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Sentenza

Il mobbing nel pubblico impiego e onere della prova....
Il mobbing nel pubblico impiego e onere della prova.
Per ritenersi integrata la fattispecie di mobbing è necessario il ricorrere dei seguenti elementi: a) molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio .

Per quanto concerne il lavoro pubblico per configurarsi una condotta di mobbing è necessaria la sussistenza di un disegno persecutorio tale da rendere tutti gli atti dell'amministrazione non già funzionali all'interesse generale a cui sono normalmente diretti, quanto piuttosto a dare esecuzione a tale disegno .
 
Sotto il profilo probatorio, il lavoratore che lamenta di essere vittima di una condotta mobbizzante non può limitarsi ad allegare l'esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quantomeno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione. Incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. La riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dell'art. 2087 c.c., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. 

La domanda di risarcimento dei danni discendenti da illecito demansionamento e mobbing non può essere accolta qualora il lavoratore non abbia tempestivamente impugnato i provvedimenti organizzativi, ritenuti illegittimi ed adottati dall'Amministrazione nell'ambito della sua attività gestionale, da cui è derivata l'asserita modifica peggiorativa del rapporto lavorativo. A questo proposito si osserva che il pubblico dipendente è tenuto a reagire prontamente contro gli ordini illegittimi, compresi quelli che ledono le sue prerogative professionali, giacché il “metus” del lavoratore nei confronti del datore di lavoro – che giustifica la mancata immediata reazione – è tipico dei rapporti senza stabilità.




Pubblicato il 23/03/2020N. 00536/2020 REG.PROV.COLL.N. 00368/2017 REG.RIC.R E P U B B L I C A   I T A L I A N AIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia(Sezione Terza)ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 368 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Vittorio De Gregorio, condomicilio digitale come da PEC da registri di Giustizia; controMINISTERO  DELL'INTERNO-Questura di  Milano,  in  persona delMinistro pro  tempore,  rappresentato e  difeso dall'Avvocatura Distrettualedello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, Via Freguglia, n. 1; perlacondannadel Ministero dell'Interno al risarcimento del danno causato al ricorrente.Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2020 il dott. StefanoCeleste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTOIl sig. -OMISSIS-, odierno ricorrente, riferisce di aver prestato servizio pressola Polizia di Stato e di essere stato assegnato, a decorrere dal 26 giugno 1999,presso il  Reparto  a  cavallo-Dipartimento di  Milano,  inizialmente  con  laqualifica di Agente in prova e, successivamente, con qualifiche superiori sinoal raggiungimento della qualifica di Assistente Capo.Il sig. -OMISSIS- riferisce altresì di essere in possesso dei brevetti sportivifederali FISE-CONI di Istruttore di Equitazione 1^ liv. e di Giudice SportivoFISE di  più  discipline olimpiche,  nonché  di  essere stato  ammesso apartecipare al 25^ corso di Istruttore Militare di Equitazione presso la ScuolaMilitare di Equitazione di Montelibretti al fine di conseguire la qualifica, poieffettivamente ottenuta,  di  responsabile di  scuderia e  di  Istruttore diEquitazione. Riferisce infine di aver ottenuto, a seguito della frequenza di unapposito corso organizzato dal Ministero dell'Interno con la collaborazionedell'Università di  medicina-veterinaria di  Perugia,  l'ulteriore qualifica diinfermiere veterinario per quadrupedi.Il ricorrente sostiene che, a decorrere dall'anno 2004, il suo diretto superioreavrebbe tenuto nei suoi confronti una condotta mobbizzante consistente neldemansionamento e,  più  precisamente,  nella  persistente assegnazione dicompiti non confacenti alla  sua  qualifica (compiti consistentinell'effettuazione di  servizi  di  pattugliamento a  cavallo  e,  soprattutto,  dipulizia box nonché di strigliatura cavalli da utilizzare in pattuglia dagli agentiin possesso di qualifica, quella di cavaliere, ritenuta inferiore alla sua).L'interessato deduce che  tale  comportamento mobbizzante,  caratterizzatocome appena detto da demansionamento a da sostanziale accantonamento emarginalizzazione in  ambito lavorativo,  sarebbe stato  causa  di  uno  statopatologico di