Primo Maresciallo Luogotenente dell'Esercito Italiano e già Primo Maresciallo dell'Esercito Italiano condannati per peculato militare continuato e aggravato, a norma dell'art. 215 codice penale militare di pace e art. 47 codice penale militare di pace, comma 1, n. 2, art. 1 cpv. c.p., con il riconoscimento per entrambi delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante e la riduzione del trattamento sanzionatorio, rispettivamente ad anni nove e mesi due di reclusione e ad anni due e mesi quattro di reclusione.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-02-2020) 30-03-2020, n. 10816
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente -
Dott. VANNUCCI Marco - Consigliere -
Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere -
Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -
Dott. CAIRO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.M.S., nato il (OMISSIS);
N.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/03/2019 della CORTE MILITARE d'APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere APRILE STEFANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore UFILUGELLI Francesco che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore:
- avvocato BACCHI ALESSANDRO, difensore di C., che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso;. - avvocato MARZIALE LUCIO, difensore di N., che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Roma in data 17 maggio 2018 con la quale, all'esito del giudizio abbreviato, C.M.S. e N.A., rispettivamente già Primo Maresciallo Luogotenente dell'Esercito Italiano e già Primo Maresciallo dell'Esercito Italiano, sono stati dichiarati responsabili dei delitti di peculato militare continuato e aggravato, a norma dell'art. 215 codice penale militare di pace e art. 47 codice penale militare di pace, comma 1, n. 2, art. 1 cpv. c.p., con il riconoscimento per entrambi delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante e la riduzione del trattamento sanzionatorio, rispettivamente ad anni nove e mesi due di reclusione e ad anni due e mesi quattro di reclusione.
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito gli imputati sono stati riconosciuti responsabili degli indicati delitti, in alcune occasioni commessi in concorso, posti in essere nella loro qualità di cassiere dell'amministrazione del Policlinico militare del (OMISSIS), perciò direttamente e concretamente investiti della disponibilità delle somme dell'amministrazione delle quali in varie occasioni e con diverse modalità operative si appropriavano, effettuando dei bonifici in proprio favore, incassando direttamente dei titoli emessi dall'amministrazione e appropriandosi direttamente di somme di denaro in contanti.
Secondo i giudici di merito, sul punto non contrastati dalle difese, il principale strumento utilizzato per porre in essere l'impossessamento è quello del cd. "sistema delle poste a scalare", il quale poggia sui seguenti elementi: individuazione di un creditore pubblico che non sarebbe stato in grado di accorgersi, almeno per un lungo periodo, che la somma che l'amministrazione doveva versare veniva corrisposta in misura inferiore a quella dovuta; esecuzione, mediante bonifico, di un ordine di pagamento per un ammontare inferiore a quello originariamente dovuto, con conseguente formazione di una "posta attiva"; formazione di un ordine di pagamento per un'altra operazione di un determinato ammontare; predisposizione di due strumenti finanziari: uno di ammontare corrispondente alla suddetta "posta attiva" e incidente sulla stessa fonte economica di quest'ultimo; l'altro, costituito da un complesso di effetti di ammontare corrispondente a quello dell'operazione indicata; esecuzione di tale operazione, per una parte corrispondente alla "posta attiva" in modo da allineare la situazione economica del conto corrente a quella risultante dal sistema informativo di gestione interna; per la restante parte, pari alla differenza tra l'ammontare dell'operazione e la "posta attiva", con il complesso di effetti del secondo strumento finanziario che viene consumato solo in parte lasciando dunque residuare una "posta attiva" di importo pari a quella originaria, la cd. "scalata"; versamento della residua parte degli effetti del secondo strumento, cioè della "posta attiva scalata", sul conto corrente; prelievo della somma depositata e inserimento nel patrimonio dell'imputato.
