la giurisdizione militare in tempo di pace sussiste, per espressa previsione dell'art. 103 Cost., comma 3, "soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alla Forze Armate" ed è, quindi, riferita alla cognizione dei reati militari, ovvero secondo la definizione datane dall'art. 37 c.p.m.p., comma 1, - delle violazioni delle leggi penali militari, sanzionate con una pena militare.
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-02-2020) 23-07-2020, n. 22055
Fatto Diritto P.Q.M.
MISURE CAUTELARI PERSONALI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente -
Dott. CATENA Rossella - Consigliere -
Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -
Dott. ROMANO Michele - Consigliere -
Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.F., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 31/07/2019 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
sentite le conclusioni del PG PAOLA FILIPPI;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore Avv. MARIO ETTORE ANGELO ROTONDO si riporta ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1.Con atto a firma degli avv.ti Rotondo è proposto ricorso per Cassazione nell'interesse di P.F. avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del Riesame, che ha, in parziale accoglimento dell'appello del P., fissato in mesi otto la durata della misura cautelare interdittiva della sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio (precisamente dello svolgimento delle funzioni di appartenenti all'arma dei carabinieri, applicata dal G.i.p. del Tribunale Castrovillari con ordinanza del 29 giugno 2019 al ricorrente in relazione al reato di cui all'art. 81 c.p., art. 476 c.p., commi 1 e 2, per avere nelle predette funzioni formato in tutto o in parte false denunce di documenti di circolazione con riferimento alle denunce, complessivamente in numero di 10, presentate dai soggetti specificamente indicati nella provvisoria incolpazione, nel periodo compreso tra il 4 febbraio 2016 e il 9 febbraio 2018).
2. Con esso si articolano quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto a quello militare in relazione alla falsa applicazione degli artt. 13, 20 e segg. codice di rito e degli artt. 220, 261, 260, 263, 264 c.p.m.p., nonchè difetto ed illogicità della motivazione.
In particolare, non si condivide che si sia esclusa la giurisdizione dell'autorità giudiziaria militare sul presupposto che ai fini della sussistenza di quest'ultima occorre la qualità di militare sia del soggetto attivo sia di quello passivo, situazione che non si rinviene nella fattispecie in esame così come non si rinviene la connessione tra reati comuni e reati militari in quanto unica è l'imputazione rivolta al P.. Ed invece, trattandosi di un appartenente alle forze armate e precisamente all'arma dei carabinieri competenti a decidere sono il Procuratore della Repubblica militare e il Tribunale militare di Roma relativamente ai reati commessi in Calabria stante la soppressione della sezione distaccata di Napoli.
2.2. Col secondo motivo si deduce violazione dell'art. 289, comma 2 e art. 178, lett. c), codice di rito lamentando che il G.i.p. del Tribunale di Castrovillari prima di applicare la misura interdittive della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio avrebbe dovuto procedere all'interrogatorio dell'indagato come imposto dall'art. 289, comma 2, codice di rito che costituisce norma speciale rispetto a quella di cui all'art. 294, comma 1 bis, codice di rito, e deve trovare applicazione anche quando la richiesta del PM ha ad oggetto misura coercitiva e non interdittiva come nel caso di specie in cui si richiedeva l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari.
2.3.Con il terzo motivo si denuncia la violazione delle norme di cui agli artt. 64, 272, 406, 191, 346, 347 e 331 e ss., art. 178, lett. c), codice di rito nonchè artt. 24 e 2 Cost. e 6.3. della Cedu. Si lamenta innanzitutto che la comunicazione della notizia di reato alla Procura della Repubblica da parte dei militari della caserma di Rossano è avvenuta venti giorni dopo la presentazione della denuncia nonostante si versasse in possibile ipotesi di reati procedibili d'ufficio dei quali il militare ricevente avrebbe dovuto dare immediata comunicazione al Pubblico Ministero ed invece sono state svolte le prime indagini senza alcuna autorizzazione o delega da parte del Procuratore della Repubblica competente; di qui l'inutilìzzabilità degli atti di indagini posti a base dell'ordinanza cautelare ivi comprese le sommarie informazioni rese dal Lavorato per il quale si è solo proceduto all'interruzione dell'assunzione con l'avvertimento della facoltà di nomina di un difensore (senza cioè i preventivi avvertimenti di cui all'art. 64 codice di rito). L'indagato ha poi continuato a prestare servizio presso la medesima caserma fino al 02/02/2019 ovvero alla data di notifica del trasferimento di servizio provvisorio con oneri presso la stazione Cosenza nord; trasferimento disposto in via immediata e provvisoria a seguito della notifica della richiesta di proroga delle indagini preliminari; in ogni caso si segnala che le indagini sono proseguite all'insaputa dell'interessato per la durata massima prevista dalla legge, senza fissazione dell'udienza nonostante la memoria difensiva contenente espressa istanza in tal senso; nè il decreto di proroga emesso oltre il termine di dieci giorni dal deposito della memoria è stato notificato all'indagato; ciò ha di fatto precluso al predetto la possibilità di reperire elementi di prova a proprio favore nonchè eventualmente di acquisirne mediante incidente probatorio; quindi il tutto si è svolto in palese violazione del diritto di difesa; ne consegue l'inutilizzabilità di tutti gli atti d'indagine svolti o acquisiti successivamente alla richiesta di proroga delle indagini del PM del 25 gennaio 2019. Nè il tribunale ha fornito una qualche motivazione in ordine a tali deduzioni di inutilizzabilità già in quella sede enucleate.