carattere psicosomatico che ha determinato la sua inidoneitàpermanente al servizio di istituto.Con il ricorso in esame, il sig. -OMISSIS- chiede pertanto che il Ministerodell'Interno venga condannato al risarcimento dei danni connessi a tale stato patologico. In particolare chiede che l'Amministrazione venga condannata acorrispondergli una somma complessiva pari ad euro 995.760, di cui euro496.820 a  titolo di  danno biologico,  euro  150.000 per  il  danno dademansionamento professionale,  euro  100.000 per  il  danno alla  vita  direlazione-danno esistenziale ed euro 248.940 per il danno morale.Si è costituito in giudizio, per opporsi all'accoglimento delle domande avverse,il Ministero dell'Interno.In prossimità dell'udienza di discussione del merito, le parti hanno depositatomemorie insistendo nelle proprie conclusioni.Tenutasi  la  pubblica udienza in  data  11  febbraio 2020,  la  causa  è  statatrattenuta in decisione.Come anticipato,  il  ricorso in  esame è  stato  proposto per  ottenere lacondanna del Ministero dell'Interno al risarcimento dei danni asseritamentecagionati al  ricorrente  dalla  condotta  mobbizzante tenuta  dal  suo  direttosuperiore che, dall'anno 2004 sino all'anno 2016, avrebbe persistentementeassegnato allo  stesso ricorrente  compiti non  confacenti alla  sua  qualificaprofessionale. Si è detto, in particolare, che il sig. -OMISSIS- ha acquisito laqualifica di Istruttore di Equitazione, qualifica che, riferisce lo stesso sig. -OMISSIS-, abilita non solo all'addestramento edinsegnamento/aggiornamento dei cavalieri, ma anche a svolgere le funzioni diresponsabile di scuderia nonché ad effettuare il continuo addestramento emovimento dei  cavalli  della  Polizia al  fine  di  garantire che  venganosalvaguardate le loro necessità etologiche attraverso il giornaliero svolgimentodelle tre andature. Si è detto infine che il ricorrente ha altresì conseguito laqualifica di infermiere veterinario per quadrupedi.Come illustrato, l'interessato sostiene che, a decorrere dall'anno 2004, il suodiretto superiore  lo  avrebbe costantemente adibito a  mansioni diverse  edinferiori rispetto  a  quelle connesse alle  suddette qualifiche,  in  particolareassegnandolo a  servizi  di  pattuglia a  cavallo  e,  soprattutto,  assegnandoglicompiti di  pulizia box  e  strigliatura cavalli.  Questo continuo demansionamento sarebbe causa di uno stato patologico che, oltre ad esserefonte di danno biologico, avrebbe provocato un danno alla vita di relazione.A comprova di quanto sopra, è stata depositata la seguente documentazione:a)  verbale della  CMO del  10  ottobre 2017  che  ha  accertato  l'inidoneitàpermanente del ricorrente allo svolgimento del servizio di istituito presso laPolizia di Stato a causa della seguente patologia: disturbo dell'adattamentocon ansia umore depresso cronico e disturbo di panico; b) perizia medicaredatta dalla  dr.ssa  -OMISSIS-,  da  cui  risulta una  diagnosi di  “episodiodepressivo maggiore persistente, disturbo post traumatico cronico e disturbida attacchi di panico”, patologia che nella stessa perizia viene causalmentericondotta alla condotta mobbizzante subita in ambiente lavorativo; c) periziaredatta dal dr. -OMISSIS-in cui si afferma che il continuo demansionamentolavorativo subito dal ricorrente e la correlata situazione di stress costituisconocausa della seguente patologia: disturbo dell'adattamento in  terapiafarmacologica reattivo a stress lavorativo, “postumi di episodio sincopale concontusione polso  destro e  caviglia  destra, disturbo da  attacchi  di  panico,depressione con episodi di ansia acuta”, per un danno biologico pari al 70 percento; d)  perizia  redatta dall'Ambulatorio di  medicina del  lavoro  eprevenzione del disagio da lavoro e mobbing dell'ASL Roma 2 che concludeaffermando la  “presenza di  disagio da  stress  lavoro  correlato”; e)  pareremedico-legale redatto dal dr. -OMISSIS-, che accerta la sussistenza di unapatologia correlata a mobbing e stress lavorativo che provoca una invaliditàpari al 70 per cento.Per tutti questi motivi, come detto, il ricorrente chiede che l'Amministrazionevenga  condannata a  corrispondergli una  somma complessiva  pari  ad  euro995.760, di cui euro 496.820 a titolo di danno biologico, euro 150.000 per ildanno da demansionamento professionale, euro 100.000 per il danno alla vitadi relazione-danno esistenziale ed euro 248.940 per il danno morale.Ritiene il Collegio che la domanda non possa essere accolta per le ragioni diseguito esposte.