Un ulteriore strumento utilizzato per l'impossessamento è quello dei bonifici effettuati senza causale: emanazione di un ordine di pagamento per somministrazione di fondi (ad esempio a un medico convenzionato o al Distaccamento di Anzio) e sua validazione ad opera del cassiere, vale a dire la sostituzione con un titolo indicante una nuova somma frutto dell'addizione alla somma precedente di altra somma da pagare in apparenza in contanti; esecuzione soltanto dell'ordine relativo al secondo importo, con generazione di un disallineamento tra l'estratto di conto corrente e quella del sistema informativo di gestione interna, corrispondente all'ammontare della ulteriore somma; chiusura della partita contabile così rimasta accesa mediante una partita di pari importo, con conseguente versamento dell'imposta dovuta in misura inferiore a quella dovuta.
2. Ricorrono entrambi gli imputati C.M.S. e N.A., a mezzo dei rispettivi difensori avv. Alessandro Bacchi e avv. Lucio Marziale.
2.1. Il primo motivo di ricorso, sostanzialmente comune per entrambi gli imputati C.M.S. e N.A., denuncia la violazione di legge, con riguardo alla norma incriminatrice, e il vizio della motivazione per quello che riguarda la qualificazione giuridica del fatto, che avrebbe dovuto essere più correttamente ascritto all'ipotesi di truffa militare a norma dell'art. 234 codice penale militare di pace, perchè è stata completamente sottovalutata la, talvolta particolarmente articolata, creazione di artifici documentali e contabili (tra cui spicca per artificiosità il meccanismo delle cd. "poste a scalare") finalizzati a consentire l'impossessamento dei beni dell'amministrazione assolutamente necessari nell'ottica della ricostruzione operata dai giudici di merito.
2.1.1. Con particolare riguardo alla posizione dell'imputato C. il ricorso contesta la funzione di cassiere che viene allo stesso attribuita in relazione alla "cassa contanti" mentre non risultano affatto contestate al medesimo ipotesi di sottrazione di somme di importo inferiore a Euro 10.000, tale essendo il limite di operatività per la indicata cassa.
Inoltre, non è ravvisabile la diretta disponibilità del bene dell'amministrazione in capo all'imputato, essendo risultato incontroverso che era necessaria una doppia firma per effettuare un ordine di pagamento, sicchè la semplice determinazione dell'imputato era del tutto inidonea a configurare la interversione nel possesso, dovendo egli ricorrere alla creazione di vari artifici e raggiri per indurre l'amministrazione a dare corso al trasferimento di fondi.
2.1.2. Il secondo motivo di ricorso nell'interesse di C. riguarda anch'esso la qualificazione giuridica del fatto e denuncia il vizio della motivazione con riguardo al cd. "meccanismo della svalidazione" che, di per sèdimostra come per impossessarsi del denaro fosse necessario porre in essere una serie di artifici e raggiri, mentre il giudice d'appello non affronta le doglianze in proposito esposte nell'atto d'impugnazione.
In particolare, la contraddittorietà della motivazione è evidente se si considera che la stessa sentenza impugnata specifica che le azioni necessarie per porre in essere l'impossessamento sono: il possesso dell'unica chiave indispensabile per l'apertura della "cassa corrente" (della quale però l'imputato non dispone), di una delle tre chiavi necessarie per aprire la "cassa di riserva" (apparendo perciò evidente che il solo imputato non poteva aprirla) e che per la predisposizione degli ordini di pagamento era necessario il preventivo inserimento di essi nel sistema informativo con successiva sottoscrizione da parte del capo servizio amministrativo e dal capo sezione gestione finanziaria (così dovendosi escludere che l'imputato potesse operare autonomamente e direttamente sui fondi dell'amministrazione).
2.1.3. Il terzo motivo di ricorso nell'interesse di C. riguarda anch'esso la qualificazione giuridica del fatto e denuncia la violazione di legge con riguardo alle operazioni di bonifico che erano possibili unicamente dopo che fosse stato posto in essere l'artificio e il raggiro costituito dalla creazione di un titolo di pagamento per fogli di viaggio a favore di una persona ignara, con successiva effettuazione dell'ordine di bonificot che veniva validato dal capo servizio che autorizzava l'imputato all'utilizzo della password del sistema di pagamento della banca.
Analogamente truffaldine erano le modalità di pagamento dei medici convenzionati: il capo servizio indicava le somme che il medico doveva percepire in acconto, sicchè quando in seguito il medico restituiva una parte delle somme, perchè ricevute in eccesso, mediante un assegno bancario, l'imputato rilasciava una falsa ricevuta al medico e provvedeva ad incassare l'assegno dopo avere fatto firmare con artifici raggiri il titolo dal capo gestione, non prima di avere modificato la contabilità del conto transitorio mediante movimenti figurativi.
