Militare sostiene che un superiore, aveva usato nei suoi confronti toni e parole mortificanti, preannunciando la valutazione negativa all'atto della compilazione delle note caratteristiche annuali, e lasciandolo tornare a piedi in reparto, anziché con il mezzo militare, alla fine del servizio. Mobbing ?
Pubblicato il 03/12/2020
N. 12920/2020 REG.PROV.COLL.
N. 03013/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3013 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Faticoni, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Virginia Coletta in Roma, viale Mazzini, 114/B;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per il risarcimento
dei danni derivanti da reiterati atti e comportamenti vessatori nell'ambito lavorativo;
con motivi aggiunti per l'annullamento
del decreto n. 1390 del 16.4.2012 con il quale il Direttore di Amministrazione del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, -OMISSIS-^ Sezione Equo Indennizzo, decretava il mancato riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per l'infermità "-OMISSIS-".
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 ottobre 2020 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha chiesto la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento in suo favore del danno subito per effetto di alcune condotte vessatorie tenute nei suoi confronti dai superiori sul luogo di servizio.
Il ricorrente, già -OMISSIS- e al momento della presentazione del ricorso in congedo assoluto, ha esposto di essere stato vittima di condotte persecutorie a decorrere dal 2005, epoca in cui prestava servizio presso la -OMISSIS-- Roma.
In quel periodo in più occasioni egli era stato fatto rientrare dal riposo settimanale e dalla licenza ordinaria per esigenze lavorative, senza che fosse mai stata computata in suo favore la relativa indennità di compensazione; in alcuni episodi il -OMISSIS-, suo superiore, aveva usato nei suoi confronti toni e parole mortificanti, preannunciando la valutazione negativa all'atto della compilazione delle note caratteristiche annuali, e lasciandolo tornare a piedi in reparto, anziché con il mezzo militare, alla fine del servizio; il 4.7.2005 era stato invitato a presentarsi presso l'infermeria per la necessità di un supporto specialistico e obbligato a sottoporsi a visita -OMISSIS-, nonché a consegnare l'arma al rientro in sede; a seguito delle visite effettuate il ricorrente era stato dichiarato idoneo con diagnosi di "assenza di elementi clinici -OMISSIS-".
Successivamente, disposti ulteriori accertamenti in data 5.-OMISSIS-.2005, era stata confermata la diagnosi di assenza di -OMISSIS-.
Come ulteriori esempi di condotte vessatorie, il ricorrente ha dedotto che in molte occasioni era stato obbligato a svolgere il servizio di postazione armata, con giubbotto antiproiettile e pistola mitragliatrice, per complessivi quattro ore, in violazione del Regolamento generale dell'Arma dei Carabinieri secondo il quale il servizio doveva essere ripartito equamente tra i militari in servizio; egli aveva fatto notare la disparità di trattamento, e il comandante gli aveva rappresentato che si era trattato di un errore; nuovamente assegnato alla postazione armata per quattro ore, veniva colto da malore ed aveva dovuto ricorrere alla cure sanitarie presso il locale pronto soccorso.
Lo stesso accadeva il 17 novembre 2005 quando, all'esito delle visite effettuate, gli veniva riscontrata la "malattia -OMISSIS- e -OMISSIS-, -OMISSIS-".
Il 21 dicembre 2005, allorché egli fruiva di congedo per riposo medico, era stato ciononostante posto in licenza ordinaria, tanto che il Comando gli aveva comunicato che i certificati medici inviati non esistevano; il 31.12.2005 egli era costretto a lasciare il servizio poiché colto da malore, ed anche in questo caso il relativo certificato non risultava agli atti.
Tali episodi si ripetevano anche nel gennaio 2006, con la conseguenza che il 10.3.2006 gli era stato notificato il provvedimento disciplinare del -OMISSIS-; in tale occasione egli veniva colto da malore e costretto a lasciare il servizio per ricorrere a cure mediche, ma nemmeno tale certificato risultava agli atti.
Anche nel marzo e nell'aprile del 2006 il ricorrente era stato nuovamente impiegato in postazione per turni di quattro ore, tanto che aveva dovuto nuovamente ricorrere a cure mediche.
Dopo ulteriori episodi analoghi, il 14.6.2006 il medico curante del ricorrente l'aveva ritenuto affetto da "-OMISSIS-"; nei giorni successivi, mentre era in malattia, gli era stato notificato l'avvio di un nuovo procedimento disciplinare, poi archiviato senza che fosse irrogata alcuna sanzione.
