede che "ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose", che evidentemente devono essere predisposte e curate dal datore di lavoro.

In altre parole, il massimo rilievo da attribuire ai doveri di protezione è conseguenza diretta della sussistenza in capo ad una delle parti di poteri unilaterali di direzione ed organizzazione, come anche della destinazione ad essa dei risultati ultimi dell'attività svolta e del coinvolgimento nella dinamica del sinallagma, rispetto all'altra parte, della persona altrui con le ineludibili esigenze di tutela imposte dai principi primi dell'ordinamento.” (Cass. Civ., sez. lav., 25 novembre 2019, n. 30679).

Non a caso, dunque, si è affermato che i comportamenti concomitanti del lavoratore che pur possano rivestire, dal punto di vista materiale, portata concausale rispetto all'evento finale, degradano a mera occasione del danno, tutte le volte in cui essi siano tenuti a fronte di specifiche direttive, ordini, disposizioni datoriali (in questo senso ed in riferimento proprio a "specifici ordini di servizio" v. Cass. 14 aprile 2004, n. 7328; Cass. 8 aprile 2002, n. 5024; Cass. 16 luglio 1998, n. 6993).

In sostanza, la struttura del rapporto di lavoro, se non può in assoluto impedire al lavoratore di rifiutare l'adempimento di ordini datoriali indebitamente pericolosi per la propria salute (Cass., 1 aprile 2015, n. 6631; Cass. 10 agosto 2012, n. 14375), non toglie che, se quegli ordini siano viceversa osservati e ne consegua l'evento lesivo, la disposizione datoriale assorba in sé l'intera efficacia causale giuridicamente rilevante.

Oltre a ciò, si deve ritenere che di concorso di colpa nell'illecito non si possa mai parlare se la radice causale ultima dell'evento, pur in presenza di un comportamento del lavoratore astrattamente non rispettoso di regole cautelari, si radichi nella mancata adozione, da parte del datore di lavoro, di forme tipiche o atipiche di prevenzione, individuabili e pretendibili ex ante, la cui ricorrenza avrebbe consentito, nonostante tutto, di impedire con significativa probabilità l'evento (così, ancora, Cass. Civ., sez. lav., 25 novembre 2019, n. 30679).

Ebbene, deve ritenersi, oltre ogni ragionevole dubbio, che nel caso di specie, ove il direttore di tiro e l'istruttore di tiro, preposti all'esercitazione de qua, avessero osservato le norme che impongono l'utilizzo dei dispositivi protettivi e non avessero impartito l'ordine di tiro nonostante la loro evidente assenza sui banchi dell'esercitazione, il danno patito dall'odierno ricorrente con tutta probabilità non si sarebbe verificato.

4. Accertata, in tali termini, la responsabilità dell'amministrazione nella causazione dell'evento dannoso, non rimane a questo collegio che procedere alla liquidazione del danno biologico come accertato dalla commissione medica incaricata della disposta verificazione.

Alla luce della visita e dei test a cui è stato sottoposto il sig. Converso, la commissione ha così valutato il difetto campimetrico sofferto dal ricorrente nella misura dell'11% di danno biologico, che da tabelle di Milano 2018 per la liquidazione del danno permanente da lesioni alla integrità psico-fisica corrisponde ad un risarcimento di € 24.783.

5. Pertanto, sulla base di tutto quanto sopra esposto, la domanda risarcitoria proposta dal ricorrente merita di essere accolta con condanna dell'amministrazione al risarcimento integrale del danno biologico dallo stesso patito, come accertato dall'organismo verificatore, da liquidarsi in € 24.783.

Sulla suddetta somma devono essere poi computati, trattandosi di debito di valore, la rivalutazione monetaria e gli interessi nella misura legale, sul credito rivalutato anno per anno, secondo i criteri costantemente applicati dalla giurisprudenza (da ultimo Cassazione civile, sez. III, 6 ottobre 2016 n. 19987), dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo.

6. Le spese di lite, ivi compresi gli oneri della verificazione, seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- accoglie la domanda risarcitoria;

- condanna l'amministrazione al risarcimento del danno come in motivazione liquidato.

Condanna la resistente amministrazione, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del ricorrente delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre oneri ed accessori di legge, e in favore dell'organismo verificatore delle spese della verificazione pari a € 500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Arzillo, Presidente

Anna Maria Verlengia, Consigliere

Francesca Romano, Primo Referendario, Estensore

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Francesca Romano		Francesco Arzillo
 		
 		
 		
 		
 		

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Avv. Antonino Sugamele

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