Come ormai  noto,  il  “mobbing”  consiste in  una  forma  di  terrorismopsicologico attuato in ambito lavorativo, che implica un atteggiamento ostile enon  etico  posto in  essere in  forma  sistematica, e  non  occasionale edepisodica, da una o più persone nei confronti di un solo individuo il qualeviene  a  trovarsi  in  una  situazione indifesa e  fatto  oggetto  di  una  serie  diiniziative vessatorie e persecutorie. Questo comportamento costituisce spessocausa di patologie che, se accertate, determinano in capo al datore di lavorol'obbligo  di  provvedere  al  risarcimento del  danno,  obbligo  da  ricondurreall'art.  2087  cod.  civ.  il  quale,  come  noto,  impone al  datore di  lavoro  ditutelare l'integrità fisica e morale dei lavoratori subordinati.Come precisa la giurisprudenza, affinché possa ritenersi integrata la fattispeciedi  mobbing  è  dunque necessario il  ricorrere  dei  seguenti elementi: a)molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche lecitise  considerati singolarmente,  che  siano stati  posti  in  essere  in  modomiratamente sistematico e  prolungato  contro il  dipendente con  intentovessatorio; b) evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c)nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e ilpregiudizio all'integrità  psico-fisica  del  lavoratore; d)  prova  dell'elementosoggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr. Cassazione civ., sez. lavoro, 4giugno 2015, n. 11547; Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 284;id., sez. III, 1 agosto 2014, n. 4105; id., sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4135; id. sez.VI, 12 marzo 2012, n. 1388).Per quanto concerne in particolare il lavoro pubblico, la stessa giurisprudenzaha puntualizzato che, per configurarsi una condotta di mobbing è necessariala  sussistenza di  un  disegno persecutorio tale  da  rendere tutti  gli  attidell'amministrazione non  già  funzionali all'interesse generale a  cui  sononormalmente diretti, quanto piuttosto a dare esecuzione a tale disegno (cfr.Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1609; id. VI, 15 giugno 2011, n.3648).