Nell'agosto del 2006, sottoposto a visita dal proprio comando, era stato nuovamente giudicato idoneo, in assenza di -OMISSIS-; dopo alcuni giorni aveva presentato istanza per conferire con il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e il Ministro della Difesa, istanza della quale aveva poi richiesto l'archiviazione a fronte delle rassicurazioni da parte del proprio comandante che le ingiustizie nei suoi confronti sarebbero terminate.
Anche in seguito, tuttavia, il ricorrente era stato impiegato in turni di 23 ore consecutivi e fatto rientrare in servizio dal congedo che stava fruendo, mentre i colleghi erano regolarmente in ferie.
A partire dalla fine del 2005, il ricorrente aveva riscontrato una regressione nelle note di qualifica, essendo passato da "superiore alla media" a "nella media", in considerazione della "minore attenzione nell'assolvimento dei propri doveri"; nella scheda del 2007 era risultato addirittura "inferiore alla media", per "uno scarso spirito di collaborazione".
Il ricorrente aveva quindi impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato l'ultima scheda caratteristica ed il gravame era stato accolto dal Consiglio di Stato nell'adunanza del 25.5.2010.
Come ulteriore episodio vessatorio il ricorrente ha segnalato il fatto che, pur avendo partecipato ai servizi di vigilanza a seguito della morte del Papa, non era stato segnalato per l'attestazione di benemerenza, come invece avvenuto ad altri colleghi nelle medesime condizioni; le istanze inoltrate per avere notizie del procedimento erano rimaste senza esito; lo stessa era accaduto quando, il 9.3.2009, a seguito di lesioni riportate durante il servizio e riconosciute dipendenti da causa di servizio, aveva chiesto di potersi fregiare del "distintivo d'onore".
Nel settembre 2009 in sua assenza era stata effettuata un'ispezione nella stanza ove lo stesso occupava un posto letto e cambiato il chiavistello della porta di entrata, tanto che nel turno successivo egli aveva dovuto passare la notte su una sedia in sala d'aspetto; tali circostanze avevano comportato anche l'inizio di un giudizio presso il -OMISSIS-per -OMISSIS-, ovvero -OMISSIS-, poi concluso con l'archiviazione del caso. Solo nel mese di dicembre gli erano state restituite le chiavi della stanza, ma ancora qualche giorno dopo era stato accompagnato fuori dal reparto senza poter recuperare il proprio vestiario, tanto che era stato colto da malore e portato al pronto soccorso, dove gli veniva diagnosticata -OMISSIS-.
Tali vicissitudini avevano comportato l'insorgenza di -OMISSIS-, poi sfociata nel congedo assoluto per riforma in data 23.12.2009.
L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio resistendo al ricorso.
Con motivi aggiunti depositati il 6 dicembre 2012 il ricorrente ha impugnato il decreto n. 1390 del 16.4.2012 con il quale il Direttore di Amministrazione del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, -OMISSIS-^ Sezione Equo Indennizzo, ha respinto l'istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per l'infermità "-OMISSIS-".
A sostegno del gravame sono state articolate le censure di insufficiente motivazione dal punto di vista medico legale apportata dagli organi di verifica e compromessa terzietà del medesimo Comitato di verifica nelle cause di servizio.
La presenza di un Ufficiale dell'Arma da cui dipende il ricorrente all'interno del collegio che aveva provveduto sull'istanza, sebbene potesse rappresentare una garanzia dell'attento esame della domanda, in questo caso avrebbe compromesso la terzietà del collegio stesso, poiché le cause della reclamata infermità non erano imputabili esclusivamente a -OMISSIS-connessi al servizio ma a -OMISSIS- riconducibili a ufficiali dei Carabinieri.
Nel parere del Comitato non era stata annotata nessuna patologia particolare di natura fisica ma non era stata nemmeno evidenziata, neanche sminuendola, tutta la serie di eccezionali disagi che pure erano documentati, in violazione dei canoni generali posti dall'art. 3 della l. n. 241/90.
Inoltre il ricorrente aveva fatto esaminare la patologia in questione, raccogliendo un parere medico legale che contrastava con le deduzioni immotivate del provvedimento impugnato.
All'udienza di smaltimento dell'arretrato del 30 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso principale deve essere respinto in quanto infondato.
Va premesso, al riguardo, che gli elementi caratterizzanti della fattispecie di mobbing, così come delineati nel tempo dalla giurisprudenza, devono essere individuati in una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall'art.20-OMISSIS-7 c.c.; tale illecito, che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato (cfr. Cass. civ., 9 settembre 200-OMISSIS-, n. -OMISSIS--OMISSIS-3; 6 marzo 2006, n. 4774).
Pertanto, integra la nozione di mobbing la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti, diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 20-OMISSIS-7 cod. civ. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica).