2.2. Il secondo motivo di ricorso nell'interesse di N.A. denuncia la violazione di legge, in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., e il vizio della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio per non essere stata più sostanzialmente ridotta la pena irrogata all'imputato in considerazione della circostanza che questi aveva conservato all'interno della cassaforte dell'ufficio, e quindi nella piena disponibilità dell'amministrazione, una rilevante somma di denaro (Euro 65.000) che, una volta sequestrata, è stata restituita all'ufficio.
Tale elemento avrebbe dovuto essere tenuto in considerazione, sotto il profilo della capacità delinquere e della condotta contemporanea e successiva al reato, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, ma di ciò non vi è traccia nella sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. I ricorsi di C.M.S. e N.A. sono inammissibili perchè generici, assertivi e reiterativi di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso.
Le doglianze in diritto sono, del resto, manifestamente infondate.
2. Sono inammissibili i motivi di ricorso sviluppati nell'interesse di entrambi i ricorrenti C.M.S. e N.A., con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, perchè non si confrontano con la ampia motivazione stesa sul punto dai giudici di merito e con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Va anzitutto evidenziato che i ricorsi non contestano la ricostruzione operata dai giudici di merito circa le modalità di appropriazione delle somme, limitandosi il ricorso di C. a contestare la qualità di cassiere, peraltro unicamente con riguardo alla disponibilità della "cassa contanti", circostanza che risulta ininfluente, come lo stesso ricorso ammette, non essendo contestati all'imputato episodi distrattivi operati su somme contenute in quest'ultima.
2.1. E' opportuno ricordare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, "ricorre il delitto di peculato militare, e non quello di truffa militare, quando gli artifici e i raggiri, in particolare consistenti nella falsificazione di dati e di documenti contabili, siano posti in essere dal funzionario infedele per occultare l'illecita appropriazione e non già per procurarsi la disponibilità del bene oggetto dell'illecita condotta" (Sez. 1, n. 26705 del 13/05/2009, Troso, Rv. 244710).
Si è, del resto, chiarito, che "in tema di reati militari, il delitto di peculato (art. 215 c.p. mil. pace) presuppone che il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, nel momento in cui pone in essere la condotta appropriativa, abbia già, in via esclusiva o congiuntamente ad altri, un potere materiale (possesso) o giuridico (disponibilità) sulla cosa mobile altrui, e, inoltre, che gli artifici e i raggiri o le falsità servano ad occultarlo. La truffa (art. 234 c.p. mil. pace), al contrario, ricorre quando la condotta fraudolenta sia predisposta al fine di consentire al soggetto agente di entrare in possesso della provvista in vista della successiva condotta appropriativa. Il discrimine tra peculato e truffa (aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9) deve essere, pertanto, individuato nella strumentalità dei comportamenti fraudolenti rispetto al conseguimento del potere materiale o giuridico sulla cosa mobile altrui, tipica della truffa e incompatibile con il peculato, nel quale gli artifici, i raggiri, le falsità tendono necessariamente ad un risultato ulteriore e diverso" (Sez. 1, n. 17320 del 11/04/2006, Pagliari, Rv. 234133).
In particolare, si è ritenuto sussistente il delitto di peculato militare nella condotta del militare che, mediante la predisposizione di falsi documenti giustificativi di spesa riguardanti missioni effettuate fuori sede, otteneva l'indebita liquidazione di somme di denaro (Sez. 1, n. 46534 del 14/10/2005, Tartaglione, Rv. 232968).
Del resto, la giurisprudenza è costante nell'affermare che "integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata la condotta del funzionario di un ente pubblico, incaricato dell'esecuzione di pagamenti (il cosiddetto agente pagatore), che sottoscrive mandati di pagamento non dovuti per somme di denaro di cui ha la diretta disponibilità" (Sez. 6, n. 38535 del 04/05/2018, C., Rv. 274100). Si è precisato che, in tal caso, non rilevano le eventuali falsificazioni poste in essere dal funzionario per giustificare sul piano formale la procedura di pagamento, in quanto ai fini dell'integrazione del delitto di peculato è dirimente la disponibilità giuridica delle somme oggetto dei mandati di pagamento.