La  sussistenza di  una  sistematica volontà dell'Amministrazione di  attuarel'intento persecutorio, indipendentemente dalla rispondenza degli atti e deicomportamenti assunti all'interesse pubblico,  permette di  distinguere fracondotta mobbizzante (da  un  lato)  e  fisiologica gestione del  personalesfavorevole  alle  aspirazioni di  quest'ultimo (dall'altro), aspirazioni  che,nell'ambito del pubblico impiego (e soprattutto nell'ambito degli ordinamentifortemente gerarchizzati quale  quello  della  Polizia  di  Stato), non  semprepossono essere assecondate ed anzi vengono spesso sacrificate se contrastanticon le esigenze di servizio.Sotto il profilo probatorio si è inoltre chiarito che il lavoratore che lamenta diessere vittima di  una  condotta mobbizzante non  può  limitarsi ad  allegarel'esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quantomeno evidenziare qualcheconcreto elemento in base al quale il giudice amministrativo possa verificare lasussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato allavessazione o alla prevaricazione (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 4135 del 2013cit.). A questo proposito si osserva che la responsabilità del datore di lavoroper i danni derivanti da condotte mobbizzanti scaturisce, come detto, dall'art.2087 cod. civ. il quale, secondo la giurisprudenza, “non configura un'ipotesi diresponsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro vacollegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da normedi legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causadell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenzadi tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nessotra  l'uno  e  l'altro,  e  solo  se  il  lavoratore abbia  fornito  la  prova  di  talicircostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottatotutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattiadel dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi”. La stessagiurisprudenza ha  anche  affermato  che  “la  riconosciuta dipendenza dellemalattie da  una  causa di  servizio  implica necessariamente,  o  può  far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezzadell'ambiente di  lavoro,  potendo essi  dipendere piuttosto dalla  qualitàintrinsecamente usurante della  ordinaria prestazione lavorativa  e  dallogoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativoper un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambitodell'art.  2087  c.c.,  che  riguarda una  responsabilità contrattuale ancorata acriteri probabilistici e non solo possibilistici” (cfr. Cassazione civ., sez, lav., 29gennaio 2013, n. 2038).Va infine osservato che la giurisprudenza ha anche rilevato che la domanda dirisarcimento dei danni discendenti da illecito demansionamento e mobbingnon  può  essere accolta qualora  il  lavoratore non  abbia  tempestivamenteimpugnato i  provvedimenti organizzativi,  ritenuti  illegittimi ed  adottatidall'Amministrazione nell'ambito della sua attività gestionale, da cui è derivatal'asserita modifica peggiorativa del rapporto lavorativo (cfr. Consiglio di Stato,Sez. VI, 12 marzo 2015, n. 1282; id., sez. III, 5 febbraio 2015, n. 576; T.A.R.Sicilia Catania, sez. III, 3 aprile 2018, n.687; T.A.R. Molise, sez. I, 19 gennaio2016,  n.  23).  A  questo proposito  si  osserva  che  il  pubblico dipendente ètenuto a reagire prontamente contro gli ordini illegittimi, compresi quelli cheledono le sue prerogative professionali, giacché il “metus” del lavoratore neiconfronti del datore di lavoro – che giustifica la mancata immediata reazione– è tipico dei rapporti senza stabilità.Illustrato in questo modo il quadro normativo e giurisprudenziale in cui siinnesta la  presente controversia,  ritiene Collegio che,  come  anticipato,  ilricorso non possa essere accolto.Va in primo luogo difatti osservato che nessuno degli ordini di servizio chehanno assegnato al ricorrente compiti ritenuti non in linea con la sua qualificaprofessionale è  stato  tempestivamente impugnato.  Tale  elemento,  per  leragioni sopra illustrate, è già di per sé decisivo ai fini del rigetto della domandarisarcitoria.