Non esclude la responsabilità del datore di lavoro la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, qualora il datore di lavoro, su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c., sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero e tardivo intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza (Cass. civ., 9 settembre 200-OMISSIS-, n. 22-OMISSIS-5-OMISSIS-; 13 settembre 2006, n. 19559).
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie (Consiglio di Stato sez. VI 13 marzo 201-OMISSIS- n. 15-OMISSIS-9; Cass. civ., 17 febbraio 2009, n. 37-OMISSIS-5).
Come ha avuto modo di evidenziare la giurisprudenza di legittimità, nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa esserne chiamato a risponderne nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili (Cass. civ., n. 4222 del 3 marzo 2016).
E' stato quindi ritenuto che la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, sez. VI, 13 marzo 201-OMISSIS- n. 15-OMISSIS-9; Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2015, n. 2412).
Conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945).
Orbene, forniti i suesposti sintetici cenni in merito alle caratteristiche generali della fattispecie dannosa dedotta da parte ricorrente, deve ritenersi che i caratteri sopra evidenziati siano assenti nella fattispecie in esame, in cui non emergono elementi tali da evidenziare un comportamento del superiore vessatorio o persecutorio e finalizzato all'estromissione del dipendente o comunque allo svilimento e alla mortificazione della sua professionalità e/o addirittura della sua persona.
Nel caso di specie il ricorrente ha dedotto, quali comportamenti concretizzanti la condotta di mobbing denunciata, una serie di episodi così sintetizzabili:
- egli sarebbe stato in più occasioni richiamato in servizio mentre fruiva di congedo ordinario o per malattia;
- sarebbe stata disposta nei suoi confronti visita medica in difetto di alcuna patologia;
- sarebbe stato sottoposto a turni di quattro ore con disparità di trattamento rispetto ai turni svolti dai colleghi;
- i certificati medici inviati per fruire del congedo per malattia non sarebbero stati regolarmente archiviati;
- infine sarebbe stato ingiustamente penalizzato nelle note caratteristiche.
Alla luce dei principi sopra delineati, il Collegio ritiene che la situazione denunciata dal ricorrente non integri un'ipotesi di mobbing, non potendo ritenersi provata, dal complesso degli elementi forniti, la finalità persecutoria o discriminatoria sottesa agli episodi narrati.
In primo luogo deve rilevarsi, in merito, che la maggior parte degli episodi descritti non trova supporto in elementi probatori da cui possa effettivamente evincersi il compimento di condotte persecutorie nei suoi confronti, non risultando documentato alcun atto da cui emerga una finalità vessatoria ulteriore rispetto alla mera assegnazione a servizi o turni, eventualmente svantaggiosi, che il rapporto di lavoro di un appartenente alle Forze Armate ordinariamente comporta.
Le condotte vessatorie non trovano pertanto conferma in nessun altro atto adottato dai dirigenti del reparto presso cui prestava servizio il ricorrente.
Peraltro, in alcune delle numerose ipotesi con riferimento alle quali il ricorrente ha lamentato di essere stato fatto rientrare in servizio benché in congedo, come evidenziato dall'Amministrazione agli atti risulta che la consegna della certificazione medica era posteriore alla convocazione (per es. nel caso della convocazione del 5.1.2006, con certificazione rilasciata alle 1-OMISSIS-.47 del 6.1.2006).
Così come, in merito ai casi in cui il ricorrente è stato sottoposto a visita medica, tale disposizione risulta pienamente giustificata dal fatto che egli stesso ha riferito che, in più di un'occasione, è stato colto da malore in servizio dovendo addirittura ricorrere alle cure del pronto soccorso (si veda a titolo esemplificativo il caso del 13.6.2006, quando, convocato a rapporto dal comandante della compagnia, l'-OMISSIS- accusa un malore e viene accompagnato al pronto soccorso, dal qual viene poi dimesso con diagnosi "cervicalgia" e prognosi di 1 giorno).
Gli episodi menzionati, quindi, non presentano tratti né di particolare eccezionalità rispetto al servizio prestato né di gravità tali da poterne inferire una sottesa volontà vessatoria o persecutoria da parte del superiore.
Sotto tale profilo, pertanto, dall'esame degli atti non emerge alcun elemento fattuale che possa evidenziare che il quadro patologico poi riscontrato sia direttamente ed esclusivamente riconducibile alle condotte tenute dai superiori sul luogo di lavoro, finalizzate a vessare il ricorrente e a comprometterne la figura professionale.
Mancano, dunque, a parere del Collegio, tutti gli elementi costitutivi del mobbing, innanzi declinati.