Analogamente, si è stabilito che "integra il reato di peculato e non quello di truffa aggravata la condotta dell'ufficiale giudiziario che si fa consegnare dalla cassa dell'ufficio UNEP somme maggiori rispetto a quelle necessarie per lo svolgimento delle attività d'ufficio, successivamente alterando la documentazione volta a dimostrarne l'impiego in sede di rendiconto mensile, al fine di occultare l'appropriazione del denaro" (Sez. 6, n. 18177 del 03/03/2016, Saccone, Rv. 266985). Anche in questo caso sinhiarito che sussiste il delitto di peculato quando l'agente fa proprio il bene altrui del quale abbia già il possesso per ragione del suo ufficio, ricorrendo all'artificio o al raggiro esclusivamente per occultare la commissione dell'illecito.
2.2. Ciò premesso, preso atto che i ricorsi non contestano la qualifica di cassiere attribuita agli imputati, sia perchè tale funzione era ai medesimi formalmente attribuita da provvedimenti organizzativi del Policlinico militare del (OMISSIS), sia perchè tale funzione era di fatto e concretamente esercitata (sovente in modo unitario) da entrambi, ma comunque in assoluta autonomia e con la diretta disponibilità degli strumenti di pagamento, delle chiavi di accesso alla cassa e delle credenziali elettroniche per l'utilizzo dei conti correnti dell'amministrazione, le deduzioni difensive sono generiche perchè, senza confrontarsi con la motivazione stesa da entrambi i giudici di merito, si limitano a porre l'accento sulle condotte artificiose che gli imputati hanno posto in essere.
Si tratta però di azioni, come logicamente affermato dai giudici di merito, che sono state poste in essere per occultare le condotte illecite in quanto gli imputati dovevano creare delle poste fittizie o altri artifici contabili per non essere scoperti a causa dell'immediata emersione di uno sbilancio nel sistema informativo di gestione finanziaria, non già, quindi, per impossessarsi delle somme, essendo invece l'atto di appropriazione direttamente posto in essere dai medesimi mediante la predisposizione degli ordinativi di pagamento o di trasferimento delle somme che venivano sviate dai fini istituzionali e trasferite nella disponibilità dei ricorrenti.
Sono, del resto, inammissibili le deduzioni sviluppate nel ricorso di C. che riguardano le modalità attraverso le quali venivano emessi gli ordini di pagamento e comunque la circostanza che fosse generalmente necessario l'intervento di almeno un altro funzionario, oltre all'imputato, per compiere gli atti amministrativi necessari alla distrazione delle somme, perchè non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato come sovente concorreva nell'azione delittuosa l'altro imputato, mentre i superiori gerarchici del ricorrente erano soliti controfirmare e comunque autorizzare le operazioni senza dubitare della correttezza di quelle che, almeno contabilmente, il ricorrente loro prospettava come aventi ad oggetto esborsi dovuti e legittimi, come lo stesso imputato ha ammesso di essere solito fare, approfittando della fiducia e della sostanziale impossibilità per i superiori di esercitare un qualsiasi effettivo controllo. Non si deve dimenticare, in proposito, che per ricostruire e documentare le distrazioni è stato necessario svolgere un lungo e complesso lavoro di revisione contabile da parte degli organi di vigilanza interna e da parte del perito d'ufficio.
3. E' inammissibile il secondo motivo di ricorso nell'interesse di N.A. perchè non sì confronta con la motivazione il provvedimento impugnato che ha evidenziato come, per un verso, le somme sequestrate nella cassaforte dimostrano la condotta di appropriazione e non un comportamento positivo dell'imputato, mentre, per altro verso, la particolare capacità a delinquere e la gravità del danno causato sono stati posti a fondamento della motivata determinazione del trattamento sanzionatorio che, in appello, è stato ulteriormente ridotto, così accogliendo in parte le argomentazioni difensive.
4. All'inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condannai ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2020
13-06-2020 07:09
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