In ogni caso, si deve rilevare come l'interessato non abbia comunque fornitola prova della condotta illecita tenuta dall'Amministrazione, ed in particolarenon  abbia fornito  la  prova  dell'esistenza di  un  sovrastante disegnopersecutorio, finalizzato alla sua emarginazione in ambito lavorativo.Come ripetuto,  il  ricorrente  avanza  le  sue  pretese affermando che  il  suosuperiore gerarchico, a decorrere dall'anno 2004, lo avrebbe sistematicamenteimpiegato in due servizi ritenuti dequalificanti non confacenti alle qualificheda egli possedute di responsabile di scuderia e di Istruttore di Equitazionenonché di infermiere veterinario per quadrupedi.Va  però  osservato  che  tali  qualifiche  non  sono  previste dalle  norme  chedisciplinano l'ordinamento del personale della Polizia di Stato, contenute neld.P.R.  n.  335  del  1982,  e  non  possono,  quindi, delimitare l'ambito  delleprestazioni che tale personale è tenuto ad espletare in base alle disposizionicontenute in tale corpo normativo.Si può dire, in altre parole, che le qualifiche di Istruttore di Equitazione e diinfermiere veterinario per quadrupedi abilitano chi ne è in possesso a svolgeregli specifici compiti connessi alle conoscenze acquisite frequentando i corsiche le attribuiscono, ma non modificano certo lo status del dipendente, ilquale è comunque tenuto a svolgere tutte le prestazioni connesse alla sua verae  propria qualifica di  appartenenza attribuita secondo le  disposizionicontenute nel d.P.R. n. 335 del 1982 il quale, come noto, all'art. 1, individuaesclusivamente i seguenti ruoli: a) ruolo degli agenti e assistenti; b) ruolo deisovrintendenti; c) ruolo degli ispettori; c-bis) carriera dei funzionari.Per quanto riguarda in particolare il personale inquadrato nella qualifica diAssistente (qualifica posseduta dal ricorrente), l'art. 5, comma 2, del suddettod.P.R.  stabilisce che  .
Come si vede, la norma è chiara nel prevedere che il personale appartenete alruolo degli Assistenti può essere chiamato ad espletare mansioni esecutive allequali possono essere ben ricondotti i compiti di pattugliamento in servizioippomontato. Non si può pertanto ritenere che l'assegnazione di tale incaricoal  ricorrente costituisca demansionamento che  denota comportamentomobbizzante.Per  quanto concerne  poi  i  compiti di  pulizia box  e  strigliatura cavalli,  ilricorrente  ha  depositato in  giudizio diverse  relazioni di  servizio  che  peròrisultano eccessivamente generiche non essendo possibile da esse ricavare se,effettivamente,  l'attività  in  concreto  svolta  dal  ricorrente  per  tutto  l'arcodell'orario lavorativo  sia  consistita nella  strigliatura ovvero  nella  rimozionedello stallatico e nel rifacimento delle lettiere. In ogni caso non sono statidepositati ordini di servizio del superiore gerarchico che abbiano dispostospecificamente in tal senso.Si deve dunque ritenere che, pur avendo il ricorrente addotto (attraverso laproduzione di documentazione medica) significativi elementi che possono farpresumere la sussistenza di un collegamento causale fra la seria patologia chelo  affligge  e  l'attività  lavorativa  svolta,  non  sia  stata  data  la  prova  dellasussistenza di un disegno persecutorio attuato dall'Amministrazione il quale,come detto,  costituisce elemento imprescindibile per  poter  affermare  lasussistenza della fattispecie di mobbing.Ne consegue che, come ripetuto, la domanda risarcitoria proposta in questasede non può essere accolta.La copiosa documentazione medica prodotta che fa presumere che la seriapatologia che affligge il ricorrente sia in qualche modo connessa all'attivitàlavorativa  da  egli  svolta  induce il  Collegio a  ritenere che  la  domandarisarcitoria, anche se infondata, sia stata proposta sulla base di ragionevolielementi. Sussistono dunque giustificate ragioni per  disporre  lacompensazione delle spese di giudizio.P.Q.M.
Il  Tribunale Amministrativo  Regionale per  la  Lombardia (Sezione Terza),definitivamente pronunciando sul  ricorso,  come  in  epigrafe  proposto,  lo respinge.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2,del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4,del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, mandaalla  Segreteria di  procedere,  in  qualsiasi ipotesi di  diffusione del  presenteprovvedimento,  all'oscuramento delle  generalità nonché  di  qualsiasi datoidoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2020con l'intervento dei magistrati:Ugo Di Benedetto, PresidenteStefano Celeste Cozzi, Consigliere, EstensoreValentina Santina Mameli, ConsigliereL'ESTENSOREIL PRESIDENTEStefano Celeste CozziUgo Di BenedettoIL SEGRETARIOIn caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessatinei termini indicati
Avv. Antonino Sugamele

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