Si deduce inoltre la mancanza della condizione di procedibilità non risultando presentata alcuna denuncia a carico dell'indagato.
2.4. Col quarto motivo si deduce la violazione dell'art. 289, comma 2, codice di rito e l'insussistenza delle condizioni per l'emissione della misura cautelare.
Si assume in particolare che nel caso di specie si versa piuttosto nell'ipotesi del reato impossibile sia per essere i fatti oggetto di contestazione innocui e quindi grossolani ovvero riconoscibili da chiunque, sia perchè trattasi di falso inutile avente ad oggetto documenti privi di rilevanza giuridica.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è nel suo complesso infondato e merita il rigetto.
1.1.Il primo motivo è manifestamente infondato.
Nell'ordinanza impugnata, coerentemente ai dettami normativi e alla giurisprudenza di questa Corte (che ha più volte asserito - in relazione a reati di natura patrimoniale previsti anche nel codice militare - che perchè sussista la giurisdizione dell'autorità giudiziaria militare e non quella ordinarla occorre la qualità di militare sia del soggetto attivo del reato, sia di quello passivo e, quindi, nel caso di reati contro il patrimonio, occorre che il danno sia interamente subito dall'amministrazione militare e non da un ente pubblico del tutto estraneo al predetto apparato, cfr. ex multis Sez. 2, n. 20136 del 11/04/2018 - dep. 08/05/2018, Sinito, Rv. 27281301, Sez. 1 Ordinanza n. 7579 del 22/01/2014 Rv. 258605 - 01) si afferma che sussiste nel caso di specie la giurisdizione del giudice ordinario rispetto a quello militare perchè non ricorre alcuna delle ipotesi costituenti il presupposto per ravvisarsi la giurisdizione militare difettando sia la duplice qualità di militare del soggetto attivo e passivo, situazione che non si rinviene nella fattispecie in esame, sia la connessione tra reati comuni e reati militari in quanto unica è l'imputazione rivolta al P., quella avente ad oggetto il reato "comune" sopra riportato.
Nell'ambito della correttezza di tale premessa, occorre rammentare che la giurisdizione militare in tempo di pace sussiste, per espressa previsione dell'art. 103 Cost., comma 3, "soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alla Forze Armate" ed è, quindi, riferita alla cognizione dei reati militari, ovvero secondo la definizione datane dall'art. 37 c.p.m.p., comma 1, - delle violazioni delle leggi penali militari, sanzionate con una pena militare.
Tale particolare giurisdizione - circoscritta entro limiti rigorosi, come più volte ribadito dalla Corte Costituzionale (tra le altre, sentenze n. 29 del 1958, n. 48 del 1959, n. 81 del 1980, n. 112 e n. 113 del 1986, nn. 206 e 207 del 1987, n. 429 del 23 ottobre - 10 novembre 1992), quale deroga alla giurisdizione ordinaria da considerare, per il tempo di pace, come la "giurisdizione normale" e la cui "eccezionalità" è sottolineata dall'uso dell'avverbio "soltanto" nell'indicato art. 103 Cost., comma 3, - è esercitata, salva l'ipotesi di connessione nel caso di pluralità di reati, comuni e militari, di cui all'art. 13 c.p.p., comma 2, dal Tribunale militare per i reati di competenza della Magistratura Militare, che si distinguono in reati esclusivamente militari - ossia quelli previsti soltanto dal diritto penale militare - e reati obiettivamente militari - ossia quelli previsti anche dalla legislatura ordinaria (sulla "normalità" della giurisdizione ordinaria, salvo che non si tratti di reati commessi "sotto le armi", v. anche Cassazione, Sez. 1, 13 dicembre 2011, n. 3986/2011).