Gli eventi sopra analizzati, che per il ricorrente possono avere senz'altro rappresentato accadimenti poco piacevoli e, dunque, possono essere stati dallo stesso percepiti e interiorizzati come tasselli di un progressivo quadro persecutorio e di ostilità nei propri confronti, non denotano, invero, quel carattere mirato, prolungato e sistematico, che deve necessariamente sussistere affinché possa correttamente parlarsi di mobbing.
Il ricorso principale deve quindi essere respinto.
Con riferimento ai motivi aggiunti, va premesso che gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio delle infermità dei pubblici dipendenti da parte delle Commissioni mediche ospedaliere e del Comitato per la verifica per le cause di servizio, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. 461/2001, anche in relazione all'equo indennizzo, rientrano nella discrezionalità tecnica di tali organi, che pervengono alle relative conclusioni assumendo a base le cognizioni della scienza medica e specialistica.
Di conseguenza il sindacato che il giudice della legittimità è autorizzato a compiere sulle determinazioni assunte dagli organi tecnici, ai quali la normativa vigente attribuisce una competenza esclusiva in materia, deve necessariamente intendersi limitato ai soli casi di travisamento dei fatti e di macroscopica illogicità ictu oculi rilevabili, non essendo consentito in alcun caso al giudicante di sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico nell'esercizio di una attività tipicamente discrezionale e giustificata dal possesso di un patrimonio di conoscenze specialistiche del tutto estranee al patrimonio culturale di detto giudice (Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 201-OMISSIS-, n. 2140; 4 ottobre 2017, n. 4619; 23 marzo 2010, n. 1702; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 20 marzo 201-OMISSIS-, n. 3130).
Per quanto poi riguarda l'ipotesi ricorrente di contrasto tra i giudizi dei due organi tecnici, la Commissione medica ospedaliera e il Comitato di Verifica per le cause di servizio, deve rilevarsi che i predetti pareri non sono da considerare pari ordinati, in quanto la normativa di settore impone all'Amministrazione di seguire il giudizio del Comitato, costituendo questo - anche per la particolare e qualificata composizione di tale organo - un momento di sintesi finale della intera complessa procedura.
Con la nuova disciplina delineata dal d.P.R. n. 461 del 2001, infatti, la procedura per il riconoscimento della causa di servizio è stata sostanzialmente riformata, in quanto la Commissione medico ospedaliera deve pronunciarsi solo sull'esistenza dell'infermità, mentre il Comitato di verifica deve esprimere un parere sulla dipendenza da cause di servizio e, a sua volta, l'Amministrazione è tenuta a conformarsi al detto parere, salva la facoltà di richiedere, motivatamente, un ulteriore parere al detto Comitato, al quale è poi tenuta comunque ad adeguarsi (Cons. Stato, sez. III, 24 ottobre 2016 n. 4452 ; Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2009, n. 1-OMISSIS--OMISSIS-9).
Nella fattispecie il Comitato ha negato la dipendenza da causa di servizio della patologia riportata rilevando che "l'infermità "-OMISSIS-" non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente su personalità predisposta. Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo, l'infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante".
Il Comitato di verifica ha quindi puntualmente svolto il proprio obbligo motivazionale, chiarendo dettagliatamente le ragioni per le quali non poteva riconoscersi collegamento causale tra tale infermità e il servizio prestato.
La rilevanza sotto il profilo causale, o quanto meno concausale, delle vicende occorse sull'insorgenza della malattia non può che discendere da una comprovata straordinarietà delle condizioni di lavoro subite, che devono eccedere i disagi cui sono ordinariamente assoggettati gli appartenenti alle Forze Armate, straordinarietà nella specie non sussistente, anche considerato che gli eventi lamentati non hanno assunto carattere di eccezionalità tale da potersi ritenere effettivamente traumatizzanti.
Le considerazioni espresse dal Comitato risultano quindi pienamente aderenti a quanto emerge dagli atti prodotti, non essendo emersi dall'esame delle vicende dedotte elementi tali da comprovare condizioni di straordinario disagio.
Non sono ravvisabili, dunque, le carenze motivazionali lamentate, né manifeste illogicità atte ad evidenziare l'erroneità del giudizio.
Infine, non rileva sotto il profilo della terzietà del collegio che ha esaminato l'istanza il fatto che uno dei componenti appartenesse all'Arma dei Carabinieri, non potendosi certo ritenere che solo per tale circostanza, senza alcun ulteriore rapporto o motivo di conoscenza o di ostilità nei confronti del ricorrente, il giudizio non sia stato imparziale.
Per tali ragioni anche i motivi aggiunti devono essere respinti.
Ricorrono, comunque, le ragioni che giustificano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge;
compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Germana Panzironi, Presidente
Marco Poppi, Consigliere
Francesca Petrucciani, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesca Petrucciani Germana Panzironi
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
05-12-2020 13:51
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