Ciò posto, venendo al reato contestato nel caso in esame risulta evidente, alla stregua della stessa contestazione, che si versi in ipotesi di delitto - falsità materiale in atto pubblico consistente nella redazione di false denunce di smarrimento di documenti di circolazione - previsto e punito esclusivamente dal codice penale, non risultando in quello penale militare contemplata una siffatta fattispecie nè come reato proprio militare nè come reato anche militare.
Difetta quindi, proprio la corrispondenza tra la condotta ipotizzata ed una previsione incriminatrice della legge penale militare, fermo restando che in ogni caso il bene giuridico offeso dal reato è precipuamente la pubblica fede.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la previsione di cui all'art. 289 c.p.p., comma 2, costituisce norma speciale, che consente l'esercizio del diritto di difesa in anticipo rispetto all'applicazione della misura, salvo che la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero, dovendo procedersi, in tale ipotesi, all'interrogatorio nei termini previsti dalla disposizione generale di cui all'art. 294 c.p.p., comma 1-bis, (cfr. in motivazione, Sez. 6, n. 16396 del 10/01/2018 - dep. 12/04/2018, Mileto, Rv. 27276901; nonchè Sez. 6, n. 41124 del 22/09/2016 - dep. 30/09/2016, Piccolo, Rv. 268328-01 secondo cui l'interrogatorio di garanzia di persona sottoposta alla misura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio va effettuato nei termini di cui all'art. 294 c.p.p., comma 1 bis anche quando la richiesta di misura interdittiva sia stata subordinata ad altra principale, avente ad oggetto misure cautelari coercitive).
1.3. Il terzo motivo è nel suo complesso infondato, e nella parte in cui deduce l'inutilizzabilità di atti è evidente la sua inammissibilità non essendosi neppure indicati specificamente i singoli atti che si assumono inutilizzabili nè prospettata la decisività di ognuno di essi ai fini della decisione.
In tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti o le parti di essi specificamente affetti dal vizio ma anche chiarirne - per quel che qui rileva - la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009, Rv. 243416).
Va, poi, ricordato che in ogni caso dopo la riforma dell'art. 348 c.p.p., comma 3, per effetto della L. 26 marzo 2001, n. 128, la polizia giudiziaria resta libera di procedere autonomamente ad atti di indagine, anche non necessari e urgenti, sia prima che dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, con la sola condizione che tali atti siano compatibili con le direttive e le deleghe eventualmente impartite dal medesimo. (Sez. 5, n. 15003 del 11/03/2019 - dep. 04/04/2019, ZANICHELLI GIORGIO, Rv. 27509901); e per quelli compiuti prima di tale comunicazione rimane comunque il disposto normativo di cui all'art. 347 codice di rito che consente la raccolta di elementi di prova e lo svolgimento di attività di indagine anche in tale fase.
Nè si delineano profili di illegittimità in ordine alla mancata fissazione dell'udienza a fronte della memoria difensiva presentata in relazione alla richiesta di proroga delle indagini presentata dal Pubblico Ministero.
Come espone lo stesso ricorrente si è provveduto alla notificazione della richiesta come previsto dalla norma di cui all'art. 406 codice di rito che non richiede nessun altro adempimento; la fissazione dell'udienza, infatti, alla luce dell'art. 406 c.p.p., comma 5 s'impone solo nel caso in cui il giudice ritenga che allo stato degli atti la richiesta di proroga non sia accoglibile. Nè sussistono profili di improcedibilità per mancanza di querela trattandosi di reato procedibile di ufficio.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Con esso si deduce genericamente la ricorrenza dell'ipotesi del reato impossibile per essere i fatti oggetto di contestazione innocui e quindi grossolani ovvero riconoscibili da chiunque, o del falso inutile trattandosi di documenti privi di rilevanza giuridica, senza neppure esplicitarsi le ragioni che depongono per siffatte qualificazioni e ciò peraltro a fronte della puntuale ricostruzione contenuta nel provvedimento impugnato (alla quale si rimanda).
2. Ne deriva, per le ragioni tutte, sopra indicate, che il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020
08-09-2020 22:29
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